IL PENSIERO DEL GIORNO

17  Gennaio 2018

MercoleDÌ DELLA II SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano, piantato nella casa del Signore” (Antifona).


Dal Vangelo secondo Marco 3,1-6: A spiare Gesù sono i Farisei, i quali pur di arrivare al loro obiettivo omicida si alleano con gli Erodiani, loro naturali nemici in quanto sostenitori del re Erode Antipa. Con tale alleanza provocano una saldatura maligna tra il potere religioso e quello politico che porterà Gesù sulla croce. I farisei alla domanda di Gesù sono notevolmente a disagio, non possono rispondere col dire che Dio vuole la morte dell’uomo, e non hanno il coraggio di dire che il Signore vuole la vita e la sanità fisica dell’uomo. Da qui l’indignazione di Gesù, il cuore dei farisei è indurito, ma anche fucina di progetti malvagi che annebbiano la loro insipiente intelligenza.


Gli erodiani - Adalberto Sisti (I Quattro Vangeli): gli erodiani: erano Giudei che parteggiavano per la dinastia erodiana e più particolarmente per Erode Antipa, tetrarca della Galilea, nel cui territorio ora Gesù si trovava ad operare. Indifferenti al problema religioso, costituivano un piccolo partito politico, che sognava la riunificazione di tutta la Palestina attorno al trono del loro protettore (cf Mc 12,13-17). Per valutare appieno la gravità del connubio che i farisei stabiliscono con loro in questa circostanza, bisogna pensare che gli erodiani erano disprezzati e odiati dai farisei perché fautori di una dinastia straniera, tenuta su dai Romani. - come farlo perire: l’ostilità dei farisei e la loro ostinazione trovano in queste parole il loro sbocco naturale. Per ora si tratta solo di lino scambio di idee, ma si sa che quando la politica si mischia alla religione e questa si maschera con le ragioni di quella, è molto più facile portare a compimento i propositi più insani.


Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Il racconto che abbiamo letto - gioiello di concisione e di vivacità - è stato esaminato attentamente. Ci si è chiesti come ha fatto Marco a giungere a una così mirabile arte di raccontare. A coloro che affermavano che l’evangelista, a guisa di giornalista, lasciava che la sua penna seguisse il corso degli avvenimenti, altri hanno opposto la rigorosa ricostruzione dell’episodio. Vi si scopre un sapiente montaggio: ogni elemento della narrazione trova il suo opposto, il tutto combinato in un mirabile gioco a incastro.
Si possono rilevare le seguenti opposizioni, partendo dalle estremità del racconto e procedendo verso il centro:
- all’inizio, Gesù «entra» nella sinagoga (v. 1a); alla fine, i farisei ne «escono» (v. 6a);
- in secondo luogo, è presentato l’uomo dalla mano paralizzata (v. 1c); all’altro capo, egli si presenta con la mano risanata (v. Sc);
- Gesù viene tenuto d’occhio da coloro che lo osservano (v. 2); ciò provoca il suo sguardo di riprovazione (v. 5a);
- Gesù pone la sua domanda sostanziale (v. 4a); ad essa risponde il silenzio dei suoi avversari (v. 4c).
Così, passo passo, si giunge al cuore del racconto, caratterizzato da un’intenzionale opposizione: fare il bene o il male, salvare la vita a uccidere (v. 4b).
L’insieme costituisce un perfetto gioco di corrispondenze. Questo procedimento è corrente nella letteratura se­mitica: lo dimostra il fatto che Marco non scrive con la naturale spontaneità del testimone; egli sa strutturare la
sua narrazione secondo le norme letterarie in vigore a quei tempi. Il racconto qui - come altrove -, al di là del­l’apparenza ingannevole del resoconto dell’avvenimento, si rivela un’accurata «messa in scena» che porta il lettore alla riflessione.


Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Gesù è spiato dai farisei, dai sadducei, dagli erodiani, nemici acclarati del giovane Rabbi di Nazaret: il loro cuore è colmo di ira, di sdegno; la loro mente è immersa nel buio della vanagloria, e così non lesinano astuzie per mettere in difficoltà Gesù. Sono pronti a tutto pur di farlo morire, e a questo scopo non disdegnano di allearsi con gli erodiani, da loro odiati perché considerati miscredenti. I Farisei costituivano il gruppo religioso più importante del giudaismo al tempo di Gesù. Scrupolosi osservanti della Legge mosaica si opposero con tenacia all’influsso del paganesimo ellenistico e rifiutarono apertamente il culto degli imperatori romani. Molti però portarono all’eccesso il loro zelo religioso, fino a scivolare nella ipocrisia, nella vanagloria e nel fanatismo. Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli dal lievito dei farisei e dei sadducei (Mt 16,5), e perché possano entrare nel regno dei cieli esige che la loro giustizia superi quella degli scribi e dei farisei (Mt 5,20). Nella pienezza del tempo (Gal 4,4), i discepoli di Cristo hanno rivestito l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (Ef 4,24), per cui hanno bandito dalla loro vita la menzogna (Ef 4,25). I credenti in Cristo nel confessare il mistero ineffabile della santissima Trinità professano che Dio è veritiero (Rm 3,4), che Cristo è la verità (Gv 14,6), pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), il testimone Fedele e Veritiero (Ap 19,11), che lo Spirito Santo è verità (Gv 16,13). I cristiani, cinti i fianchi con la verità (Ef 6,14), camminano nella verità  (3Gv 4).


... guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori - L’ipocrisia - Xavier Leon Dufour (Dizionario di Teologia Biblica): Sull’esempio dei profeti (ad es. Is. 29,13) e dei sapienti (ad es. Eccli 1,28 s; 32,15; 36, 20), ma con una forza ineguagliata, Gesù ha messo a nudo le radici e le conseguenze dell’ipocrisia, avendo di mira specialmente quelli che allora costituivano 1’«intellighenzia», scribi, farisei e dottori della legge.
Ipocriti sono evidentemente coloro la cui condotta non esprime i pensieri del cuore; ma essi sono pure qualificati da Gesù come ciechi (cfr. Mt 23,25 e 23,26). Un legame sembra giustificare il passaggio dall’uno all’altro senso: a forza di voler ingannare gli altri, l’ipocrita inganna se stesso e diventa cieco sul suo proprio stato, incapace di vedere la luce.
1. Il formalismo dell’ipocrita. - L’ipocrisia religiosa non è semplicemente una menzogna; essa inganna gli altri per acquistarne la stima mediante atti religiosi la cui intenzione non è semplice. L’ipocrita sembra agire per Dio, ma di fatto agisce per se stesso. Le pratiche più raccomandabili, elemosina, preghiera, digiuno, sono in tal modo pervertite dalla preoccupazione di «farsi notare» (Mt 6,2.5. 16; 23,5). Quest’abitudine di mettere una disarmonia tra il cuore e le labbra insegna a velare intenzioni malvagie sotto un’aria ingenua, come quando sotto pretesto di una questione giuridica si vuol tendere un’insidia a Gesù (Mt 22,18; cfr. Ger 18,18). Desideroso di salvare la faccia, l’ipocrita sa scegliere tra i precetti o adattarli con una sapiente casistica: può così filtrare
il moscerino ed inghiottire il cammello (Mt 23,24), o rivolgere le prescrizioni divine a profitto della sua rapina e della sua intemperanza (23,25): «Ipocriti! ben ha profetizzato di voi Isaia dicendo: questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me» (15,7).
2. Cieco che inganna se stesso. - Il formalismo può essere guarito, ma l’ipocrisia è vicina all’indurimento. I «sepolcri imbiancati» finiscono per prendere come verità ciò che vogliono far credere agli altri: si credono giusti (cfr. Lc 18,9; 20,20) e diventano sordi ad ogni appello alla conversione.
Come un attore di teatro (in gr. hypocritès), l’ipocrita continua a recitare la sua parte, tanto più che occupa un posto elevato e si obbedisce alla sua parola (Mt 23,2s). La correzione fraterna è sana, ma come potrebbe l’ipocrita strappare la trave che gli impedisce la vista, quando pensa soltanto a togliere la pagliuzza che è nell’occhio del vicino (7,4s; 23,3s)? Le guide spirituali sono necessarie in terra, ma non prendono il posto stesso di Dio quando alla legge divina sostituiscono tradizioni umane? Sono ciechi che pretendono di guidare gli altri (15, 3-14), e la loro dottrina non è che un cattivo lievito (Lc 12,1). Ciechi, essi sono incapaci di riconoscere i segni del tempo, cioè di scoprire in Gesù l’inviato di Dio, ed esigono un «segno dal cielo» (Lc 12,56; Mt 16,1ss); accecati dalla loro stessa malizia, non sanno che farsene della bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene (Lc 13, 15); se osano immaginare che Beelzebul è all’origine dei miracoli di Gesù, si è perché da un cuore malvagio non può uscire un buon linguaggio (Mt 12,24.34).
Per infrangere le porte del loro cuore, Gesù fa loro perdere la faccia dinanzi agli altri (Mt 23,1ss), denunziando il loro peccato fondamentale, il loro marciume segreto (23,27s): ciò è meglio che lasciarli condividere la sorte degli empi (24,51; Lc 12,46). Qui Gesù si serviva indubbiamente del termine aramico hanefa, che nel VT significa ordinariamente «perverso, empio»: l’ipocrita può diventare un empio. Il quarto vangelo cambia l’appellativo di ipocrita in quello di cieco: il peccato dei Giudei consiste nel dire: «Noi vediamo», mentre sono ciechi (Gv 9,40).
3. Il pericolo permanente dell’ipocrisia. - Sarebbe un’illusione pensare che l’ipocrisia sia propria soltanto dei farisei. Già la tradizione sinottica estendeva alla folla l’accusa di ipocrisia (Lc 12,56); attraverso ai «Giudei» Giovanni ha di mira gli increduli di tutti i tempi. Il cristiano, soprattutto se ha una funzione di guida, corre anch’egli il rischio di diventare un ipocrita. Pietro stesso non è sfuggito a questo pericolo nell’episodio di Antiochia che lo mise alle prese con Paolo: la sua condotta era una «ipocrisia» (Gal 2,13). Lo stesso Pietro raccomanda al fedele di vivere semplice come un neonato, conscio che l’ipocrisia lo attende al varco (1Piet 2,1) e lo porterebbe a cadere nell’apostasia (1Tim 4,2).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Pietro raccomanda al fedele di vivere semplice come un neonato, conscio che l’ipocrisia lo attende al varco (1Piet 2,1 ) e lo porterebbe a cadere nell’apostasia (1 Tim 4,2).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai ispirato a sant’Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un nuovo modello di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo...