IL PENSIERO DEL GIORNO

20 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi» (Ger 29,11.12.14; Antifona).  


Vangelo secondo Luca 18,35-43: Javer Pikaza: La scena della guarigione del cieco di Gerico si colloca nel contesto della passione: «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti ... si compirà» (18,31). Il Figlio dell’uomo s’incammina apertamente verso la morte. Solo in questo contesto acquista senso quello che Luca dice circa il regno, circa la ricchezza che abbiamo in cielo, l’amore per i poveri e la sequela di Gesù. Se, per ipotesi, il vangelo fosse privo del cammino di Gesù verso la morte, non esisterebbero più la sua passione né la sua vittoria della Pasqua. Tutto quello che Dio ha detto di lui, come anche il suo amore sovrumano, si rivelerebbero come cose vuote.
L’importante è che Gesù, sebbene i suoi non lo comprendano, sale a Gerusalemme e, durante quest’ascesa, suscita un movimento di perdono, di dono di Dio e di servizio. Con notevole acume letterario, Luca ha riunito questi dati nel contesto finale del suo viaggio: il dono della guarigione a un uomo infermo e cieco (18,35-43), la conversione di Zaccheo (19,1-10) e l’esigenza di dare frutti con i talenti (mine) ricevuti (19,11-27). Il presente commento tratta del primo fra questi dati.
Siamo a Gerico, e sulla via che Gesù sta percorrendo si presenta un cieco che lo supplica: «abbi pietà di me», «fa’ che io riabbia la vista» (18,38-41). Mettendosi nella luce di Dio che passa in Gesù, il cieco è simbolo dell’uomo che è aperto al mistero e osa bussare alle sue porte.
Gesù gli apre gli occhi, quelli del corpo e quelli dell’anima. E, da quel momento, il cieco comincia a essere un uomo diverso. Forse non ha grandi ricchezze da perdere, ma lascia tutto e segue Gesù nel suo viaggio (18,42-43). Per completare la visione di questo miracolo, dobbiamo considerare attentamente due particolari imporranti: il titolo di figlio di Davide e la decisione di seguire Gesù.
Essere figlio di Davide voleva dire primordialmente aspirare al trono dell’antico re d’Israele, restaurando messianicamente il suo regno. È probabile che alcuni seguaci lo abbiano chiamato in questo modo indicando così la loro visione della messianità (politica, mondana). Però in tutta la tradizione evangelica l’invocazione di Gesù come figlio di Davide è strettamente legata a questo miracolo compiuto da Gesù durante il viaggio (cf Mt 10,46-52); e Matteo lo applica con coerenza in altri racconti (cf Mt 9,27; 15,22; 20,30-31). Questo dato è importante. Essere discendente di Davide voleva dire, per i salmi di Salomone (17 e 18), annientare i poteri nemici instaurare il regno sulla terra. Per la tradizione evangelica, è figlio di Davide colui che sente l’invocazione del poveri e li aiuta. Solo così si adempiono le profezie.
Il cieco guarito sulla via ha scoperto tutta la novità di Gesù Cristo. Perciò non si limita a benedire Dio per il miracolo, ma si unisce al viaggio di Gesù. Proprio ora, nel viaggio che conduce verso la croce, nella decisione e nel rischio di ogni giorno, nello sforzo per praticare a una a una le parole del Maestro, egli imparerà a vedere
davvero e potrà vivere al centro del grande miracolo che consiste semplicemente nel seguire Gesù Cristo.


Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il cieco di Gèrico approfitta subito dell’occasione che il passaggio di Gesù gli offre. Non si possono sciupare le grazie del Signore, perché non sappiamo se ci saranno nuovamente concesse. Sant’Agostino ha espresso incisivamente la rapidità con la quale bisogna corrispondere al dono divino, a Gesù che passa, con la celebre frase: «Timeo Iesum praetereuntem et non redeuntem» (temo che Gesù passi e non torni più). Gesù, infatti, almeno qualche volta passa nella vita di ogni uomo.
Il cieco di Gèrico confessa gridando che Gesù è il Messia - lo designa col titolo messianico di Figlio di Davide -, e gli chiede implorando ciò di cui ha bisogno: la vista. La sua fede è attiva: grida, insiste, nonostante gli ostacoli frapposti dalla gente. E riesce infine a farsi sentire da Gesù, che lo chiama a sé. Dio ha voluto che nel santo Vangelo restasse documentato per sempre l’episodio di quest’uomo, esempio luminoso di come debbano essere la nostra fede e le nostre domande: ferme, immediate, costanti, vittoriose di ogni ostacolo, schiette, di maniera che possano giungere al cuore di Gesù.
«Signore, che io riabbia la vista»: questa giaculatoria così semplice deve affiorare di continuo sulle nostre labbra. scaturendo dal profondo del cuore. È oltremodo utile ripeterla nei momenti di dubbio, di perplessità, quando non riusciamo a comprendere i piani di Dio e l’orizzonte della nostra dedizione si fa oscuro. È altresì efficace per coloro che cercano Dio con sincerità, senza avere ancora il dono inestimabile della fede.


