IL PENSIERO DEL GIORNO

4 Gennaio 2018


Oggi Gesù ci dice: “Venite e vedrete” (Gv 1,39).


Dal Vangelo secondo Giovanni 1,35-42: Possiamo trovarvi una traccia per un cammino vocazionale: cercare Gesù è andare da lui, vedere dove abita, stare con lui e ascoltare la sua Parola. Ma non può essere un possesso egoistico, perché l’incontro con il Verbo deve essere testimoniato; deve far nascere nel cuore dei discepoli il desiderio e lo zelo di condurre a Dio gli uomini. I credenti che hanno incontrato il Cristo sono i testimoni dell’Amore: tutti i battezzati, come Giovanni Battista, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2), devono indicare al mondo l’Agnello di Dio.


L’Agnello pasquale - G. B. (Agnello in Schede Bibliche Pastorali, Vol. I - EDB): Come altri animali, nei riti sacrificali dell’Antico Testamento l’agnello era la vittima offerta in olocausto espiatorio a Dio (cf. per es. Lv 9,3). Aveva invece un ruolo del tutto singolare nel rito della cena pasquale (Es 12,1-16).
La sera del 14 del mese di Nisan gli israeliti uccidevano l’agnello, o il capretto, scelto quattro giorni prima con oculatezza, dovendo essere senza alcun difetto, maschio, di un anno. Lo si arrostiva per bene e di notte lo si mangiava con pani azzimi ed erbe amare. La celebrazione aveva il preciso significato di commemorazione dello scampato pericolo in terra egiziana, quando Jahvé colpì i primogeniti d’Egitto, risparmiando le case degli ebrei con gli stipiti e l’architrave tinti del sangue dell’agnello.
Ed è risaputo che Israele attribuiva ai suoi riti di «memoria» storica una pregnanza tutta particolare: i partecipanti attualizzavano infatti la portata salvifica degli eventi commemorati, nel nostro caso del riscatto dalla schiavitù egiziana. La tradizione giudaica poi è giunta ad attribuire esplicitamente al sangue dell’agnello pa­squale valore salvifico. «In virtù del sangue dell’alleanza della circoncisione e in virtù del sangue della pasqua, io vi ho liberati dall’Egitto» (Pirqè R. Eliezer 29).
Ora, nel Nuovo Testamento, tutto intento ad approfondire ed esprimere il mistero della persona di Gesù Cristo, si identifica senz’altro l’agnello pasquale con Cristo, o meglio si afferma che questi è per i credenti l’agnello pasquale. Ne fa fede anzitutto Paolo: «E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (1Cor 5,7). Ma l’apostolo si mostra qui debitore alla tradizione cristiana primitiva. Dunque è alla chiesa degli anni quaranta che dobbiamo questa interpretazione tipologica dell’agnello pasquale. Sotto forma di paragone poi la prima lettera di Pietro proclama che i credenti sono stati redenti «con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia» (1,18-19). In questo passo però, oltre la sottolineatura del valore espiatorio della morte di Cristo, si accentua l’innocenza della vittima.
Comunque sono gli scritti giovannei che più hanno sviluppato tale tipologia cristologica. Il quarto vangelo attribuisce grande importanza ad un particolare apparentemente insignificante della passione di Crsto: al crocifisso non furono spezzate le gambe (19,33). In realtà, l’evangelista vi scorge il compimento profetico del testo della prescrizione del libro dell’Esodo secondo cui non dovevano essere spezzate le ossa dell’agnello pasquale (Es 12,46), testo inteso quale preannuncio del futuro: «Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso» (19,36). A questo scopo Giovanni sottolinea che Gesù morì in croce la vigilia della pasqua ebraica (18,28; 19,14.31), esattamente quando si uccidevano gli agnelli della celebrazione pasquale. In breve, è il crocifisso il vero agnello pasquale per i credenti che per grazia hanno realizzato il nuovo esodo dalla schiavitù alla libertà e nell’eucaristia, nuova pasqua, celebrano l’evento liberatore. Ma già all’inizio del suo vangelo Giovanni aveva presentato in questi termini il contenuto della testimonianza del Battista a favore di Gesù: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!» (1,29; cf. 1,36). Con probabilità vi si allude all’agnello pasquale, che però non aveva valore di sacrificio espiatorio. In realtà, vuol dire Giovanni, Cristo supera di molto la portata dei riti dell’Antico Testamento; egli libera il mondo dalla potenza del peccato e la sua morte costituisce il vero e definitivo sacramento di salvezza.
L’umanità peccatrice, impossibilitata da se stessa, cioè con i suoi sacrifici, a liberarsi, riceve in dono da Dio stesso Gesù come vittima sacrificale capace di ottenere il perdono dei peccati. Si spiega così la singolarità della formula giovannea: «agnello di Dio». Diventa allora possibile che l’evangelista si riferisca non solo all’agnello pasquale, ma anche al servo sofferente di Dio, paragonato a un agnello condotto al macello (Is 53,7) e portatore del peccato della moltitudine umana (Is 53,12).


