IL PENSIERO DEL GIORNO

16 Febbraio 2018

VENERdÌ DOPO LE CENERI


Oggi Gesù ci dice: “Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e il Signore sarà con voi” (Cfr. Am 5,14 - Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Matteo 9,14-15: Perché i tuoi discepoli non digiunano? Ai discepoli di Giovanni Gesù risponde parlando di se stesso, rivelandosi Messia-Sposo dell’umanità. I farisei e i discepoli di Giovanni digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per disporsi ad accoglierlo. I discepoli di Gesù invece sono convinti che il Messia-Sposo sia già con loro: è il tempo della festa, non del digiuno. Più avanti lo Sposo sarà tolto, sarà innalzato sulla Croce, e allora verrà il tempo del distacco, della passione e della prova, e si digiunerà.


Compostella, Messale per la vita cristiana: Ciò che importa non è il digiuno, è lo Sposo. Digiunare non è sufficiente. Si digiuna con uno scopo: purificarsi, o mediante l’ascesi, per prepararsi ad un avvenimento, o per spirito di sacrificio. Ma l’uomo non è fatto per il digiuno continuo. È fatto per il banchetto. Egli non digiuna che per meritare di essere invitato al banchetto di nozze. Ed ecco che Gesù si presenta come lo Sposo che ci invita al banchetto delle sue nozze (Ap 19,9). Egli è venuto per sposare la nostra umanità. È venuto per fare tutt’uno con essa, per «conoscerla» per renderla felice, per generare con lei dei figli della lui.
E venuto per prenderla per mano, rivestita dei suoi ornamenti più belli, bella e desiderabile, come una fidanzata preparata per il suo sposo (Ap 21,2) e introdurla al cospetto di suo padre.
E il padre attende sulla soglia di casa, pronto a correre e gettarsi al suo collo, e ad abbracciarla teneramente (Lc 15,20). È da molto tempo che egli attende questa fidanzata, non sempre fedele (Ez 16,6-7), ma che egli ama di amore paterno. Egli manda suo figlio a cercare la sua fidanzata! Ma viene ricevuto male (Mt 21,37-38). Il figlio pazienta, ma la fidanzata non finisce di prepararsi. Non è mai pronta, e le nozze vengono ritardate (Mt 22,8). Eppure ciò che è promesso è promesso. Né il Padre né il Figlio ritireranno la loro parola. E le nozze ebbero luogo in primavera, una notte: la notte di Pasqua. Nella notte, un grido è risuonato: «Ecco lo Sposo che viene» (Mt 25,6). Ora non resta che riunire gli in vitati (Lc 14,21), e dare inizio alla festa.


Cristo sposo della Chiesa - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Gesù nel vangelo di oggi si dice sposo e dà a questa parola il medesimo con­tenuto di dedizione e di tenerezza che gli dava Dio nell’Antico Testamento, quando si chiamava con il medesimo nome. Gesù è lo sposo della nuova comunità, cioè della Chiesa. Giovanni Battista già lo aveva presentato sotto questa figura, quando si era detto amico dello Sposo (Gv 3,29). Gesù ricorrerà molte volte alla medesima metafora (Mt 22,1-14; 25,1-13; Lc 14,16-24). San Paolo perciò sapeva di collimare con il pensiero del Maestro va­lendosi di questa allegoria. Ma la delinea in termini più espliciti, chiamando Gesù sposo della Chiesa (2Cor 11,2; Ef 5,25-33). L’immagine chiarisce bene il fatto che il Cristo ha realizzato la sua opera di sofferenza, di morte e di vittoria per purificare e santificare la nuova comunità e per averla compartecipe nella sua gloria (Ef 5,26-27). Ci spiega anche la sua presenza ininterrotta in essa fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20; Gv 14,18-21).
Tutta l’opera di Cristo nella Chiesa acquista l’interpretazione più autentica alla luce del loro amore sponsale. Da parte della Chiesa la condizione di sposa fedele ci fa meglio capire la sua adesione inalterabile alla parola di Cristo e la sua cooperazione indefettibile nell’azione sacramentale. L’ortodossia infallibile della Chiesa fu vista, effettivamente, dalla tradizione nei termini di fedeltà di sposa, che mantiene immacolato il suo talamo.
Tutta l’efficacia divina attraverso la liturgia è operata da Cristo, ma con le prestazioni ministeriali della Chiesa. Cristo prega il Padre, ma associa sempre alla sua preghiera la Chiesa sua sposa. La Liturgia delle Ore, è la voce che la Sposa rivolge allo Sposo. Ecco dunque che l’applicazione della redenzione è tutta frutto di una stretta collaborazione di Cristo e della sua Chiesa.
Il patto nuziale fra Cristo e la Chiesa è perenne e inscindibile, perché consacrato con il sangue nel sacrificio della Croce e rinnovato continuamente nell’Eucaristia. A questa eternità e a questa caratteristica celestiale delle nozze della Chiesa con l’Agnello divino, inneggia san Giovanni nell’Apocalisse (19,7-9). È soprattutto alla Sposa del secolo futuro che pensa san Paolo quando descrive la Chiesa senza alcuna macchia e senza difetto alcuno. La Chiesa, sposa del Cristo, è nata dal cuore ferito del Crocifisso come già Eva dal costato di Adamo.


