IL PENSIERO DEL GIORNO

26 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Voi siete mio gregge, io giudicherò tra pecora e pecora» (I Lettura).  


Vangelo secondo Matteo 25,31-46 - Messale dell’Assemblea Cristiana, Festivo, CCS: Siamo alla conclusione del discorso escatologico e Matteo descrive con immagini grandiose la venuta di Gesù, re-messia, che fa passare i suoi eletti dal suo regno a quello del Padre [...]. L’immagine fondamentale è quella tolta dal libro di Ezechiele: il re-pastore che giudica tra pecora e pecora [Ez 34,17: 1a lettura] o tra pecore e capri [vv. 32-33]. Il suo giudizio non terrà conto delle opere eccezionali [7,22-23], ma delle opere di misericordia elencate qui nello stile di Is 58,7; Gb 22,6-7; Sir 7,35-36. Così anche questa grandiosa scena di giudizio ci impedisce di fantasticare su quel giorno e ci obbliga a contestare momento per momento la nostra vita in prospettiva dell’incontro con Cristo, che si presenta ora a noi nei poveri.


Riassunto di tutto l’anno liturgico, la celebrazione odierna esalta il primato indiscusso di Gesù su tutte le cose, quel primato che viene chiamato regalità con termine forse disusato ma significativo: siamo chiamati a unire la nostra croce alla lode cosmica che deve salire ed erompere verso il trono dell’agnello immolato.
Della regalità di Cristo fu segno e anticipazione quella del re Davide, antenato di Gesù, grazie alla quale Gerusalemme divenne la dimora dell’ordine e della pace, della comunione e della gloria.
La nuova Gerusalemme è la Chiesa che noi siamo. Essa è stata conquistata a prezzo del sangue di Cristo Gesù; una regalità dunque di servizio, d’amore e di martirio ci ha permesso d’essere sottratti al regno delle tenebre e di entrare a far parte del regno di Gesù, ossia di godere dei doni spirituali della sua redenzione in attesa di partecipare pienamente alla sua gloria nel cielo.
La fase terrestre della nostra partecipazione al regno di Cristo ci obbliga a seguirne le orme, fino al dono di noi stessi agli altri nella carità: solo a questo patto il regno di Gesù può far sentire il suo benefico influsso anche nelle realtà terrene del cristiano che egli, specie se laico, è tenuto ad animare cristianamente, esercitando così il suo servizio regale” (P. Andrea Gemma, Vescovo).


Se vogliamo meglio comprendere la regalità di Gesù dobbiamo fare riferimento innanzi tutto alla Parola di Dio. Le funzioni regali si dividono in tre categorie:
a) Il re è un capo militare.
b) Il re è poi un giudice, il giudice supremo del paese. Tutti però possono avvicinarlo e farsi rendere giustizia (2Sam 14,1; 1Re3,1; 2Re15,5).
Ma bisogna notare che non esiste separazione tra potere esecutivo e potere giudiziario, e il re, in quanto giudice, s’occupa dell’amministrazione del suo Stato. È anche pastore del suo popolo.
c) Infine il re è sacerdote. È il capo dei sacerdoti. Come tale, David porterà l’efod, Salomone benedirà l’assemblea degli Israeliti; quando vengono innalzati al trono, i re son unti come i sacerdoti. Avranno presto un santuario accanto ai loro palazzi, ove funzioneranno numerosi sacerdoti e coadiutori.
“Nell’Antico testamento il re era colui che riceveva la sua autorità direttamente da Dio, il Re dei re, il Signore che elegge un uomo o una cosa a rappresentare davanti a lui il popolo. Nel re e mediante lui tutto il popolo fa alleanza con Iahvé (2Sam 7,8-10; 23,1-7): il re non è dunque una figura isolata, ma un ministro solidale e responsabile dei peccati del popolo. Non si assiste, in Israele, ad un processo di divinizzazione del re: se vi è qualcosa di «divino» nel re, ciò riposa sulla adozione divina (cf. Sal 45,1-2). In questa luce il re è insieme giudice e liberatore del suo popolo: è mediante un re che, negli ultimi tempi, Dio ristabilirà la sua autorità, la sua giustizia, la sua pace sulla terra” (I. Danieli).
Possiamo allora comprendere perché i capi del popolo d’Israele temevano l’applicazione di questo titolo alla persona di Gesù; titolo che d’altronde lui stesso rifiutò in molte circostanze: indirizza l’atto di fede messianica di Natanaele verso la manifestazione del Figlio dell’uomo (cf. Gv 1,49-51), si sottrae alla folla che vuole rapirlo per proclamarlo re (Gv 6,15) e consente all’ingresso trionfale a Gerusalemme solo nell’umile cornice annunciata dal profeta Zaccaria (Mt 21,5; Zac 9,9).
Eppure, accusato davanti a Pilato di sobillare il popolo alla ribellione e di voler essere re dei Giudei, risponde: Tu lo dici (cf. Mt 27,11; Mc 15,2; Lc 23,3); oppure: Tu lo dici, io lo sono (Gv 18,37).
Come re viene beffeggiato (cf. Mt 27,29), sulla croce, sulla quale è inchiodato, campeggia la tavoletta sulla quale è scritto: Gesù il Nazareno, il re dei giudei (Gv 19,19; Mt 27,37; Mc 15,26; Lc 23,38) e al buon ladrone promette di introdurlo nel suo regno (cf. Lc 23,39-42).
Nonostante queste esplicite ammissioni, Gesù affermerà, allo stesso tempo, con fortezza e chiarezza che il suo regno “non è di questo mondo” (cf. Gv 18,36) e quando sarà issato sulla croce chiaro sarà per tutti i suoi discepoli che quel legno è il suo trono.
“Se nella croce la regalità di Cristo risplende nel mistero [Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium ...], con la risurrezione Cristo Signore entra nel suo regno. Egli è Re, come proclama la predicazione cristiana applicandogli le scritture profetiche: il re di Giustizia del Salmo 45 [v. 7], il re sacerdote del Salmo 110 [v. 4], e i cristiani divengono partecipi del suo regno: il regno del Figlio dell’amore del Padre [Col 1,13]” (I. Danieli).
Contro Geù-Re si coalizzeranno le forze malvagie: una lotta apocalittica che vedrà da una parte l’Agnello e i suoi discepoli e dall’altra i re della terra (cf. Ap 17,12) i quali per questa lotta cosmica investiranno del loro potere la Bestia. Ma l’Agnello li sbaraglierà perché egli è il Re dei re e Signore dei signori (Ap 17,14; 19,1ss).
Gesù-Re dovrà regnare “finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (1Cor 15, 25), allora rimetterà il regno al Padre suo (cf. 1Cor 15,24-25) e i discepoli fedeli a lui fino al sangue risusciteranno per regnare eternamente (cf. Ap 5,10; 20,4ss).
Come ci suggerisce il Vangelo, gli uomini per entrare in questo regno dovranno superare un esame, il cui unico programma sarà l’amore.
Quello di Gesù, infatti, è un regno di santità, di pace e di amore.
Il Re che siede sul trono della gloria e che raccoglie dinanzi al suo tribunale tutti gli uomini, afferma con chiarezza che atto formale di riconoscimento della sua regalità sono le attenzioni usate a quanti hanno fame e sete, ai forestieri, agli indigenti, ai poveri, ai malati e ai carcerati.
“In questo giudizio di Dio viene data una riduzione o semplificazione all’essenziale della religione che Gesù ha istituito nel mondo degli uomini: amare o non amare. Ecco il quesito: questo è il punto che ci qualifica definitivamente davanti a Dio. Non contano tanto i sentimenti e le intenzioni, l’ideologia e le parole, cioè «Signore, Signore», quello che uno fu e fece, che apprezzò e rappresentò, che lavorò o soffrì, creò e organizzò, quanto se amò o non amò i fratelli. Perché questa è la volontà di Dio, che chi lo ama, ami anche i fratelli” (Basilio Caballero).
Quando tutto sarà concluso si attuerà la promessa di Gesù fatta ai Dodici nell’ultima cena: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» (Gv 14,2-4).