L’Agnello che toglie il peccato del mondo - Catechismo della Chiesa Cattolica n. 608: Dopo aver accettato di dargli il battesimo tra i peccatori, Giovanni Battista ha visto e mostrato in Gesù l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Egli manifesta così che Gesù è insieme il Servo sofferente che si lascia condurre in silenzio al macello e porta il peccato delle moltitudini e l’Agnello pasquale simbolo della redenzione di Israele al tempo della prima pasqua. Tutta la vita di Cristo esprime la sua missione: servire e dare la propria vita in riscatto per molti


Ecco l’agnello di Dio! - Il brano del Vangelo può essere diviso in due parti. Nella prima, Giovanni rende testimonianza a Gesù suscitando la vocazione di Andrea e di un secondo discepolo che non viene nominato nel Vangelo; nella seconda parte, fragrante di genuino sapore missionario, Andrea, affascinato da Gesù, lo annuncia al fratello Simone che viene a sua volta conquistato al Cristo.
«Giovanni stava con due dei suoi discepoli e,  fissando lo sguardo su Gesù»: il verbo emblépein indica l’atto di guardare con attenzione, cercando di andare in profondità, scrutando l’anima e il cuore.
Il quarto vangelo poi lo dirà di Gesù, il quale poserà il suo sguardo su Simone (Cf. Gv 1,42; Lc 22,61). I vangeli ricorderanno anche lo sguardo di Gesù che si poserà sul giovane ricco. Marco addirittura annoterà: «Gesù, fissò lo sguardo su di lui, lo amò» (Mc 10,21).
Giovanni guarda con attenzione Gesù che passava: che venga detto che Gesù camminasse è un particolare sul quale l’evangelista Giovanni insiste molto in quanto con esso vuole sottolineare l’umanità di Gesù: «questi è un vero uomo, che cammina con i piedi, come farà il paralitico guarito alla piscina di Betzatà [...]. Si osservi inoltre il contrasto tra l’atteggiamento statico del Battista, ritto in piedi [Gv 1,35] e quello dinamico di Gesù. Questi è in cammino per illuminare gli uomini e invitarli a credere nella luce [Cf. Gv 12,35s]. Gesù è in cammino verso la croce e invita i discepoli a seguirlo sul Golgota [Cf. Gv 12,24ss]. Gesù è in cammino e sta per chiamare i primi discepoli ad incamminarsi con lui [Gv 1,39] e a seguirlo [Gv 1,43]» (SALVATORE ALBERTO PANIMOLLE).
L’espressione Ecco l’agnello di Dio è gravida di un duplice simbolismo, che ha profonde radici nella teologia dell’Antico Testamento: il primo rimanda all’agnello pasquale che viene immolato nel tempio alla vigilia di Pasqua e al quale non doveva venir spezzato alcun osso (Giovanni collocherà la morte di Gesù in questo contesto sacrificale); l’altro riconduce al servo sofferente che porta su di sé il peccato del mondo e che era stato preannunciato da Isaia: «... era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca... egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli» (Is 53,1ss).
Una interpretazione dettata dal fatto che la parola agnello, talià, significa tanto servo quanto agnello: Gesù è l’agnello di Dio, il Servo sofferente, colui che toglie il peccato del mondo (Cf. Gv 1,29).
«Venite e vedrete»: il verbo vedere ricorre molte volte nel Vangelo e nelle lettere di Giovanni come passaggio al credere e alla testimonianza. Si possono ricordare, tra i tanti, almeno tre passi. Il primo è Gv 1,34: «Io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio». Il secondo brano è Gv 19,35: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate». Il terzo è l’ampia professione di fede dell’apostolo Giovanni: «... quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza... -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,1ss).
Questo vedere suscita o rafforza la fede, ma «non porta mai alla visione diretta e definitiva di Dio. “Dio nessuno l’ha visto”, insiste il IV Vangelo [cf 1,18; 5,37; 6,46]; i discepoli possono “vedere” Gesù, e solo attraverso lui riconoscere il Padre [cf 14,7.9]. Questo riconoscimento è reale solo se messo in pratica dall’ascolto della parola di Dio: “io, dice Gesù, parlo di quello che ho visto presso il Padre, voi dunque fate quello che avete udito dal Padre vostro” (8,38). È proprio l’ascolto della Parola la condizione normale per venire alla fede: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” [Gv 20,29]» (Clara Achille Cesarini).
Andrea e il discepolo innominato si fermano, ascoltano... la Parola prima che alle loro menti si rivela ai loro cuori... essi comprendono che Gesù è il Messia e ne diventano gli annunciatori, oltre che i discepoli. I frutti sono immediatamente abbondanti. Andrea conduce il fratello Simone a Gesù e a lui tocca fare un’esperienza ancora più esaltante: scrutato, amato da Gesù fin dal primo momento, viene trasformato nel cuore, nella mente e nell’anima, al punto che riceve un nome nuovo: Cefa, che significa Pietro.
Simone è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa «e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,13-19).


E lo condusse da Gesù - Pastores Dabo Vobis 38: Certamente la vocazione è un mistero imperscrutabile, che coinvolge il rapporto che Dio instaura con l’uomo nella sua unicità e irripetibilità, un mistero che viene percepito e sentito come un appello che attende una risposta nel profondo della coscienza, in quel «sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria». Ma ciò non elimina la dimensione comunitaria, ed ecclesiale in specie, della vocazione: anche la Chiesa è realmente presente e operante nella vocazione di ogni sacerdote. Nel servizio alla vocazione sacerdotale e al suo itinerario, ossia alla nascita, al discernimento e all’accompagnamento della vocazione, la Chiesa può trovare un modello in Andrea, uno dei primi due discepoli che si pongono al seguito di Gesù. È lui stesso a raccontare al fratello ciò che gli era accaduto: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)». E il racconto di questa «scoperta» apre la strada all’incontro: «E lo condusse da Gesù». Nessun dubbio sull’iniziativa assolutamente libera e sulla decisione sovrana di Gesù. È Lui che chiama Simone e gli dà un nuovo nome: «Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)”». Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l’incontro del fratello con Gesù.
«E lo condusse da Gesù». Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo Spirito. La Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a promuovere e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni sacerdotali con la preghiera e con la vita sacramentale, con l’annuncio della Parola e con l’educazione alla fede, con la guida e la testimonianza della carità.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha sollecitato l’incontro del fratello con Gesù.
Questa parola cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente, il Salvatore che tu hai mandato, luce nuova all’orizzonte del mondo, sorga ancora e risplenda su tutta la nostra vita. Egli è Dio, e vive e regna con te...