IL PENSIERO DEL GIORNO

4 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli» (Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 8,5-11: Il racconto della guarigione del servo del centurione romano, ci suggerisce che il Vangelo ha superato gli angusti confini della Palestina, e ha raggiunto il cuore dei pagani: “non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.” (Col 3,11). La Chiesa per un po’ di tempo resterà chiusa nella gabbia del nazionalismo giudaico (At 11,9), poi, a motivo della continua ostilità dei giudei, comprenderà che la Buona Novella doveva essere annunciata a tutti i popoli (Mt 28,19): “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino alla estremità della terra».” (At 13,46-48). Alla testardaggine d’Israele, popolo disobbediente e ribelle (Rm 10,21), Dio risponde pazientemente con la fedeltà: quando nell’ovile di Cristo saranno entrate tutte quante le genti, allora tutto Israele sarà salvato (Rm 11,25-26). Il Vangelo è luce che illumina tutta l’umanità, la pazienza e la fedeltà di Dio aprono i cuori degli uomini alla pace e alla speranza.


Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): v. 8 Matteo riporta il fatto in forma compendiosa, come appare manifestamente dal racconto parallelo di Luca, 7, l-10. Quest’ultimo evangelista parla di una ambasceria inviata a Gesù dal centurione per ottenere la guarigione. Le umili parole del centurione rivelano uno scrupolo religioso. L’ufficiale romano conosceva, per esperienza diretta, che gli Ebrei non entravano volentieri nelle case dei pagani per timore di contrarre un’impurità legale. Il centurione desidera risparmiare a Gesù un atto che poteva contaminarlo e renderlo inviso ai correligionari. Questo delicato sentimento suggerisce all’ufficiale un’espressione di fede viva nella potenza di Cristo. Gesù non aveva bisogno di recarsi nella sua casa, poiché egli, possedendo dei grandi poteri, era in grado di comandare all’infermità con una parola ed il suo ordine sarebbe stato eseguito dalle forze del male che minacciavano il servo morente.
v. 9 Il centurione fa appello alla propria esperienza; egli conosce la potenza della parola e l’efficacia di un ordine, poiché nella sua carriera militare aveva visto come il comando giunge lontano.
v. 10 Gesù ... restò ammirato; Cristo, come uomo, era soggetto alla meraviglia. L’evangelista rileva questo aspetto interessante della natura umana di Gesù. Il Redentore elogia la fede del centurione pagano, il quale gli aveva espresso la propria fiducia nella potenza della sua parola. Non bisogna tuttavia sottilizzare troppo le parole di Cristo, né intenderle in modo assoluto, come se nessun altro ebreo avesse raggiunto l’intensità della fede del centurione.
vv. 11-12 La fede dell’ufficiale pagano richiama a Matteo un detto che Gesù pronunziò in altra circostanza (cf. Lc., 13,28-29). Cristo lamenta la sorte degli Ebrei (i figli del regno) che dovevano essere gli eredi delle promesse fatte ai patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) e che invece, per un’ostinata cecità, non entrarono nel regno messianico che attendevano; al loro posto furono chiamati i pagani da ogni parte del mondo. Il pensiero è espresso con le immagini del banchetto e delle tenebre; i pagani siedono festosamente a mensa con i patriarchi, gli Ebrei invece rimangono nelle tenebre e in un luogo di pianto e di dolore.


Jean Duplacy: Per la Bibbia la fede è la sorgente e il centro di tutta la vita religiosa. Al disegno, che Dio realizza nel tempo, l’uomo deve rispondere mediante la fede. Sulle orme di Abramo, «padre di tutti coloro che credono» (Rom 4,11), i personaggi esemplari del Vecchio Testamento sono vissuti e sono morti nella fede (Ebr 11) che Gesù « porta a perfezione» (Ebr 12,2). I discepoli di Cristo sono «coloro che hanno creduto» (Atti 2,44) e «che credono» (1Tess 1,7).
La varietà del vocabolario ebraico della fede riflette la complessità dell’atteggiamento spirituale del credente. Tuttavia due radici sono dominanti: ‘aman evoca la fermezza e la certezza; batah, la sicurezza e la fiducia. Il vocabolario greco è ancora più vario. Di fatto la religione greca praticamente non concedeva posto alla fede; quindi i LXX, non disponendo di parole appropriate per rendere l’ebraico, sono andati a tastoni. Alla radice batah corrispondono soprattutto: elpis, elpizo, pèpoitha (Volg.: spes, sperare, confido); alla radice ‘aman: pistis, pistèuo, alètheia (Volg.: fides, credere, veritas). Nel Nuovo Testamento le ultime parole greche, relative al campo della conoscenza, diventano nettamente predominanti. Lo studio del vocabolario rivela già che la fede, secondo la Bibbia, ha due poli: la fiducia che si pone in una persona «fedele» ed impegna tutto l’uomo; e dall’altra parte, un passo dell’intelligenza, cui una parola a dei segni permettono di accedere a realtà che non si vedono (Ebr 11,1).


Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Giugno 1989): Le parole “Signore, ... io non sono degno” (Lc 7,6) furono pronunciate per la prima volta da un centurione romano, un uomo che era un soldato nella terra di Israele. Benché fosse uno straniero e un pagano, amava il popolo d’Israele, tanto che - come ci dice il Vangelo - aveva perfino costruito una sinagoga, una casa di preghiera (cf. Lc 7,5). Per questo motivo i Giudei appoggiarono caldamente la richiesta che voleva fare a Gesù, di guarire il suo servo. Rispondendo al desiderio del centurione, Gesù s’incamminò verso la sua casa. Ma ora il centurione, volendo prevenire l’intento di Gesù, gli disse: “Signore, non stare a disturbarti, perché io non sono degno che tu venga sotto il mio tetto; ecco perché non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te. Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito (Lc 7,6-7). Cristo accedette al desiderio del centurione, ma nello stesso tempo “restò ammirato” dalle parole del centurione e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse. “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande” (Lc 7,9).
Se ripetiamo le parole del centurione quando ci accostiamo alla Comunione, lo facciamo perché queste parole esprimono una fede che è forte e profonda. Le parole sono semplici, ma in un certo senso contengono la verità fondamentale la quale dice chi è Dio e chi è l’uomo. Dio è il santo, il creatore che ci dà la vita e che ha fatto tutto ciò che esiste nell’universo. Noi siamo creature e suoi figli, bisognosi di essere guariti dai nostri peccati. [...] Le parole del centurione sono la voce della creatura che dà lode al Creatore per la sua generosità e bontà. Quelle parole contengono addirittura l’intero Vangelo: l’intera buona Novella della nostra salvezza. Danno testimonianza del dono meraviglioso di Dio stesso, espresso nella Parola di vita. Dio conferisce all’uomo un dono assolutamente gratuito - una partecipazione alla sua stessa natura divina. Dona alle sue creature la vita eterna in Cristo. L’uomo è graziato da Dio.
La fede del centurione romano fu grande ... Sapeva di non essere degno di un simile dono, e che questo dono era infinitamente più grande di quanto lui, semplice uomo, avrebbe mai potuto realizzare o anche desiderare, perché il dono è realmente soprannaturale. La meraviglia di questo dono è che ci dà la possibilità di conseguire l’oggetto della nostra più profonda aspirazione. vivere per sempre in unione intima con Dio, fonte di ogni bene. Nella Eucaristia partecipiamo sacramentalmente a questo stesso dono. La Eucaristia è un memoriale della Passione e morte di Gesù: ci riempie di grazia, ed è segno della nostra futura gloria. Attraverso la fede dobbiamo costantemente rinnovare la nostra gratitudine per il dono divino.
In Cristo, che è il dono divino, il dono del Vangelo, il dono dell’Eucaristia è offerto a ognuno. Ognuno è invitato a diventare membro della “famiglia della fede” (cf. Gal 6,10). In questa Chiesa non vi sono “stranieri”. Perfino chi viene da “un Paese distante”, da molto lontano, è “in casa” nella Chiesa. È ciò che dice la prima lettura odierna dal libro dei Re: quando Salomone dedica il grande tempio di Gerusalemme, prega perché “tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome” (1Re 8,43). Nonostante le differenza di razza, di nazionalità, di lingua e di cultura, tutti sono chiamati a partecipare in pari misura all’unità e alla fratellanza del Popolo di Dio. Pur rendendoci conto che la storia ha lasciato a noi cristiani quelle divisioni e differenze di fede che rendono impossibile per noi partecipare insieme all’Eucaristia, proclamiamo ardentemente che venga il momento quando la preghiera di Cristo troverà una piena risposta, che tutti possano essere una cosa sola, affinché il mondo creda (cf. Gv 17,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Wolfgang Trilling: L’episodio afferma con chiarezza che mai può valere un diritto alla salvezza in forza di una tradizione o per i meriti degli antenati o per il fatto di appartenere a una famiglia, a una associazione, a un popolo. Ciò che decide è «una fede così grande». Colui che la possiede viene concesso in abbondanza quello che chiede, anzi gli vien dato anche quello che, nella sua modestia, non ardisce ancora chiedere.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, o Padre,ci renda perseveranti nel bene in attesa del Cristo tuo Figlio;quando egli verrà e busserà alla portaci trovi vigilanti nella preghiera, operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo