IL PENSIERO DEL GIORNO

22 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Io ho scelto voi, dice il Signore, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Cfr. Gv 15,16; Acclamazione al Vangelo).   


Vangelo secondo Luca 19,11-28: Il Vangelo vuol suggerire che il regno di Dio si costruisce giorno dopo giorno, con perseveranza, sacrificio e fedeltà. Gesù allontanandosi da noi “ha affidato ai cristiani le sue ricchezze. È la situazione in cui ci troviamo assolutamente tutti. Il tesoro della vita, dell’amore e dei beni terreni sono la ricchezza che Dio ci ha affidata. Colui che la nasconde o lo spreca è forse ricco agli occhi degli uomini, ma povero a quelli di Dio. Solo colui che accresce la sua fortuna, colui che traffica sempre con profitto, può arricchire” (Javer Pikaza).


Parabola delle mine. Il regno e la fortuna di questo mondo - Javier Pikaza: Il caso del cieco guarito sulla via, e che segue Gesù (18,35-43) e di Zaccheo che impara a utilizzare i suoi beni (19,1-10) servono d’introduzione al messaggio universale di questa parabola, che tratta dell’uso delle mine (19,11-27). Termina il viaggio e Gerusalemme è molto vicina. l discepoli suppongono che con questo giunga la fine (il giudizio) e che si trasformino le antiche strutture delle realtà. Gesù deve chiarire con la sua luce questo problema. Il regno non conduce all’utopia d’un futuro che ci liberi dal dovere di ogni giorno; il regno si costruisce con lo sforzo degli uomini che abitano la nostra terra. 
Allontanandosi da noi, il Signore ha affidato ai cristiani le sue ricchezze. È la situazione in cui ci troviamo assolutamente tutti. Il tesoro della vita, dell’amore e dei beni terreni sono la ricchezza che Dio ci ha affidata. Colui che la nasconde a la spreca è forse ricco agli occhi degli uomini, ma povero a quelli di Dio. Solo colui che accresce la sua fortuna, colui che traffica sempre con profitto, può arricchire. 
Certo, la nostra vita è un dono di Dio, come dimostra il miracolo operato sulla via (18,35-43), ed è basata su un perdono che offre le basi d’una nuova forma di esistenza (19,1-10). Ebbene, questa esistenza si deve tradurre in un servizio per gli altri. Solo chi rischia la vita (la dà per gli altri), solo chi lavora allegramente e instancabilmente per gli altri, solo costui ha compreso che il regno è vicino ed è già incominciato in mezzo a noi (cf 17,21). Di qui possiamo formulare alcune brevi conclusioni: 
1) Le mine che Dio ci ha affidate sono i beni di fortuna e, in primo luogo, le diverse doti a la vita umana nel suo insieme. Tutto è presentato da Cristo come un dono che ci è stato dato liberamente e che noi dobbiamo impiegare (accrescere) intensamente. 
2) Nel contesto di tutto il vangelo, ottenere che quelle mine (o beni) fruttifichino vuol dire mettere la vita intera al servizio degli altri. Si fa fruttificare e si guadagna quello che si dà. 
3) Con questo, entriamo nel paradosso secondo il quale «a chiunque ha sarà dato» (19,26; cf 8,18). Solo dove c’è l’amore che è aperto al mistero di Dio e degli altri, ci sono le disposizioni necessarie per ricevere l’amore libero e trasformante che Dio stesso ci offre. 
4) In questo contesto la condanna è identificata col «non aver sviluppato la vita». Fallisce colui che si chiude, che rifiuta il dono di Dio, rifiuta l’amore e preferisce liberamente restar solo. Questa solitudine, senza Dio e senza gli uomini, è quello che, teologicamente, si chiama inferno. 