Il digiuno - Anton Grabner-Halder: È un esercizio generico religioso nel quale l’uomo, in determinati tempi, si astiene dal cibo e dalle bevande. Nell’Antico Testamento il cibo è considerato un dono di Dio (Dt 8,3). Ciononostante l’uomo veterotestamentario digiuna in particolari occasioni, per es. per ricevere da Dio il perdono per un grave errore (1Re 21,27), oppure per prepararsi a ricevere una rivelazione divina (Es 34,28), oppure per un lutto, a causa di una disgrazia nella famiglia o nel popolo (2Sam 12,16.22). Il credente digiuna anche per ottenere da Dio la fine di una catastrofe (Gl 2,12-17), o prima di assumere un grave compito e per ottenere la grazia necessaria per il compimento di una determinata missione (Gdc 20,26). Con il suo digiuno l’uomo esprime da una parte che egli dipende da Dio, che ringrazia il suo creatore perché è Dio ad avere veramente in mano il suo destino. D’altra parte l’uomo religioso con la preghiera e il digiuno vuole influire su Dio, smuovere Dio a qualcosa e strappargli qualcosa. Questa idea magica domina in gran parte la pratica veterotestamentaria del digiuno: JHWH deve essere placato e riconciliato, pericoli e catastrofi devono essere tenuti lontano. Contro una tale concezione del digiuno scende prepotentemente in campo la critica dei profeti al culto: i pii pensano che Dio debba tenere in considerazione il loro digiuno (Is 58,3). Ma egli non rivolge la propria attenzione nell’osservare se viene chinato il capo e usato sacco e cenere per letto. Questo non è un digiuno. Digiunare significa, al contrario, sciogliere le catene inique, liberare gli oppressi, accogliere i maltrattati, dare il pane agli affamati, offrire un tetto ai miseri senza tetto (Is 58,6-8). Digiuno significa rendersi conto della necessità del fratello e attivarsi per lui. Gesù è pienamente in linea con questa tradizione profetica quando non digiuna (Mc 2,18). Egli infrange così la legge mosaica, e secondo Lv 23,29ss in questo caso va comminata la pena di morte. Gesù non ha ordinato nessun digiuno ai suoi discepoli - e nemmeno le Lettere neotestamentarie. Spiega però all’uomo religioso che cosa c’è in gioco allorché voglia digiunare (Mt 6,17s). Per il cristiano digiunare non significa astinenza da cibi e bevande, ma essere disponibili verso il fratello, per essere, così, disponibili nei confronti di Dio.


