IL PENSIERO DEL GIORNO

 19 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Rimanete in me e io in voi, chi rimane in me porta molto frutto» (Gv 15,4a.5b ).  


Vangelo secondo Matteo 25,14-30: Molti credono che «la parabola dei talenti» faccia riferimento a Erode Archelao il quale era partito per Roma per ricevere il titolo di re della Giudea. Al di là di questa nota, l’insegnamento del racconto è molto chiaro. Gesù è l’uomo che intraprende il viaggio, i servi i credenti, i talenti il «patrimonio del padrone dato da amministrare in proporzione diverse “a ciascuno secondo le sue capacità”» (Clara Achille Cesarini). Non è degno del premio celeste chi non sente la responsabilità di far crescere il regno. L’inattività del servo malvagio, alla fine della vita, sarà giudicata con severità.


Benedetto Prete: Al  primo servo fedele ed attivo è dato anche il talento del servitore infingardo. Questo gesto del padrone scopre maggiormente il vero senso del racconto. Il servo attivo ha una grande ricompensa ed è associato sempre di più agli interessi del padrone. Secondo la prospettiva della parabola risulta che il servitore di Cristo riceve maggiore autorità e responsabilità nel governo del regno (cf. Lc 16,9-12). A chiunque ha, sarà dato ... a chi invece non ha, sarà tolto anche ciò che ha; il proverbio, espresso in forma paradossale, spiega la risoluzione del padrone di togliere il talento al servo infingardo per affidarlo a quello attivo (cf. 13,12); queste parole possono anche svelare un aspetto dell'economia divina nelle anime: Dio moltiplica le sue grazie a coloro che le apprezzano e sfruttano; le ritira invece da quelli che se ne mostrano indegni.
Sia gettato fuori, nelle tenebre; fuori dalla gioia e dalla luce della sala del convito celeste (cf. verss. 21, 23) vi è il luogo di condanna e di pena (cf. 8,12; 22,13). La parabola dei talenti, come le due precedenti, tratta del rendiconto che ciascuno deve dare a Dio al termine della vita.
Essa quindi non va applicata a ciò che avverrà alla fine dei tempi, ma al termine dellesistenza di ciascuno. I servitori rappresentano le anime alle quali Gesù affida il compito di far fruttificare i doni di natura e di grazia in ordine allo sviluppo del suo regno. Questi servi devono render conto del modo con il quale hanno impiegato e fruttificato i doni ricevuti da Dio al momento della morte e del giudizio particolare.


Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Il talento non era propriamente una moneta, ma una unità contabile, che equivaleva pressappoco a cinquanta chili di argento.
In questa parabola il Signore ci insegna principalmente la necessità di corrispondere alla grazia con un atteggiamento coraggioso, esigente e costante per tutta la vita. Bisogna rendere produttivi tutti i doni di natura e di grazia ricevuti dal Signore. Ciò che conta non è il loro numero, ma la generosità nel farli fruttare. La vocazione cristiana non può essere occultata né resa sterile; al contrario, deve essere comunicativa, apostolica, diffusiva. «Tu invece bada a non perdere lefficacia e pertanto annienta il tuo egoismo. La tua vita per te? La tua vita è per Iddio. per il bene di tutti gli uomini. nellamore al Signore. Dissotterra il talento! Rendilo proficuo» (Amici di Dio, n. 47).
A un cristiano comune non può passare inosservato il fatto che Gesù abbia voluto spiegare la dottrina della corrispondenza alla grazia servendosi, come figura, del lavoro professionale degli uomini. Ciò facendo, il Signore non ci ricorda forse che la vocazione cristiana si dischiude in mezzo alle occupazioni ordinarie della vita? «Vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che deve essere - nellanima e nel corpo - santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali.
«Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai» (Colloqui, 11.114).


Catechismo della Chiesa Cattolica

n. 1936 I talenti L’uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli altri. Si notano differenze legate all’età, alle capacità fisiche, alle attitudini intellettuali o morali, agli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze. I «talenti» non sono distribuiti in misura eguale.

n. 1880 I talenti arricchiscono l’identità dell’uomo: Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l’avvenire. Grazie ad essa, ogni uomo è costituito «erede», riceve dei «talenti» che arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare. Giustamente, ciascuno deve dedizione alle comunità di cui fa parte e rispetto alle autorità incaricate del bene comune.


