IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Gennaio 2018


IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B


Oggi Gesù ci dice: “Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28: Il brano marciano sembra subito suggerire al lettore dove spostare la sua attenzione: Gesù è «apparso per distruggere le opere del diavolo» (Gv 3,8). Ma mette anche in evidenza come Gesù ami insegnare. Nel ministero di Gesù, i miracoli hanno la funzione di illustrare, di mostrare e di autenticare il senso, l’efficacia e la veridicità della sua predicazione, realizzando in questo modo la promessa di Mosè fatta al suo popolo (I lettura). In altre parole: Gesù è il profeta, l’unico e il vero, suscitato da Dio per condurre a salvezza il suo popolo. Da qui l’autorità con la quale Gesù insegnava, suscitando ammirazione e stupore in chi lo ascoltava senza pregiudizi.


Taci! Esci da lui! - Per un approfondimento del racconto evangelico si può fare ricorso al Magistero della Chiesa. L’uomo, incapace di superare efficacemente da sé gli assalti del male, è come se fosse incatenato (Cf. GS 13). Questa estrema povertà è il frutto amaro del peccato originale, in conseguenza del quale «il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimane libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 407). Per cui ignorare che l’uomo «ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (ibidem).
Sempre per il Catechismo, le «conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni “il peccato del mondo” [Gv 1,29]. Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini» (408). Ecco perché è necessario aprirsi a Cristo che con la sua morte e risurrezione ha liberato l’uomo dal potere di Satana, sottraendolo alla sua schiavitù: «Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’apostolo: il Figlio di Dio “ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” [Gal 2,20]» (GS 22).
Una liberazione già in atto, ma che si farà piena soltanto quando il Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24).
Ecco perché oggi «tutta  la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS 13). Così come tutta «intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno» (GS 37).
L’uomo inserito in questa battaglia «deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 33).
Per stare saldi contro gli assalti del demonio si può fare ricorso all’autorità della Parola di Dio. Per esempio Ef 6,10-18, con dovizia di particolari, enumera le varie armi che compongono l’armatura spirituale necessaria a rintuzzare gli assalti di Satana. Ma potrebbe servire il monito di Friedrich Wilhelm Nietzsche rivolto all’uomo: «Diventa ciò che sei». E l’uomo non è un animale. L’uomo è immagine di Dio (Cf. Gen 1,27), trono della sua gloria, tempio della santa Trinità creato «per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e mediante questo salvare l’anima sua» (Ignazio di Loyola).
Chi ha il coraggio di essere uomo, e di vivere come tale, ha già vinto Satana!


