IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Marzo 2018

GIOVEDÌ FERIA II SETTIMANA QUARESIMA


Oggi Gesù ci dice: “Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza” (Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Luca 16,19-31: La parabola è propria di Luca. Se del povero si conosce il nome, cosa molto insolita, il ricco gaudente è anonimo. Il tema del racconto evangelico è il fascino delle ricchezze che corrompono il cuore: bisogna imparare a trattarle con estrema cautela perché «chi ama il denaro non è mai sazio di denaro e chi ama la ricchezza non ha mai entrate sufficienti» (Qo 5,9). Invece di perdere il tempo in banchetti e bagordi, è urgente che l’uomo utilizzi il tempo che gli è dato per convertirsi. Un buon funerale è assicurato a tutti, ma quello che conta è il dopo. Il «tragico è: chi ha il cuore appesantito dai beni terreni, sedotto dai piaceri di questo mondo, reso sordo dalle mille voci seducenti che lo allettano non può percepire e recepire l’invito alla conversione» (C. Ghidelli). Da qui la necessità e l’urgenza di farsi poveri per il regno dei Cieli (Cf. Lc 6,20-26).


Catechismo romano (I, §§ 69-70): Nel seno di Abramo indica il luogo “in cui le anime dei santi furono ospitate prima della venuta di Gesù Cristo Signore nostro. Esse vi dimorarono quietamente, immuni da ogni pena, alimentate dalla beatifica speranza della redenzione. Gesù Cristo, scendendo nell’inferno, liberò appunto le anime dei giusti che aspettavano il Salvatore nel seno di Abramo”.


Benedetto XVI (Angelus, 30 Settembre 2007): Oggi il Vangelo di Luca presenta la parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31). Il ricco impersona l’uso iniquo delle ricchezze da parte di chi le adopera per un lusso sfrenato ed egoistico, pensando solamente a soddisfare se stesso, senza curarsi affatto del mendicante che sta alla sua porta. Il povero, al contrario, rappresenta la persona di cui soltanto Dio si prende cura: a differenza del ricco, egli ha un nome, Lazzaro, abbreviazione di Eleazaro, che significa appunto “Dio lo aiuta”. Chi è dimenticato da tutti, Dio non lo dimentica; chi non vale nulla agli occhi degli uomini, è prezioso a quelli del Signore. Il racconto mostra come l’iniquità terrena venga ribaltata dalla giustizia divina: dopo la morte, Lazzaro è accolto “nel seno di Abramo”, cioè nella beatitudine eterna; mentre il ricco finisce “all’inferno tra i tormenti”. Si tratta di un nuovo stato di cose inappellabile e definitivo, per cui è durante la vita che bisogna ravvedersi, farlo dopo non serve a nulla.


Il ricco e il povero Lazzaro - Un uomo ricco... un povero... All’uomo ricco il nomignolo, Epulone, dal latino èpulae (vivande, épulum banchetto), gli viene dal suo passatempo preferito: quello di fare festa ogni giorno con grandi banchetti (epulàbatur cotidie splèndide). I septemviri epulones erano uno dei quattro più importanti collegi religiosi della Roma antica, insieme a quelli dei pontefici, degli auguri e dei quindecimviri sacris faciundis. Il loro ufficio principale era quello di preparare un sontuoso banchetto in onore di Giove e per i dodici Dèi, in occasione di pubbliche feste o calamità: le statue delle divinità erano poste in lettucci dirimpetto a tavole abbondante­mente imbandite di cibi succulenti e bevande inebrianti, che poi gli Epuloni consumavano.
Il nome del povero è Lazzaro. Luca forse lo ricorda unicamente per la sua etimologia: Dio ha soccorso. Una sottolineatura per suggerire che il Signore Dio non è sordo alle preghiere dei poveri ed è pronto ad intervenire a loro favore: «Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce» (Sal 34,7). È uno degli ‘anawin (poveri) dell’Antico Testamento che, secondo la legge, devono essere amati e protetti (Cf. Es 22,21-24; Am 5,10-12; Is l,17; 58,7).
La ricchezza dell’Epulone è sottolineata anche dalla sontuosità delle sue vesti: «vestiva di porpora e di lino finissimo». Le vesti di porpora, di colore rosso acceso, e di telo di lino assai fine, erano indossate dai re e dai notabili che in questo modo ostentavano il loro rango.
La ricchezza dell’epulone è così grande quanto il suo egoismo. Ancora una volta a calcare la scena evangelica è un uomo incolpevole. Non è un pubblicano, non è uno strozzino, non è un ladro; il suo unico peccato è quello di non accorgersi di Lazzaro «bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» e la cui unica ricchezza era costituita da quelle piaghe che fasciavano dolorosamente tutto il suo povero corpo. Gli unici compagni di Lazzaro sono i cani randagi considerati animali impuri (Cf. Sal 22,17.21; Prov 26,11; Mt7,6).
Comunque il racconto evangelico non vuol fare l’apologia della povertà. La parabola non va considerata come consolazione alienante per i poveri di questo mondo. La religione non è l’oppio che addormenta e tiene buoni i miseri. Lazzaro non scelse la povertà, ma seppe accettare il suo stato miserevole trasformandolo in una corsia privilegiata che lo portò nel seno di Abramo. Qui c’è un’altra lezione: è la stessa esistenza quotidiana a fornire all’uomo «la palestra di addestramento nella virtù, a imporgli rinunce e privazioni di ogni genere, a esercitarlo nella pazienza, nell’umiltà e nella ubbidienza» (A. M. Canopi).
È la grande lezione che insegna ad accontentarsi di quello che si ha (Cf. Prov 30,7-9; 1Tm 6,8) condividendolo gioiosamente con i poveri; di saper attendere con fiducia la ricompensa che viene unicamente da Dio, quasi sempre solo dopo questa vita; di saper gioire anche nelle prove: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,2-4). Tutta qui la «morale» della parabola.
Neanche se uno risorgesse dai morti. L’uomo ricco chiede un miracolo per i suoi cinque fratelli, perché si convertano. Chiedere un miracolo per credere era un’idea fissa degli Ebrei, lo ricorderà anche Paolo ai cristiani di Corinto: «E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza» (1Cor 1,22). Molte volte i Giudei avevano chiesto a Gesù un segno per credere in lui e Gesù lo offrirà nella sua risurrezione, ma neanche questo segno servirà a convincere gli Ebrei. Quindi, nelle parole di Gesù c’è una profonda lezione di vita cristiana: non «dobbiamo aspettarci che qualcuno venga dall’al di là ad avvertirci. Gesù con la sua predicazione ci ha detto come stanno le cose. Con la sua morte e risurrezione ci ha dato la garanzia divina che Egli testimonia la verità. Non ci rimane che ascoltare e mettere in pratica la sua parola, che risuona continuamene nella predicazione della Chiesa. Si tratta solo di credere alla predicazione, di credere a quanto la Chiesa insegna» (Roberto Coggi).