Benedetto XVI (Angelus 20 Novembre 2005): Quest’oggi, ultima domenica dell’Anno liturgico, si celebra la solennità di Cristo Re dell’universo. Fin dall’annuncio della sua nascita, il Figlio unigenito del Padre, nato dalla Vergine Maria, viene definito “re”, nel senso messianico, cioè erede del trono di Davide, secondo le promesse dei profeti, per un regno che non avrà fine (cfr Lc 1,32-33). La regalità di Cristo rimase del tutto nascosta, fino ai suoi trent’anni, trascorsi in un’esistenza ordinaria a Nazaret. Poi, durante la vita pubblica, Gesù inaugurò il nuovo Regno, che “non è di questo mondo” (Gv 18,36), ed alla fine lo realizzò pienamente con la sua morte e risurrezione. Apparendo risorto agli Apostoli disse: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18): questo potere scaturisce dall’amore, che Dio ha manifestato in pienezza nel sacrificio del suo Figlio. Il Regno di Cristo è dono offerto agli uomini di ogni tempo, perché chiunque crede nel Verbo incarnato “non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Per questo, proprio nell’ultimo Libro della Bibbia, l’Apocalisse, Egli proclama: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine” (Ap 22,13).
“Cristo alfa e omega”, così si intitola il paragrafo che conclude la prima parte della Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, promulgata 40 anni or sono. In quella bella pagina, che riprende alcune parole del Servo di Dio Papa Paolo VI, leggiamo: “Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni”. E così prosegue: “Nel suo Spirito vivificati e coadunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno col disegno del suo amore: «ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10)” (GS, n. 45). Alla luce della centralità di Cristo, la Gaudium et spes interpreta la condizione dell’uomo contemporaneo, la sua vocazione e dignità, come pure gli ambiti della sua vita: la famiglia, la cultura, l’economia, la politica, la comunità internazionale. È questa la missione della Chiesa ieri, oggi e sempre: annunciare e testimoniare Cristo, perché l’uomo, ogni uomo possa realizzare pienamente la sua vocazione.
La Vergine Maria, che Dio ha associato in modo singolare alla regalità del suo Figlio, ci ottenga di accoglierlo come Signore della nostra vita, per cooperare fedelmente all’avvento del suo Regno di amore, di giustizia e di pace.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** È questa la missione della Chiesa ieri, oggi e sempre: annunciare e testimoniare Cristo, perché l’uomo, ogni uomo possa realizzare pienamente la sua vocazione.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, perché tu sia tutto in tutti. Egli è Dio, e vive e regna con te...