IL PENSIERO DEL GIORNO

14 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista» (Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 11,11-15: Giovanni è esaltato in quanto precursore di Gesù, colui che dà inizio agli ultimi tempi. Ma se Giovanni il Battista è il più grande fra i nati da donna, il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui: praticamente, il dono di entrare nel regno dei cieli è un privilegio incommensurabilmente così grande che perfino il «più piccolo», è più grande del figlio di Zaccaria ed Elisabetta. Questa insegnamento di Gesù “oppone due epoche dell’opera divina, due «economie», senza per nulla svalutare la persona di Giovanni, i tempi del regno trascendono totalmente quelli che lo hanno preceduto e preparato.” (Bibbia d Gerusalemme). Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono, Giovanni con la sua vita, insegnando al popolo che si entra nel regno a prezzo delle più dure rinunce ha bene illustrato questo detto di Gesù, ma le parole di Gesù possono nascondere un ulteriore messaggio: “il regno dei cieli si fa strada con violenza, cioè si stabilisce con forza, a dispetto di tutti gli ostacoli.” (Bibbia di Gerusalemme).


Il popolo attendeva la venuta di un nuovo profeta perché comunemente si credeva che le profezie si erano estinte con la morte del profeta Malachia, l’ultimo profeta, dell’Antico Testamento. Giovanni è il profeta atteso da Israele il quale ha assolto pienamente il ruolo di precursore che gli assegnava Malachia (Cf. Mt 17,10-13).
Gesù, esaltando la persona di Giovanni, lo dichiara «più che un profeta», in quanto precursore di colui che dà inizio agli ultimi tempi.
Matteo nel ricordare la venuta del Precursore cita l’Antico Testamento, o meglio opera una combinazione di Malachia (3,1) ed Esodo (23,20), con una significativa variazione: il «dinanzi a me», riferito a Dio, diviene qui «dinanzi a te», riferito a Gesù: il mes­saggero ora non precede Dio, ma Gesù, in questo modo il testo di Matteo diventa una chiara allusione alla divinità del Figlio di Maria (Mc 6,3).
Se Giovanni il Battista è il più grande «fra i nati da donna», «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui»: praticamente, il dono di entrare nel regno dei cieli è un privilegio infinitamente così grande che perfino il «più piccolo» lì, è più grande del figlio di Zaccaria ed Elisabetta.
Ancora una volta nell’annuncio del Cristo prevale il messaggio dell’amore. Gesù non è il giudice irato con la scure in mano: lui che è venuto primariamente per i poveri, gli indigenti, gli ultimi, i bisognosi di tutto si è «rivestito di debolezza» (Eb 5,2) per attrarre a sé gli uomini con i legami dell’amore.
L’amore è l’unica via per entrare nel regno dei cieli, e lì il più grande sarà colui che in terra avrà amato più degli altri.


Giovanni Battista: Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo (Omelia, 13 dicembre 2007): In questo tempo di Avvento varie volte la Chiesa ci presenta Giovanni Battista come colui che prepara la via al Signore. Di nessuno Gesù ha parlato così a lungo come del Battista. Con una serie incalzante di domande lo presenta come il profeta che sa attendere il Signore, e ne fa l’esempio per i credenti. In effetti, il Battista, con una vita austera, ha preparato anzitutto se stesso all’incontro con Dio, non si è trincerato dietro un facile orgoglio e una scontata autosufficienza. Si potrebbe dire che ha violentato se stesso per far crescere nel suo cuore l’uomo religioso che sa attendere l’inviato di Dio. Ha saputo creare nel suo cuore una vera interiorità. E poi con la predicazione ha cercato di aprire una via nel cuore degli uomini della sua generazione perché riconoscessero e accogliessero il Signore. In questo è davvero “il più grande tra i nati di donna”; un fratello unico che il Signore continua ad inviarci perché anche noi prepariamo il nostro cuore ad accogliere Gesù che viene per poterlo quindi indicare anche agli altri.


Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono: Redemptor Hominis 11: Gesù Cristo è stabile principio e centro permanente della missione, che Dio stesso ha affidata all’uomo. A questa missione dobbiamo partecipare tutti, in essa dobbiamo concentrare tutte le nostre forze, essendo più che mai necessaria all’umanità del nostro tempo. E se tale missione sembra incontrare nella nostra epoca opposizioni più grandi che in qualunque altro tempo, tale circostanza dimostra pure che essa è nella nostra epoca ancor più necessaria e - nonostante le opposizioni - è più attesa che mai. Qui tocchiamo indirettamente quel mistero dell’economia divina, che ha unito la salvezza e la grazia con la croce. Non invano Cristo disse che «il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono»; ed inoltre che «i figli di questo mondo (...) sono più scaltri dei figli della luce». Accettiamo volentieri questo rimprovero, per essere come quei «violenti di Dio» che abbiamo tante volte visto nella storia della Chiesa e che scorgiamo ancor oggi, per unirci consapevolmente nella grande missione, e cioè: rivelare Cristo al mondo, aiutare ciascun uomo perché ritrovi se stesso in Lui, aiutare le generazioni contemporanee dei nostri fratelli e sorelle, popoli, nazioni, stati, umanità, paesi non ancora sviluppati e paesi dell’opulenza, tutti insomma, a conoscere le «imperscrutabili ricchezze di Cristo», perché queste sono per ogni uomo e costituiscono il bene di ciascuno.