La legge del digiuno eucaristico n° 695: D’altra parte si comprende come senza le dovute disposizioni la comunione sacramentale sarebbe inautentica. Già san Paolo esortava i cristiani: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso... perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,28-29). Chi è consapevole di aver commesso peccato mortale, prima di accostarsi alla comunione eucaristica, deve pentirsi e tornare in grazia di Dio. Più precisamente deve recarsi dal sacerdote e ricevere l’assoluzione; non può limitarsi a fare il proposito di confessarsi al più presto, a meno che in una particolare situazione non sopravvengano motivi gravi.
Desta preoccupazione la disinvoltura, con cui alcune persone, che non si confessano da lungo tempo, vanno a fare la comunione, soprattutto in occasione di feste solenni, di matrimoni e di funerali.
Sono doverosi anche alcuni segni esteriori di rispetto: osservare la legge del digiuno eucaristico, che obbliga a non prendere cibi e bevande, eccetto l’acqua, durante l’ora che precede la comunione; rispondere: «Amen» alle parole del ministro; presentare le mani pulite per ricevere il pane eucaristico; essere attenti ad eventuali frammenti, in modo da metterli in bocca e non lasciarli cadere.


Azioni soddisfattorie - Catechismo Tridentino n° 262: I Parroci insegneranno che le opere capaci di valore soddisfattorio possono ridursi a tre categorie: orazioni, digiuni, elemosine, in corrispondenza al triplice ordine di beni, spirituali, corporali, ed esteriori, che abbiamo ricevuto da Dio. Si trovano qui i mezzi più atti ed efficaci a recidere le radici del peccato. Poiché infatti il mondo è impastato di cupidigia carnale, di cupidigia degli occhi, di superbia della vita, è chiaro che a queste tre cause di male vanno contrapposte tre medicine: il digiuno, l’elemosina, la preghiera. Tale classificazione appare ragionevole anche se si considerano le persone offese dai nostri peccati e che sono Dio, il prossimo, noi stessi. Ora noi plachiamo Dio con la preghiera; diamo soddisfazione al prossimo con l’elemosina; dominiamo noi stessi col digiuno. Ma poiché fatalmente la vita è accompagnata da innumerevoli angosce e disgrazie, ai fedeli si deve con ogni cura ricordare che tollerando pazientemente quanto a Dio piaccia di mandarci, si accumula buon materiale di meriti e di soddisfazione; mentre recalcitrando e ripugnando alla sofferenza, si perde ogni frutto di soddisfazione, esponendosi alla diretta punizione di Dio, giusto vendicatore della colpa.

Verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno: Benedetto XVI (Omelia, 21 febbraio 2007): Il digiuno, al quale la Chiesa ci invita in questo tempo forte, non nasce certo da motivazioni di ordine fisico od estetico, ma scaturisce dall’esigenza che l’uomo ha di una purificazione interiore che lo disintossichi dall’inquinamento del peccato e del male; lo educhi a quelle salutari rinunce che affrancano il credente dalla schiavitù del proprio io; lo renda più attento e disponibile all’ascolto di Dio e al servizio dei fratelli. Per questa ragione il digiuno e le altre pratiche quaresimali sono considerate dalla tradizione cristiana “armi” spirituali per combattere il male, le passioni cattive e i vizi. Al riguardo, mi piace riascoltare insieme a voi un breve commento di san Giovanni Crisostomo. “Come al finir dell’inverno – egli scrive – torna la stagione estiva e il navigante trascina in mare la nave, il soldato ripulisce le armi e allena il cavallo per la lotta, l’agricoltore affila la falce, il viandante rinvigorito si accinge al lungo viaggio e l’atleta depone le vesti e si prepara alle gare; così anche noi, all’inizio di questo digiuno, quasi al ritorno di una primavera spirituale forbiamo le armi come i soldati, affiliamo la falce come gli agricoltori, e come nocchieri riassettiamo la nave del nostro spirito per affrontare i flutti delle assurde passioni, come viandanti riprendiamo il viaggio verso il cielo e come atleti ci prepariamo alla lotta con lo spogliamento di tutto” (Omelie al popolo antiocheno, 3).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Digiuno significa rendersi conto della necessità del fratello e attivarsi per lui.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i primi passi del nostro cammino penitenziale, perché all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...