IL PENSIERO DEL GIORNO

15 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere» (Mt 11,19).  


Vangelo secondo Matteo 11,16-19: Israele è città sbarrata al Vangelo, ha chiuso le porte alla buona notizia, non accetta il “vino nuovo” di Dio: non ha accettato Giovanni il Battista adducendo che le sue proposte di conversione erano dure, impossibili da attuare, è venuto Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, e lo deride perché la sua vita e il suo cuore sono inclini alla bontà, alla misericordia. L’uomo con sé stesso vuole debolezza e non la fermezza di Giovanni, e per il prossimo non il perdono di Dio, ma aspre condanne ed eterni castighi. Una contraddizione che dalla sapienza di Dio è rimproverata e punita.


Vi abbiamo suonato...: Angelo Lancellotti (Matteo): Si allude al gioco delle «nozze» e dei «funerali». L’atteggiamento dei Giudei richiama alla mente di Gesù l’immagine di quei ragazzi capricciosi  che si rifiutano di partecipare a qualunque genere di gioco, sia esso gaio o mesto. L’invito austero di Giovanni ebbe per risposta: «È un pazzo», quello di Gesù, che porta la gioia delle nozze messianiche (cf. 22,4), è accolto con disprezzo.


Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): Il motivo della ripulsa non è dovuto al fatto che Cristo non adempie l’aspettativa, oppure che il regno non è efficace, a perché non porta il regno di Dio. Il motivo non risiede in Cristo, ma negli uomini, che l’accolgono in modo sbagliato. Essi sono prevenuti, si sono formati le proprie idee e misurano tutto secondo misure puerili. Sono veramente simili a bambini viziati, che non si riesce ad accontentare. Se li si invita a nozze, preferiscono atteggiarsi alla mestizia. Se li si incita a partecipare al funerale, si rifiutano d’indossare gli abiti da lutto. Per quanto si faccia non sono mai soddisfatti. Il Battista si era presentato come asceta e lo giudicano troppo rigido. Cristo vive come uno di loro e lo trovano troppo poco ascetico. Gli uni vorrebbero che Cristo invocasse il fuoco celeste su tutti i nemici: così com’è lo giudicano troppo riguardoso e bonario, troppo poco radicale e impetuoso. Gli altri bramerebbero un cristianesimo che faciliti la vita e porti il benessere. Perciò il Crocifisso è troppo duro per loro, e il suo invito alla rinunzia inaccettabile. Ostinati, fanno valere soltanto il loro concetto e misurano Iddio con il metro delle loro costruzioni, invece di costruire, a di lasciar costruire, col metro di Dio. Vogliono elevare da soli un regno di Dio, senz’accorgersi che sarebbe un regno degli uomini e Dio, quindi, risulterebbe fatto a immagine dell’uomo. Cristo invece porta il regno di Dio e vuole uomini fatti a sua somiglianza. Non è Dio che deve adattarsi all’uomo, ma l’uomo a Dio. Soltanto quando l’umanità effettuerà il capovolgimento di Copernico, per cui non sarà Dio a girare intorno a loro, bensì essi intorno a Dio, assumeranno il contegno giusto che permetterà di comprendere e di accogliere Cristo. La loro ostinazione deve fondersi nelle idee di Dio. Allora soltanto vedranno che Cristo dà il vero significato alla vita e alla storia, che altrimenti non hanno senso alcuno. Attendere un altro significherebbe non vedere colui che è venuto; trascurare il presente, che non ha futuro, vorrebbe dire non scorgere il tempio del Signore per sognare castelli in aria. Era colui, che doveva venire. È colui, che è venuto.


È venuto il Figlio dell’uomo - Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 29 Aprile 1987): Il titolo “Figlio dell’uomo” proviene dall’Antico Testamento dal Libro del profeta Daniele. Ecco il testo che descrive una visione notturna del profeta: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dn 7,13-14).
E quando il profeta chiede la spiegazione di questa visione, riceve la risposta seguente: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli ... allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Dn 7,18.27). Il testo di Daniele riguarda una persona singola e il popolo. Notiamo subito che ciò che si riferisce alla persona del Figlio dell’uomo si ritrova nelle parole dell’angelo nell’annunciazione a Maria: “regnerà per sempre . . . e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33).
Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uomo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’Antico Testamento e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (“bar-enas”). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’insegnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.
Nel contesto della vita terrena di Gesù di Nazaret troviamo testi quali: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20); o anche: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19). Altre volte la parola di Gesù assume un valore più fortemente indicativo del suo potere. Così quando dice: “Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2,28). In occasione della guarigione del paralitico calato attraverso un’apertura praticata nel tetto egli afferma in tono quasi di sfida: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2,10-11). Altrove Gesù dichiara: “Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11,30). In altra occasione si tratta di una visione avvolta nel mistero: “Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete” (Lc 17,22).


Ecco, è un mangione e un beone: Laudato Si n. 98: Gesù viveva una piena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). Non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita. Riferendosi a sé stesso affermava: «È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone”» (Mt 11,19). Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo. Tuttavia, questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo. Gesù lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con la materia creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano. È degno di nota il fatto che la maggior parte della sua vita è stata dedicata a questo impegno, in un’esistenza semplice che non suscitava alcuna ammirazione: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,3). Così ha santificato il lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione. San Giovanni Paolo II insegnava che «sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità».


La sapienza nelle Lettere di san Paolo - John L. Mckenzie (Dizionario Biblico): Dio soltanto possiede la vera sapienza, che è troppo profonda (Rm 11,33; 16,27) o complessa (Ef 3,10) perché l’uomo la possa trovare. La sapienza cristiana - come quella Antico Testamento - è un dono di Dio (Ef 1,8; Col l,9). L’abilità nel parlare la parola della sapienza è un dono carismatico (1Cor 12,8). Lo spirito di sapienza è dato da Dio (Ef 1,17). La sapienza è insegnata dall’apostolo che propone la rivelazione cristiana (Co1 1,28); Paolo rifiuta la sapienza carnale come mezzo per presentare il suo messaggio (2Cor 1,12). I cristiani si devono ammonire reciprocamente con sapienza (Col 3,16), e così devono fare anche con coloro che sono fuori della chiesa (Col 4,5). Devono distinguere la sapienza vera da quella apparente (Col 2,23). La sapienza che viene dall’alto si dimostra genuina mediante al condotta retat (Gc 3,13-15): è una sapienza per il bene (Rm 16,19).
La sapienza di questo mondo fa si che chi la possiede si crede saggio mentre è stolto (Rm 1,22). In questo caso sembra che sapienza abbia il significato tecnico di conoscenza filosofica: questi sono i saggi ai quali il potere e la divinità di Dio sono noti per via di ragione, attraverso la creazione, e che tengono prigioniera la verità di Dio (Rm 1,18-21): sembra che si tratti di dotti di professione.
Non è chiaro se nella sua polemica contro la sapienza mondana Paolo intenda questo stesso tipo di sapienza (1Cor 1,17-2,7): le allusioni alla sapienza nel parlare (1Cor 1,17,20; 2,1,4,6) fanno pensare che il genere di sapienza condannato da Paolo sia quello retorico e filosofico che, secondo alcuni, mancava nei discorsi di Paolo. Qui Paolo definisce la vera sapienza cristiana: è Cristo, e Cristo inchiodato alla croce (1Cor 1,18.22; 2,2). Questa è la sapienza di Dio che per il mondo è stoltezza e che confonde la sapienza del mondo. Cristo è la sapienza di Dio (lCro 1,24); la sapienza di Dio, quindi, è rivelazione, irraggiungibile mediante la ricerca umana. Non occorre che tale sapienza sia presentata con i mezzi della sapienza retorica (1Cor 2,4). È la rivelazione della sapienza nascosta e dell’intenzione segreta di Dio, del suo piano di salvezza per l’umanità mediante Cristo crocifisso (1Cro 2,7-10).
Quindi i saggi di questo mondo si devono fare stolti per acquistare la sapienza di Dio, dato che la sapienza del mondo è stoltezza per Dio (1Cor 3,18s).
Tutti i tesori della sapienza di Dio sono in Cristo (Col 2,3).
La concezione di Cristo come sapienza di Dio può riecheggiare la concezione della sapienza personificata: in particolare sembra corrispondere alla concezione della sapienza come legge. Per il giudeo la legge era il mezzo di rivelazione e di salvezza. Cristo è venuto per compiere la legge, ossia per attuarne la funzione di rivelazione e di salvezza. Cristo è la vera conoscenza comunicata da Dio, la chiave per l’unione con Dio e per una vita serena e di successo.
Anche la sapienza trova in Cristo il suo compimento.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Attendere un altro significherebbe non vedere colui che è venuto; trascurare il presente, che non ha futuro, vorrebbe dire non scorgere il tempio del Signore per sognare castelli in aria.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Rafforza, o Padre, la nostra vigilanza nell’attesa del tuo Figlio, perché, illuminati dalla sua parola di salvezza, andiamo incontro a lui con le lampade accese. Per il nostro Signore Gesù Cristo...