Il profetismo nel Nuovo Testamento - Giorgio Fornasari (Profeta, in Schede Bibliche Pastorali, Vol. VIII): Gesù ebbe modo, in due occasioni, di attribuirsi personalmente il titolo di profeta: nel discorso di Nazaret (Mt 15,53-57; Mc 6,1-6; Lc 4,16-24) e nel lamento su Gerusalemme (Mt 23,37; Lc 13,33-34). In ambedue i casi, egli lascia chiaramente intendere l’unicità dello spirito profetico che lega lui ai profeti precedenti, e inaugura i tempi messianici. Spetterà comunque al Vangelo di Giovanni e alla predicazione di Pietro, in occasione della guarigione dello storpio davanti alla porta Bella, di mettere in evidenza in modo inequivocabile il reciproco legame della figura del profeta e dell’era messianica, usando nei riguardi di Gesù il termine «profeta» come sinonimo di «messia». At 3,21-23 attribuisce a Gesù risorto la realizzazione della promessa di Dt 18,15.19 sul profeta che sorgerà in Israele pari a Mosè. E Giovanni testimonia che la reazione della folla di fronte alla moltiplicazione dei pani è stata di proclamare Gesù «il profeta che deve venire nel mondo» (6,14).
Il carisma profetico non poteva mancare alla chiesa primitiva; se il regno messianico aveva avuto il suo inizio ufficiale, lo spirito profetico doveva diffondersi abbondantemente per testimoniare l’attuazione delle promesse e garantire concretamente per tutti la presenza della benedizione di Dio. È quanto lascia intendere Pietro nel discorso della pentecoste, riferendo direttamente la profezia di Gioele sull’effusione dello Spirito su tutti i membri del popolo di Dio, capaci così di profetizzare; profezia che Pietro dichiara compiuta nella pentecoste cristiana (At 2,14-18; Cf. con Gv 3,1-5).
Non tutti i membri comunque della primitiva comunità cristiana posseggono abitualmente il dono della profezia, ma soltanto alcuni direttamente scelti dallo Spirito. Gli Atti ricordano i nomi di alcuni: Agabo (11,27; 21,10), Giuda e Sila (15,32) e le quattro figlie di Filippo «uno dei sette» (21,9).
Luca parla ancora di alcuni appartenenti alla comunità di Antiochia (At 13,1) e di altri di Efeso che profetizzano dopo il battesimo impartito loro da Paolo (19,6).
Anche Paolo conosce il carisma della profezia e lo considera un dono prezioso dato da Dio per l’edificazione della chiesa (1Cor 14 da leggere per intero). Anzi, egli stima talmente i profeti, e tiene in così alto conto la loro opera, da metterli in secondo posto in ordine di importanza tra le autorità della comunità, dopo gli apostoli (1Cor 12,28-29).
«Profetare» ha comunque, per Paolo, un significato ben preciso; la profezia infatti consiste sempre in un discorso intellegibile, fatto per costruire e mantenere l’unità della fede nella chiesa (Cf. Rom 12,6), perché il dono della profezia introduce nei misteri di Dio e permette di conoscere i suoi piani (Cf. 1Cor 13,2).
Secondo la prima lettera di Pietro (1,10) sembrerebbe che ai profeti spettasse anche il compito di leggere le Scritture, interpretarle, e cogliere le tipologie cristologiche.
I profeti dovettero senz’altro avere un’enorme influenza nel primo periodo della chiesa primitiva; Paolo nomina frequentemente i profeti assieme agli apostoli (Ef 2,20; 3,5; 4,11).
Il fatto però che l’istituzione profetica neotestamentaria sia, nella lettera agli Efesini, messa quasi sullo stesso piano dell’istituto apostolico, potrebbe far pensare che Paolo abbia voluto riservare il carisma profetico,  come  quello  apostolico,  ai tempi della fondazione della chiesa.
Il pericolo dei falsi profeti, già presente nell’insegnamento di Gesù (Mt 7,15; 24,11.24; Mc 13,22) e rimesso in evidenza da Giovanni nella sua prima lettera e nell’Apocalisse (1Gv 4,1-2; Ap 16,13; 19,20; 20,10), sembrerebbe confermare la nostra interpretazione.
Questo fatto comunque non impedì che nella chiesa post-apostolica continuasse ancora il carisma profetico, come confermano il Pastore di Erma, le lettere di Ignazio, il racconto del martirio di Policarpo, e la Didachè.


Quello che il demonio può fare col permesso di Dio - Royo Marin (Teologia di perfezione cristiana, 575): 1) Produrre visioni e locuzioni corporali e immaginarie (non quelle intellettuali).
) Falsificare l’estasi.
3) Produrre splendori nel corpo e ardori sensibili nel cuore. Ci sono molti esempi di «incandescenza diabolica».
4) Produrre tenerezze e soavità sensibili.
5) Guarire, anche istantaneamente, certe strane malattie prodotte dall’azione diabolica. È chiaro che non si tratta propriamente di guarigione, ma soltanto di una cessazione di azioni lesive, come dice Tertulliano: «Laedunt enim primo, dehinc remedia praecipiunt, ad miraculum, nova sive contraria; post quae desinunt laedere, et curasse creduntur». Siccome la pretesa malattia era dovuta esclusivamente all’azione di Satana, cessando la causa, scompare istantaneamente anche l’effetto.
6) Produrre le stigmate e gli altri fenomeni corporali e sensibili della mistica, tali come i soavi odori, le corone, gli anelli, cc. Nulla di tutto ciò sorpassa, come vedremo, le forze naturali dei demoni.
7) Il demonio non può derogare alle leggi della gravità, però può simulare miracoli di questo genere mediante il concorso invisibile delle sue forze naturali. Si tenga presente per la questione della levitazione: si possono dare levitazioni diaboliche come nel caso di Simon Mago.
8) Può sottrarre i corpi alla nostra vista interponendo tra essi e la nostra retina un ostacolo che devia la rifrazione della luce o producendo nel nostro apparato visuale una impressione soggettiva completamente differente da quella che verrebbe dall’oggetto.
9) Può produrre la incombustione di un corpo interponendo un ostacolo invisibile tra esso e il fuoco.
In breve, dobbiamo dire che qualunque sia la natura del fenomeno prodotto per mezzo delle forze diaboliche, non sorpasserà mai l’ordine puramente naturale.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Ignoranza e superbia sono autostrade per il diavolo. Il Maligno si insinua, e ha gioco facile, nel relativismo di oggi. (Padre Paolo Carlin)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza
e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per il nostro Signore Gesù Cristo...