Benedetto Prete (Vangelo secondo Luca): Chiamati dieci dei suoi servi; prima di partire il nobile e ricco personaggio chiama i suoi servi per affidare a ciascuno di essi una determinata somma. Il numero «dieci» non ha qui nessun significato particolare; probabilmente la cifra è stata suggerita dal fatto che subito dopo si parla di «dieci mine ». L’accordo tra le due cifre ha lo scopo di richiamarle facilmente alla memoria. Dieci mine; la mina è una misura monetaria equivalente a 100 dramme (la dramma sotto l’impero pesava grammi 3,40 d’argento). In Matteo non si ha la parabola delle mine, ma quella dei talenti (un talento equivaleva a 6000 dramme; quindi una somma molto superiore a quella segnalata dalla parabola lucana, cf. Mt., 25,14-30). I due racconti, pur presentando delle notevoli divergenze nei particolari descrittivi, sembrano riferirsi alla stessa parabola pronunziata dal Salvatore; gli studiosi fanno opportunamente rilevare come la primitiva forma della parabola sia stata modificata ed ampliata dagli evangelisti per adattare alla mentalità ed alla psicologia dei propri lettori lo stesso insegnamento di Cristo. Inoltre nella narrazione di Luca sono stati introdotti dei nuovi elementi che sembrano appartenere ad una parabola distinta in cui si parlava di un pretendente al trono (cf. verss. 12.14.17.19.27). Impiegatele fino al tempo del mio ritorno; a tutti i servi è rivolto questo comando di mettere in opera la somma ricevuta - anche se non molto elevata - in attesa del ritorno del nobile e ricco padrone. «Impiegatele», cioè: fatele fruttificare; il comando ha lo scopo di mettere alla prova la capacità di realizzazione dei singoli servi durante l’assenza del padrone. Sulla durata di questa assenza non è detto nulla. 


I Talenti: Catechismo della Chiesa Cattolica 1879-1880: La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l’uomo qualcosa di aggiunto, ma un’esigenza della sua natura. Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l’uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione. Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l’avvenire. Grazie ad essa, ogni uomo è costituito «erede», riceve dei «talenti» che arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare. Giustamente, ciascuno deve dedizione alle comunità di cui fa parte e rispetto alle autorità incaricate del bene comune.


I «talenti» non sono distribuiti in misura eguale (Catechismo della Chiesa Cattolica 1936): Catechismo della Chiesa Cattolica 1937: Tali differenze rientrano nel piano di Dio, il quale vuole che ciascuno riceva dagli altri ciò di cui ha bisogno, e che coloro che hanno «talenti» particolari ne comunichino i benefici a coloro che ne hanno bisogno. Le differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla benevolenza e alla condivisione; spingono le culture a mutui arricchimenti: «Io distribuisco le virtù tanto differentemente, che non do tutto ad ognuno, ma a chi l’una a chi l’altra. [...] A chi darò principalmente la carità, a chi la giustizia, a chi l’umiltà, a chi una fede viva. [...] E così ho dato molti doni e grazie di virtù, spirituali e temporali, con tale diversità, che non tutto ho comunicato ad una sola persona, affinché voi foste costretti ad usare carità l’uno con l’altro. [...] Io volli che l’uno avesse bisogno dell’altro e tutti fossero miei ministri nel dispensare le grazie e i doni da me ricevuti». 


Benedetto XVI (Angelus 13 Novembre 2011): La Parola di Dio di questa domenica – la penultima dell’anno liturgico – ci ammonisce circa la provvisorietà dell’esistenza terrena e ci invita a viverla come un pellegrinaggio, tenendo lo sguardo rivolto alla meta, a quel Dio che ci ha creato e, poiché ci ha fatto per sé (cfr S. Agostino, Conf. 1,1), è il nostro destino ultimo e il senso del nostro vivere. Passaggio obbligato per giungere a tale realtà definitiva è la morte, seguita dal giudizio finale. L’apostolo Paolo ricorda che “il giorno del Signore verrà come un ladro di notte” (1Ts 5,2), cioè senza preavviso. La consapevolezza del ritorno glorioso del Signore Gesù ci sprona a vivere in un atteggiamento di vigilanza, attendendo la sua manifestazione nella costante memoria della sua prima venuta.
Nella celebre parabola dei talenti - riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) - Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).
Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture! Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore. La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano (cfr 1Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1Gv 3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri? (cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ascolta, Signore, la nostra preghiera e per intercessione di santa Cecilia, vergine e martire, rendici degni di cantare le tue lodi. Per il nostro Signore Gesù Cristo.