IL PENSIERO DEL GIORNO

25 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,38).  


Vangelo secondo Luca 20,27-40: I sadducèi, che negavano la risurrezione, interrogando Gesù su questo tema intendevano sopra tutto ridicolizzare la fede dei farisei. Gesù poggia la sua risposta su un dato fondante per la fede del popolo d’Israele: il Dio di Abramo è il Dio dei vivi ed è tale perché dona la vita. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi: in «lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Atti 17,28). Abramo, Isacco e Giacobbe non sono vivi perché vivono nel ricordo dei figli da loro generati, ma perché Dio li ha creati per l’immortalità facendoli a immagine della propria natura (Cf. Sap 2,23).
 

 I morti risorgono - Il racconto odierno è comune a Matteo (22,23-33) e a Marco (12,18-27).
La controversia sulla risurrezione è preceduta da altre due dispute: quella che riguarda l’autorità con cui Gesù opera e predica in mezzo al popolo di Dio (Lc 20,1-8) e quella sul dovere di pagare il tributo a Cesare (Lc 20,20-26). Nell’intervallo Gesù narra la parabola dei vignaioli omicidi (Lc 20,9-19).
I sadducèi per dottrina erano in contrapposizione con i farisei. Si ritroveranno amici quando sarà necessario far fronte comune per neutralizzare Gesù. Inoltre, a differenza dei farisei, i sadducéi consideravano valido soltanto quanto era scritto nella Torah e non trovando in essa alcun testo che affermasse una nuova vita nell’aldilà non credevano nella risurrezione. Non credevano nemmeno nell’esistenza degli angeli (Cf. At 23,8).
Nell’interrogare Gesù, per dare maggior autorità alle loro parole e screditare la dottrina dei farisei, citano la legge del levirato (Dt 25,5ss). Secondo questa legge se un uomo moriva senza lasciare figli, il fratello era obbligato a sposare la vedova per dare una discendenza al defunto.
I sadducèi, «setta più rozza di quella farisaica» (san Giovanni Crisostomo), con la storia dei sette fratelli non soltanto vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma puntano a ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti professata dai farisei, loro acerrimi nemici. Infatti, con accenti tra il grottesco e l’ironico, alla fine del loro racconto, chiedono a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Ma al di là dei toni e degli intenti si può pensare ragionevolmente che al ragionamento dei sadducèi «sottende una concezione materialistica della risurrezione, come se la vita dei risorti potesse essere valutata alla stregua di quei valori d’oggi: matrimonio, appartenenza di una persona all’altra, morte» (Carlo Ghidelli).
Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei sadducèi: se in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie,  «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (Angelico Poppi).
Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i suoi interlocutori per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere.
«Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità: «Dio non ha creato la morte; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale [...]. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 1,13.15-2,23).
 La morte non può spezzare la comunione di coloro che si addormentano nel Signore con il Dio vivo e fedele (Cf. Rom 6,10): Dio, non intendendo lasciare i suoi amici nella corruzione del sepolcro (Cf. Sal 16,10s), saprà trarli col suo Spirito dalla polvere (Cf. Ez 37,3; Gv 11,24s).
Una comunione che coinvolgerà interamente l’uomo: nel giorno della risurrezione dei morti i corpi si ricongiungeranno alle anime per godere eternamente.
La risposta di Gesù zittisce i sadducèi e appaga i farisei i quali plaudono con vero entusiasmo: una volta tanto si sono trovati d’accordo con il giovane rabbi di Nazaret.


Catechismo degli Adulti

L’avvenimento diverso

[269] La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? È questa una domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio, ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote.
Con la risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono «come angeli nei cieli» (Mc 12,25) e il loro corpo è un «corpo spirituale» (1Cor 15,44), trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa dal seme.

Oggetto di fede

[270] I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa esperienza alla luce delle attese di salvezza dell’Antico Testamento e usano consapevolmente un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato, intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni.

[271] La risurrezione di Gesù si manifesta nella storia, ma in se stessa trascende la storia.


Cristo ci liberò dalla morte - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): La morte è un dato costante dell’esperienza. La morte biologica, il suo lento annuncio nelle molteplici malattie, la sua presenza brutale negli incidenti e la sua manifestazione in tutto quello che è negazione della vita, per la violazione della dignità e dei diritti della persona, costituisce il più doloroso dei problemi umani (GS 8).
Le scienze umane, la filosofia e la storia delle religioni, hanno dato e danno risposte più o meno convincenti all’enigma della morte: è una fine o un inizio?
Ci aspetta il nulla o un’altra vita diversa? Saremo annientati o trasformati? Alla fine della strada, c’è Dio o il vuoto?
Secondo le risposte, questi sono gli atteggiamenti più comuni: paura viscerale, silenzio davanti a un tabù, fatalismo stoico di fronte a un fatto naturale e inevitabile, massimo edonismo davanti alla fugacità della vita (perché domani moriremo), pessimismo, ribellione, nausea esistenziale davanti al più grande degli assurdi... oppure la serena speranza di chi crede nell’immortalità e nella risurrezione.
Gesù Cristo risorto è l’unica risposta valida all’interrogativo della morte dell’uomo. La fede e la speranza cristiane di risurrezione e vita eterna sono legate e si fondano sulla risurrezione di Cristo, al quale siamo uniti attraverso il battesimo. Il battezzato, il credente, si sente radicalmente libero e salvato da Cristo, che lo affranca dal peccato e dalla sua conseguenza: la morte.
Questa non è una liberazione dalla morte biologica, perché anche Cristo morì, ma dalla schiavitù opprimente della morte, dalla paura che ne deriva, dalla mancanza di significato e dall’assurdità di una vita inutile che finirebbe nel nulla.
Alla luce della risurrezione del Signore, il credente sa e ne ha l’esperienza già da ora, che la morte fisica, inevitabile nonostante i progressi della medicina e l’appassionata aspirazione dell’uomo all’immortalità, non è la fine del cammino, ma la porta che ci viene aperta per la liberazione definitiva con Cristo risorto. Grazie a lui, l’uomo è un essere per la vita.
Ti benediciamo, Padre, Dio della vita,
perché attraverso la fede e il battesimo dello Spirito
ci hai chiamati a vivere con te per sempre.
Come intravedere e capire qualcosa del mondo nuovo
della risurrezione se non dalla fede nella persona
di Cristo risorto, vincitore della morte?
L’uomo, che tu ami, è un essere per la vita.
Rafforza la nostra speranza e illuminaci con la tua parola,
perché capiamo che l’attesa felicità futura
è già in gestazione nell’impegno per il mondo attuale,
nell’amore per te e per i nostri fratelli.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  L’uomo che Dio ama è un essere per la vita.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per il nostro Signore Gesù Cristo.