IL PENSIERO DEL GIORNO

9 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Io mi sono scelto e ho consacrato questa casa perché il mio nome vi resti sempre» (2Cr 7,16; Cf. Canto al Vangelo).  


Vangelo secondo Gv 2,12-22: Gesù vuole suggerire che il suo corpo risuscitato sarà il centro del culto in spirito e verità (Cf. Gv 4,21s), il luogo della presenza divina (Cf. Gv 1,14), il tempio spirituale da dove zampilla la sorgente d’acqua viva (Cf. Gv 7,37-39; 19,34). È uno dei grandi simboli giovannei (Cf. Ap 21,22).


Si avvicinava la Pasqua dei Giudei - Questa indicazione potrebbe rivelare una mal celata polemica verso i culti ebraici, specialmente verso la pasqua ebraica definitivamente sostituita con la pasqua cristiana. È la prima delle tre Pasque registrate dal Vangelo di Giovanni (Cf. 6,4; 11,55).
Salì a Gerusalemme, poiché Gesù proveniva da Cafarnao (Cf. Gv 2,12), una cittadina posta sotto il livello del mare mentre Gerusalemme è a circa 800 metri sul livello del mare, questa segnalazione geograficamente è esatta.
Il racconto della purificazione del Tempio e la disputa sul Tempio nel quarto Vangelo è all’inizio del ministero pubblico di Gesù, nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) è invece posto alla fine del ministero: l’evangelista Giovanni «l’avrebbe trasposta all’inizio, perché, mentre nei sinottici questa costituiva il motivo della condanna a morte di Gesù, nel IV vangelo il motivo ultimo di essa è costituito dalla risurrezione di Lazzaro [11,45-12,11]» (Giuseppe Segalla).
Trovò nel tempio, è il recinto sacro, che comprendeva anche il cortile dei pagani. I cambiamonete, seduti ai loro banchi, avevano l’ufficio, dietro compenso, di cambiare per gli ebrei il denaro proveniente dalle nazioni pagane riproducenti l’effige dei sovrani e per tale motivo inadatte per pagare la tassa del Tempio.
A questo punto, Gesù, provoca i Giudei. A gente avvezza a tenere in mano la Sacra Scrittura, il gesto del Cristo è inequivocabile e di una portata straordinaria. Egli si pone al di sopra delle tradizioni giudaiche presentandosi come «il Figlio di Dio, perciò esigono da lui un segno - cioè un miracolo - che giustifichi il suo operato. Ci troviamo, qui, di fronte ad una richiesta tipicamente giudaica: in pratica, i Giudei non vogliono credere, ma vedere, per poi finire per negare l’evidenza... Rifugiandosi nell’affermazione che “costui scaccia i demoni per mezzo di Belzebul, il capo dei demoni”» (G. Gambino).
Gesù accetta la sfida dei Giudei e con l’immagine della distruzione e della ricostruzione del Tempio, preannuncia loro come segno la sua risurrezione.
I Giudei non afferrano il vero significato delle parole di Gesù per cui non possono non restare che beffardamente stupiti della sua pretesa di poter realizzare in tre giorni un’opera per la quale c’erano voluti ben quarantasei anni. L’equivoco, soggiacente alle parole di Gesù, annuncia una verità sconvolgente e che rivoluzionerà per sempre i destini dell’umanità: la morte e la risurrezione del «Figlio di Maria» (Mc 6,3) distruggeranno per sempre l’impero di Satana liberando l’uomo dal potere del peccato e della morte.
Il verbo greco, egheiro (lo farò risorgere), che troviamo nella frase è lo stesso usato per indicare la risurrezione di Gesù. Se negli altri testi del Nuovo Testamento è Dio che fa risorgere Gesù, nel Vangelo di Giovanni è Gesù ad avere il potere di risorgere: Figlio di Dio (Cf. Mc 1,1), Cristo Gesù, come il Padre risuscita i morti e dona la vita a chi vuole (Cf. Gv 5,21). Egli è la risurrezione e la vita, chi crede in lui, anche se muore, vivrà (Cf. Gv 11,25). Gesù ha il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo (Cf. Gv 10,17-18). Se nell’episodio della purificazione del Tempio, l’attestazione della divinità di Gesù è discreta e alquanto velata, questa si farà sempre più chiara con l’incalzare degli eventi tanto da entrare tra i capi d’accusa contro il giovane Rabbi di Nazaret: i Giudei «cercavano di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (Gv 5,18).
L’espressione tre giorni indica un periodo di tempo breve ma indefinito (Cf. Os 6,2).
Approfittando quindi di un equivoco verbale, Gesù conduce i suoi interlocutori alla realtà del suo corpo che sarà distrutto dalla morte e fatto risorgere dalla potenza di Dio il giorno di Pasqua. E ad evitare ulteriori equivoci, l’annotazione giovannea, ma egli parlava del tempio del suo corpo, toglie definitivamente ogni fraintendimento nella interpretazione del segno offerto da Gesù, il quale si presenta come il vero Tempio di Dio (Cf. Gv 1,14), cioè come la presenza di Dio tra gli uomini.
Al pari dei Giudei, anche i discepoli non comprendono, infatti soltanto quando fu risuscitato dai morti si ricordarono e credettero: «Giovanni si riferisce a quel ricordarsi e capire che fu tipico del periodo dopo la risurrezione: alla luce di quell’evento anche tutta la storia precedente si fa chiara, perfettamente logica; allora la fede dei discepoli è piena e decisa» (Carlo Buzzetti).
Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome: alla fede dei neo convertiti non corrisponde la fiducia di Gesù proprio perché, come annota l’evangelista, la loro fede era basata sui segni. Praticamente, una fede in «Gesù taumaturgo. Gesù conosce il cuore dell’uomo [1,42-27; 6,70-71] e perciò non si fida di questa fede, anche se essa alle volte può arrivare alla perfezione, come accadde al cieco nato e allo stesso Nicodemo, che viene ovviamente considerato uno di coloro che credettero in Gesù per i segni da lui operati» (Giuseppe Segalla).


Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 583-586

Gesù e il Tempio

Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta giorni dopo la nascita. All’età di dodici anni decide di rimanere nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori che egli deve occuparsi delle cose del Padre suo. Vi è salito ogni anno, almeno per la Pasqua, durante la sua vita nascosta; lo stesso suo ministero pubblico è stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste ebraiche.
 Gesù è salito al Tempio come al luogo privilegiato dell’incontro con Dio. Per lui il Tempio è la dimora del Padre suo, una casa di preghiera, e si accende di sdegno per il fatto che il cortile esterno è diventato un luogo di commercio. Se scaccia i mercanti dal Tempio, a ciò è spinto dall’amore geloso per il Padre suo: «Non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato. I discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divora” (Sal 69,10; Gv 2,16-17)». Dopo la sua risurrezione, gli Apostoli hanno conservato un religioso rispetto per il Tempio.
Alla vigilia della sua passione, Gesù ha però annunziato la distruzione di questo splendido edificio, di cui non sarebbe rimasta pietra su pietra. In ciò vi è l’annunzio di un segno degli ultimi tempi che stanno per iniziare con la sua pasqua. Ma questa profezia ha potuto essere riferita in maniera deformata da falsi testimoni al momento del suo interrogatorio presso il sommo sacerdote e ripetuta come ingiuria mentre era inchiodato sulla croce
Lungi dall’essere stato ostile al Tempio dove ha dato l’essenziale del suo insegnamento, Gesù ha voluto pagare la tassa per il Tempio associandosi a Pietro, che aveva posto come fondamento di quella che sarebbe stata la sua Chiesa. Ancor più, egli si è identificato con il Tempio presentandosi come la dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini. Per questo la sua uccisione nel corpo annunzia la distruzione del Tempio, distruzione che manifesterà l’entrata in una nuova età della storia della salvezza: «È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21).


Dal Laterano deriva la storia del Papato: Paolo VI (Angelus, 9 novembre 1969): È una ricorrenza festiva, che ha nella liturgia, fin dall’inizio del secolo quarto, un grande rilievo, perché connessa intimamente con la vita della Chiesa: sorge di qui l’applicazione di questo nome di Chiesa,. che significa l’assemblea dei fedeli, al tempio che li raccoglie. La Chiesa, società dei credenti, attesta al Laterano la sua più solida e evidente struttura esteriore; non che ciò ne documenti solo il carattere temporale, relativo alle necessità strumentali della Chiesa, ma ciò piuttosto documenta e favorisce la libertà che la Chiesa ha acquisita nel diritto pubblico della vita civile; ne alimenta la sua vitale necessità comunitaria, che si esprime principalmente nella carità della comunione liturgica, rivolta a Dio Padre mediante Cristo, nello Spirito Santo e per i fratelli; e offre alla parola di Dio la sua cattedra più autorevole: il magistero apostolico vi ha la sua prima sede. Dal Laterano deriva la storia del Papato e di Roma cattolica; si secoli della nostra tradizione occidentale vi trovano la loro sorgente; l’unità e la cattolicità della Chiesa vi hanno il loro cardine simbolico, che conferisce al Laterano il titolo, tanto glorioso e tanto grave e responsabile di «caput et mater», di Chiesa capo e madre di tutte le Chiese.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** È giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai voluto chiamare tua Chiesa la moltitudine dei credenti, fa’ che il popolo radunato nel tuo nome ti adori, ti ami, di segua, e sotto la tua guida giunga ai beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...