Un uomo partendo... - Decodificare il testo evangelico è molto facile. I talenti non sono le buone qualità o le virtù dei credenti, ma i beni, «i misteri del Regno» (Mt 13,11), che il padrone dà da amministrare ai suoi servi secondo le loro capacità. L’«uomo» è Cristo che, ormai prossimo alla morte, lascia agli Apostoli, e quindi alla Chiesa, il suo patrimonio per riscuotere, al suo ritorno, i frutti prodotti dalla operosità di ciascuno. Il ritorno non è soltanto quello ultimo della fine dei tempi, ma anche quello del rendiconto individuale alla morte di ciascun discepolo. Al ritorno del padrone, dopo la resa dei conti, il giudizio divino sarà senza sconti. I servi sono i cristiani, in modo particolare quelli che hanno compiti di responsabilità nella comunità cristiana, o tutti gli uomini di buona volontà chiamati a lavorare indefessamente per la crescita del Regno di Dio. I servi devono attendere il ritorno del Signore trafficando i talenti ricevuti e il premio della fedeltà consisterà in un incarico di maggiore responsabilità. L’ammissione nella gioia del Signore significa che il servo entrerà in una perfetta comunione di vita con il suo padrone.
Il padrone non dà comandi, lascia tutto il suo patrimonio alla libera iniziativa dei servi, «secondo le capacità di ciascuno». Il Signore Dio nel consegnare agli uomini i suoi beni non li costringe ad operare secondo schemi già prestabiliti, ma li lascia liberi di trovare i modi per metterli in pratica, per trafficarli, per incrementarli. Così per quel bene grande e prezioso che è la sua Parola. Affidata come inviolabile deposito alla Chiesa è custodita quando è trafficata, cioè messa in pratica; quando viene annunciata senza timore, con grande franchezza e non quando se ne fa un tesoro nascosto.
Come risulta chiaramente dal testo, tutta la parabola si concentra sul comportamento del terzo servo: quello che nasconde il talento sotto terra e per questo viene rimproverato e condannato dal padrone. Trafficare i talenti comporta dei rischi, il rischio di bruciare in operazioni commerciali tutto il patrimonio ricevuto in affidamento, ma vi è la possibilità di accrescerlo. Con i doni di Dio bisogna rischiare. Il servo infingardo non ha perso nulla, ma non ha guadagnato nulla. Poteva depositarlo in banca e ritirare a tempo debito gli interessi. Una precauzione che l’avrebbe messo al riparo dall’ira del suo padrone. Il fatto paradossale del servo pigro che viene spogliato dell’unico talento e dato a chi ne aveva dieci «indica che i poteri conferiti ai discepoli aumentano quando sono esercitati bene e diminuiscono quando non lo sono. Il castigo per questo tipo di infedeltà è severo quanto quello inflitto per mancanze più positive; è l’espulsione nelle tenebre esteriori» (John L. MacKenzie).
La «parabola dei talenti» sembra suggerire che la non risposta ai doni di Dio sia dettata dalla paura. È come se l’uomo avesse paura di Dio. Come, in un Giardino, si era nascosto dietro una siepe perché si era scoperto nudo, così, ora, nasconde sotto terra i semi della salvezza: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (Mt 25,24-25). Ma forse nasconde i doni di Dio sotto terra perché non diventino Parole di Dio che possano parlare al suo cuore, alla sua mente e sopra tutto alla sua coscienza. La possibilità che il seme diventi Parola di Dio ha scatenato nel servo infingardo, tardo di mente e di cuore, la paura, la paura di Dio. Così, la paura ha finito per paralizzare, complessare, bloccare il servo malvagio. La paura della reazione del padrone esigente ha ucciso la sua semplicità, la sua purezza, la sua creatività... un vero e proprio suicidio: «... gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi» (Mt 27,5). La paura ha impedito al servo dell’unico talento di fare il calcolo delle probabilità e lo ha bloccato nell’immobilismo fissandolo per sempre in una eternità buia senza luce, salato col fuoco (Cf. Mc 9,49), dov’è pianto e stridore di denti.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che affidi alle mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia, fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...