Basilio Caballero (Una Parola per ogni giorno): Luca colloca all’entrata di Gesù in Gerico la guarigione di un cieco, il cui nome sappiamo da Marco: si chiamava Bartimeo (Mc 10,46). Gesù è quasi alla fine della sua salita a Gerusalemme, che acquista tanto risalto nel vangelo di Luca. Tanto in Marco che in Luca il fatto accade dopo il terzo annuncio del messia paziente. I discepoli non capiscono bene questa nuova immagine del messia e le condizioni della sequela di Gesù (Lc 18,34). Sono ciechi e hanno bisogno della luce della fede per vincere la loro cecità spirituale. È quello che sembra voler insinuare Luca con il racconto del cieco Bartimeo.
L’evangelista dice che, dopo la guarigione, Bartimeo seguì Gesù lodando Dio. Fede e sequela sono due concetti fondamentali in questo episodio. La prima comunità cristiana vide in esso lo schema basilare di una catechesi battesimale o di iniziazione alla fede e alla sequela di Cristo.
Prima di aprire i suoi occhi all’illuminazione del battesimo, cioè alla luce della fede, il catecumeno deve percorrere le tappe del cieco di Gerico: a) presagire la presenza di Dio negli avvenimenti; b) vincere gli ostacoli che gli presenta il mondo che lo circonda e che vuole ridurre al silenzio il suo bisogno di Dio (molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte); c) rompere con il passato spogliandosi dell’uomo vecchio (gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù); d) impegnarsi completamente nel dialogo con Dio (Che vuoi? ... Signore, che io riabbia la vista); e) contatto con Cristo attraverso la nuova visione della fede (Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato); f) infine, seguire Cristo come testimoni del suo regno (cominciò a seguirlo, lodando Dio).
Il messia, il figlio di Davide, che sta per entrare nella sua città, Gerusalemme, non rifiuta di dare ascolto a un povero cieco che chiede l’elemosina sul ciglio della strada, perché Gesù non è venuto per essere servito, ma per farsi servitore di tutti. Per essere pellegrino del regno con Cristo, nel suo viaggio verso la città che uccide i profeti, bisogna seguirlo passo per passo sulla strada della rinuncia e della croce fino alla gloria della risurrezione. Questa sequela riassume tutta la vita cristiana.


Benedetto Prete (Vangelo secondo Luca): Quando si avvicinava a Gerico; l’evangelista dichiara esplicitamente che il miracolo del cieco di Gerico ebbe luogo prima che il Maestro entrasse in questa città («quando si avvicinava»); Matteo e Marco al contrario affermano che la stessa guarigione miracolosa avvenne quando il Salvatore usciva da Gerico. Inoltre Marco e Luca ricordano un cieco soltanto, Matteo invece parla di due ... Inoltre, per non esagerare queste divergenze esistenti tra le relazioni evangeliche, è opportuno ricordare il fatto che Luca non dà molta importanza alle indicazioni geografiche, né rispetta sempre l’ordine cronologico, come in varie circostanze è stato già segnalato, anzi a volte egli, attenendosi a criteri propri, compie degli spostamenti (cosi ad esempio in Lc., 6,12-19, - testo che corrisponde a Mc., 3,7-19 - l’ordine seguito da Marco viene invertito: Lc., 6,12-16 corrisponde a Mc., 3,13-19 e Lc., 6,17-19 a Mc., 3,7-12).
Probabilmente il terzo evangelista nell’ordinare i racconti di questa sezione ha voluto attenersi ad un quadro geografico più ideale che reale, poiché questo sfondo geografico gli permetteva di distribuire opportunamente
in tre fasi successive gli avvenimenti che intendeva narrare.
Luca infatti, lungo lo stesso viaggio di Gesù nelle vicinanze di Gerico, segnala tre momenti nei quali distribuisce rispettivamente altrettanti episodi; a ciascuno di essi è fatta precedere un’indicazione cronologica che si riallaccia sempre al viaggio che il Maestro sta compiendo.
Le indicazioni cronologiche, utili a stabilire lo svolgimento dei fatti, sono le seguenti: quando Gesù «si avvicinava a Gerico (cf. Lc., 18,35) è narrato il miracolo del cieco; quando il Maestro «attraversa» questa città (cf. Lc., 19,1) è ricordato l’incontro di Gesù con Zaccheo; infine quando il Salvatore si trova «vicino» a Gerusalemme (cfr. Lc., 19,11) - indicazione che nel contesto in cui è posta è equivalente a quest’altra: uscendo egli da Gerico per recarsi a Gerusalemme - viene esposta la parabola delle mine.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me avrà la luce della vita. (Gv 8,12)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...