IL PENSIERO DEL GIORNO


2 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,40; Cf. Canto al Vangelo).  
  

Vangelo secondo Giovanni 6,37-40: Ai Giudei che chiedevano un segno, Gesù aveva risposto: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! (Gv 6,35). Gesù si offre alla morte per la salvezza del mondo ed offre la sua carne e il suo sangue come vero cibo e vera bevanda perché chi ne mangia entri in comunione, realmente ed efficacemente, con la sua persona. Nella Chiesa delle origini, questa comunione reale con Gesù, era collegata all’eucarestia, soprattutto alle parole di Gesù, riportate dai sinottici, sul pane e sul vino: “Questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue...” (cfr. Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,15-20). Anche se Giovanni non riporta tali parole, tuttavia in questo discorso di Gesù, dimostra di conoscerete il valore profondo di quella Cena e ne esalta l’aspetto mistico di comunione: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56). La conseguenza di questa unità è la partecipazione alla vita divina e quindi all’eternità, superando la frontiera della morte: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda (Gv 6,54-55).


La memoria dei defunti: Benedetto XVI (Angelus, 2 novembre 2008): Ieri la festa di Tutti i Santi ci ha fatto contemplare “la città del cielo, la Gerusalemme celeste che è nostra madre” (Prefazio di Tutti i Santi). Oggi, con l’animo ancora rivolto a queste realtà ultime, commemoriamo tutti i fedeli defunti, che “ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace” (Preghiera eucaristica I). È molto importante che noi cristiani viviamo il rapporto con i defunti nella verità della fede, e guardiamo alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione. Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a “non essere tristi come gli altri che non hanno speranza”. “Se infatti - scriveva - crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti” (1Ts 4,13-14). È necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere.


La morte del cristiano: Catechismo degli Adulti 1189: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.


Questa infatti è la volontà del Padre mio: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 ottobre 1998): Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: “Io sono la Risurrezione e la Vita” (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della “vita eterna”, che implica una piena vittoria sulla morte: “Viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita...” (Gv 5,28-29). “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). Questa promessa di Cristo si realizzerà dunque misteriosamente alla fine dei tempi, quando egli tornerà glorioso “a giudicare i vivi e i morti” (2Tm 4,1; cfr. At 10,42; 1Pt 4,5). Allora i nostri corpi mortali rivivranno per la potenza dello Spirito, che ci è stato dato come “caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione” (Ef 1,14; cfr. 2Cor 1,21-22).


La morte ci fa pazienti e sapienti...: Paolo VI (Udienza Generale, 2 Novembre 1966): Ringraziamo la nostra religione, che non solo toglie l’angosciosa paura che circonda il mistero della morte, ma ci educa altresì a guardarla con sereno realismo ed a trarne indispensabili insegnamenti per ben valutare ogni cosa del nostro transito nel tempo e per avere dei nostri Morti qualche consolante notizia. La religione fa della morte una lampada: essa rischiara quanto basta i problemi circa la sopravvivenza dell’uomo oltre la sua fine temporale, così che questa vita temporale non sia accecata dal dubbio e sconvolta dalla disperazione, ma acquisti invece il suo senso escatologico e il suo pieno significato morale; essa ci fa pazienti e sapienti a superare ogni smarrimento nel dolore, e ogni arbitraria e miope filosofia; essa ci stimola a bene vivere e ci conforta alla ricerca e all’attesa d’una futura comunione con Cristo e con le persone che ci furono care; offre insomma una visione generale della esistenza nostra e del mondo, che rinfranca lo spirito in un incomparabile equilibrio di sentimenti e di pensieri, e gli infonde un senso profondo di gratitudine e di ammirazione verso il Dio vivo, Creatore dell’universo e Padre nostro onnipotente.


Il mistero della morte - Gaudium et spes 22: In faccia alla morte l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine.
L’uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.
Ma l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.
Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta un giorno, quando l’onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all’uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l’uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l’uomo dalla morte mediante la sua morte.
Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.


Morte e risurrezione finale - Lino Pedron: In questa vita la nostra partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo non è mai completa. Ma arriva il momento in cui questa partecipazione diventa piena e definitiva: il momento della nostra morte.
La morte come completamento della vita del cristiano, che dà la possibilità di vivere con Cristo, è mirabilmente espressa da s. Paolo: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno... Desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo: sarebbe la cosa migliore” (Fil 1,23). Sant’Ignazio di Antiochia (+107) nella sua lettera ai Romani li esorta a non fare nulla per impedirgli il martirio: “Lasciate che io sia pasto delle belve, mediante le quali mi è dato di raggiungere Dio... Ora, in catene, imparo a spogliarmi di ogni desiderio... Quanto è per me più glorioso morire per Cristo Gesù che regnare su tutta la terra, fino agli estremi confini. Io cerco colui che è morto per noi; io voglio colui che per noi è risorto. Ecco è vicino il momento in cui sarò partorito... Lasciate che io raggiunga la pura luce. Giunto là, io sarò veramente uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Chi ha Dio nel cuore comprende quello che io bramo. Le mie brame terrene sono crocifisse... Pregate per me, affinché possa raggiungere il mio intento”.
La morte, liberamente accettata, è il culmine della vita cristiana. Tutta la vita è piena di avvenimenti dolorosi che resterebbero senza spiegazione se non diventassero una concreta possibilità di unirsi alle sofferenze e alla morte di Cristo per regnare poi con lui. Le sofferenze di qualunque genere sono per noi il modo concreto per partecipare alla sofferenza di Cristo e offrire tutto, insieme con lui, al Padre per la redenzione del mondo. Diceva s. Paolo: Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa”  (Col 1,24).
L’accettazione libera delle piccole e grandi sofferenze è così per ognuno la preparazione più bella per saper accettare e offrire l’ultima grande sofferenza che è la morte.
Ma questo è solo il primo aspetto, quello negativo. Resta l’altro, il più bello, quello positivo, al quale il primo è ordinato. Come la morte fisica mi aiuta a comprendere le mie piccole “morti” quotidiane, così la risurrezione finale getta la sua luce sulla mia vita di tutti i giorni. S. Paolo ci dice: “Con lui (Cristo) siete stati insieme risuscitati... Con lui Dio ha dato vita anche a voi che eravate morti per i vostri peccati” (Col 1,12-13); “Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Gesù Cristo” (Ef 2,4-6).
Tutta la nostra vita quindi è già illuminata, non solo dalla speranza, ma anche da una certa presenza reale della vita futura.
Per il cristiano non ci sono più situazioni disperate. Tutto può essere ripreso, rinnovato: su ogni maceria si può ricominciare a costruire. A tutto c’è rimedio, anche alla morte. Bisogna giungere fino alla morte per conoscere la gioia della risurrezione.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Per il cristiano non ci sono più situazioni disperate. Tutto può essere ripreso, rinnovato: su ogni maceria si può ricominciare a costruire. A tutto c’è rimedio, anche alla morte. Bisogna giungere fino alla morte per conoscere la gioia della risurrezione.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...