Popolorum Progressio 47-48: La lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria, è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco. Ciò esige da quest’ultimo molta generosità, numerosi sacrifici e uno sforzo incessante. Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per la nostra epoca. È egli pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni organizzate in favore dei più poveri? a sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo? a pagare più cari i prodotti importati, onde permettere una più giusta remunerazione per il produttore? a lasciare, ove fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni?  Il dovere di solidarietà che vige per le persone vale anche per i popoli; “Le nazioni sviluppate hanno l’urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo”. Bisogna mettere in pratica questo insegnamento conciliare.


Giovanni Paolo II (Omelia, 2 Ottobre 1979): Sia il ricco, sia il mendicante morirono e furono portati davanti ad Abramo, e fu dato il giudizio in base alla loro condotta. Le Scritture ci dicono che Lazzaro trovò consolazione, mentre il ricco trovò tormento. Fu condannato il ricco perché fu ricco, perché ebbe in terra abbondanti proprietà, perché “vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente”? No, direi che non lo fu per questa ragione. Il ricco fu condannato perché non prestò attenzione all’altro uomo. Perché trascurò di informarsi di Lazzaro, la persona che giaceva alla sua porta bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla sua mensa. Cristo non condanna mai il semplice possesso di beni materiali. Egli pronuncia invece parole molto severe contro coloro che usano dei loro beni materiali in modo egoista, senza fare attenzione alle necessità degli altri. Il Discorso della Montagna comincia con le parole: “Beati i poveri di spirito... E al termine del bilancio dell’ultimo giudizio, come si legge nel Vangelo di San Matteo, Gesù dice le parole che ben conosciamo: “Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, ammalato e in carcere e non mi avete visitato” (Mt 25,42-43).
La parabola dell’uomo ricco e di Lazzaro deve essere sempre presente nella nostra memoria; essa deve formare la nostra coscienza. Cristo ci chiede di essere aperti ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che hanno bisogno: ai ricchi, ai benestanti, a coloro che sono economicamente avvantaggiati domanda di essere aperti ai poveri, ai sottosviluppati e agli svantaggiati. Cristo reclama un’apertura che è più di una benevola attenzione, più di atti simbolici o di attivismo distaccato che lasciano il povero indigente come prima, se non ancora di più.
Tutta l’umanità deve pensare alla parabola dell’uomo ricco e del mendicante. L’umanità deve tradurla in termini contemporanei, in termini di economia e di politica, in termini di tutti i diritti umani, in termini di relazioni tra il “Primo”, il “Secondo” e il “Terzo Mondo”. Non possiamo stare in ozio mentre migliaia di esseri umani stanno morendo di fame. Né possiamo rimanere indifferenti mentre i diritti dello spirito umano vengono calpestati, mentre si fa violenza alla coscienza umana in materia di verità, di religione, di creatività culturale.
Non possiamo stare in ozio, rallegrandoci delle nostre ricchezze e della nostra libertà, se, da qualche parte, il Lazzaro del XX secolo giace alla nostra porta. Alla luce della parabola di Cristo, la ricchezza e la libertà conferiscono una responsabilità speciale. La ricchezza e la libertà creano una speciale obbligazione. E così nel nome della solidarietà che ci unisce tutti insieme in una comune umanità, proclamo di nuovo la dignità di ogni persona umana: l’uomo ricco e Lazzaro sono entrambi esseri umani, entrambi creati a immagine e somiglianza di Dio, entrambi egualmente redenti da Cristo, ad alto prezzo, il prezzo del “sangue prezioso di Cristo” (1Pt 1,19).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello” (Popolorum progressio 3).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ami l’innocenza, e la ridoni a chi l’ha perduta, volgi verso di te i nostri cuori e donaci il fervore del tuo Spirito, perché possiamo esser saldi nella fede e operosi nella carità. Per il nostro Signore Gesù Cristo...