Ci siamo rassegnati: Paolo VI (Udienza Generale, 4 febbraio 1976): Ci siamo rassegnati allo scoraggiamento, alla fatalità degli avvenimenti, mascherando di intelligente tempestività il vostro tardivo ossequio al trionfo della moda e della passività ambientale; senza più afferrarci ai nostri principii, ai nostri doveri, alla nostra coscienza cristiana. Ebbene, se vogliamo essere coerenti e fedeli dovremo ricordarci che dobbiamo essere forti, secondo ragione s’intende, anche se questa virtù della fortezza cristiana ci espone a non pochi pericoli, a non poche difficoltà (cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIæ, 123,1). La nostra professione cristiana non dev’essere condizionata dalla paura. Cristo ce lo ha ripetuto tante volte (cfr. Matth. 10,28). Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti (cioè i forti) lo possono raggiungere (Ibid. 11,12). Il cristiano non dev’essere un mediocre, ma un forte (cfr. S. AMBROSII De Officiis, 1, 39). Se la nostra educazione cristiana è stata debole e reticente, specialmente sul senso del dovere, su l’obbligo della testimonianza e dell’apostolato, sul rischio dell’impopolarità, dell’avversa fortuna (cfr. Io. 16,20) e perfino della vita (Ibid. 12,24-25), noi dobbiamo corroborarla di virtù per sé religiose, quali sono la fede, la speranza, l’amore, ma eminentemente pratiche anche nell’ordine temporale (cfr. Gal. 3,11; Rom. 5,5; 2Cor. 1,7; etc.); e ricuperare alla nostra vita cristiana la virtù cardinale della fortezza.



San Giovanni della Croce: Benedetto XVI (Omelia, 4 novembre 1982): Una delle cose che più attirano l’attenzione negli scritti di san Giovanni della Croce è la lucidità con cui ha descritto la sofferenza umana, quando l’anima è investita dalla tenebra luminosa e purificatrice della fede.
Le sue osservazioni sorprendono il filosofo, il teologo e perfino lo psicologo. Il dottore mistico ci insegna la necessità di una purificazione passiva, di una notte oscura che Dio provoca nel credente, affinché sia più pura la sua adesione nella fede, speranza e amore. Infatti è così. La forza purificatrice dell’anima umana viene da Dio stesso. E Giovanni della Croce fu cosciente, come pochi, di questa forza purificatrice. Dio stesso purifica l’anima fino ai più profondi abissi del suo essere, accendendo nell’uomo la fiamma viva d’amore: il suo Spirito.
Egli ha contemplato con un’ammirabile profondità di fede, e a partire dalla sua propria esperienza della purificazione della fede, il mistero di Cristo Crocifisso; fino al culmine del suo abbandono sulla croce, dove viene offerto a noi, come esempio e luce dell’uomo spirituale. Lì, il Figlio amato del Padre “ha avuto bisogno di esclamare: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46)
Quello fu l’abbandono più grande che mai aveva provato nella sua vita. E in esso Gesù ha operato il miracolo più grande che mai avesse potuto operare nella sua vita, né in terra né in cielo, e che consistette nel riconciliare ed unire il genere umano con Dio” (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7, 11).
Anche l’uomo moderno, nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e collettiva l’abisso dell’abbandono, la tentazione del nichilismo, l’assurdità di tante sofferenze fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l’apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive.
Anche il cristiano e la stessa Chiesa possono sentirsi identificati con il Cristo di San Giovanni della Croce, nel culmine del suo dolore e del suo abbandono. Tutte queste sofferenze sono state assunte dal Cristo nel suo grido di dolore e nella sua fiduciosa consegna al Padre. Nella fede, la speranza e l’amore, la notte si converte in giorno, la sofferenza in gioia, la morte in vita.
Giovanni della Croce, con la sua esperienza, ci invita alla fiducia, a lasciarci purificare da Dio; nella fede intessuta di speranza e di amore, la notte comincia a conoscere “le luci dell’aurora”; si fa luminosa come una notte di Pasqua - “O vere beata nox”, “Oh notte amabile più dell’alba” - e annuncia la risurrezione e la vittoria, la venuta dello Sposo che unisce a sé e trasforma il cristiano: “Amata nell’Amato trasformata”.
Magari le notti oscure che si addensano sulle coscienze individuali e sulle collettività del nostro tempo fossero vissute nella fede pura; nella speranza “che tanto ottiene quanto spera”; nell’amore ardente della forza dello Spirito, affinché si convertano in giornate luminose per la nostra umanità addolorata, in vittoria del Risorto che libera col potere della sua croce!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  O Dio, che hai guidato san Giovanni della Croce alla santa montagna che è Cristo, attraverso la notte oscura della rinuncia e l’amore ardente della croce, concedi a noi di seguirlo come maestro di vita spirituale, per giungere alla contemplazione della tua gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo...