IL PENSIERO DEL GIORNO

11 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele, che agirà secondo i desideri del mio cuore» (1Sam 2,25: Antifona).  


Vangelo secondo Luca 16,9-15: Oltre a suggerire la sana e onesta avvedutezza, l’insegnamento di Gesù è una lezione circa il buono e cattivo uso del danaro. La ricchezza è detta «disonesta» perché spesso all’origine di quasi tutte le fortune c’è qualche disonestà. Comunque, nell’insegnamento cristiano, non v’è una condanna pregiudizievole del denaro, ma la sottolineatura del suo fascino tanto accattivante da potere catturare e asservire il cuore dell’uomo.


Il brano di oggi non va staccato dalla parabola dell’amministratore infedele, e in questa cornice si può affermare che nella Chiesa, Corpo di Cristo, chi non opera per la sua crescita secondo la propria capacità e attività deve dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso. Da qui l’invito a procurarsi la salvezza mettendo in campo anche la ricchezza disonesta. Disonesta perché spesso è frutto di loschi affari: l’avidità del denaro, «radice di tutti i mali» (1Tm 6,10), «ha corrotto molti e ha fatto deviare il cuore dei re» (Sir 8,2).
... essi vi accolgano nelle dimore eterne... Gesù offre agli uomini due mezzi per salvarsi, ma il loro uso è estremamente complesso. Il primo è: Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti, non si è affidabili se non si è onesti, sempre, anche nelle cose minute. E questo significa perenne trasparenza. Il secondo mezzo è: Non potete servire Dio e la ricchezza: «Non abbiamo che un solo Signore, e dobbiamo servirlo con tutto il cuore, con i talenti che Egli stesso ci ha dato, impiegando tutti i mezzi leciti, la vita intera. Verso di Lui dobbiamo orientare, senza eccezioni, tutti gli atti della vita: il lavoro, gli affari, il riposo» (Francisco Fernandez-Carvajal). Il cristiano non ha un tempo per Dio e un altro per gli affari del mondo. E qui è come camminare sulle sabbie mobili.
Ricchezza, traduce il greco mammóna che è una parola dall’origine aramaica dall’etimologia incerta. Alcuni studiosi hanno suggerito di collegarla alla radice ebraica ‘mn (da cui proviene il termine amen) che indica fiducia, affidamento; secondo altri è meglio collegata al termine ebraico matmon, che significa tesoro; altri ancora ritengono possa derivare dall’ebraico mun (provvedere il nutrimento). Il significato dei diversi campi semantici converge comunque nel concetto di sicurezza materiale. Se così inteso, il denaro si oppone a Dio: solo lui può dare stabilità all’uomo.
Sembra chiudersi qui l’insegnamento della parabola dell’amministratore infedele, ma in verità Gesù vuol tracciare ai discepoli un programma di vita che non può e non deve coincidere con quello dell’amministratore fedifrago.
L’obiettivo che si pone il fattore infedele è il massimo godimento personale e la sicurezza della propria vita a discapito degli altri. È per questo che il fattore imbroglia il suo padrone. Disonesto e astuto, l’unico suo fine è quello di godersi le cose di questo mondo e, per farlo, non gli importa se gli altri vengono defraudati dei loro diritti. E Gesù qui è lapidario: i figli di questo mondo sono molto ingegnosi per raggiungere questo obiettivo e se è necessario anche calpestando e sfruttando gli altri!
E questo inequivocabilmente è disonesto e immorale, anche per una “morale laica”!
L’obiettivo che invece si deve porre il discepolo di Cristo deve andare per un’altra direzione, esattamente all’opposto di quello del fattore infedele.
Morto al peccato e risorto con Cristo, il discepolo, cerca le cose di lassù (Cf. Col 3,1) e suo obiettivo primario sono le gioie che si possono avere alla presenza di Dio (Cf. Sal 16,11), compiacendolo in ogni cosa e servendolo con amore di figlio. Per lui «il vivere è Cristo» e «il morire un guadagno» (Cf. Fil 1,21). Egli anela ad essere un giorno per sempre con Cristo (Cf. Fil 1,23), nella «casa del Padre» (Gv 14,1-3). Egli desidera «una patria» migliore, quella celeste (Cf. Eb 11,13-16). In questa ottica, per il credente, le cose di questo mondo, per quanto importanti, sono del tutto secondarie, anzi, le pone al servizio di Dio e della sua causa!


La ricchezza disonesta: Catechismo della Chiesa Cattolica 2424: Una teoria che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell’attività economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca di produrre i suoi effetti perversi. È una delle cause dei numerosi conflitti che turbano l’ordine sociale. Un sistema che sacrifica «i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all’organizzazione collettiva della produzione» è contrario alla dignità dell’uomo. Ogni pratica che riduce le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto, asservisce l’uomo, conduce all’idolatria del denaro e contribuisce alla diffusione dell’ateismo. «Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24; Lc 16,13).


Nessun servitore può servire due padroni: Catechismo della Chiesa Cattolica 2113-2114: L’idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C’è idolatria quando l’uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. «Non potete servire a Dio e a mammona», dice Gesù (Mt 6,24). Numerosi martiri sono morti per non adorare «la Bestia»,  rifiutando perfino di simularne il culto. L’idolatria respinge l’unica Signoria di Dio; perciò è incompatibile con la comunione divina.  La vita umana si unifica nell’adorazione dell’Unico. Il comandamento di adorare il solo Signore unifica l’uomo e lo salva da una dispersione senza limiti. L’idolatria è una perversione del senso religioso innato nell’uomo. Idolatra è colui che «riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia anziché a Dio».


Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?: Benedetto XVI, Omelia 23 settembre 2007: Nelle passate domeniche, san Luca, l’evangelista che più degli altri si preoccupa di mostrare l’amore che Gesù ha per i poveri, ci ha offerto diversi spunti di riflessione circa i pericoli di un attaccamento eccessivo al denaro, ai beni materiali e a tutto ciò che ci impedisce di vivere in pienezza la nostra vocazione ad amare Dio e i fratelli. Anche quest’oggi, attraverso una parabola che provoca in noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene lodato (cfr Lc 16,1-13), a ben vedere il Signore ci riserva un serio e quanto mai salutare insegnamento. Come sempre il Signore trae spunto da fatti di cronaca quotidiana: narra di un amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione degli affari del suo padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi con i debitori. E’ certamente un disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta come modello da seguire nella sua disonestà, ma come esempio da imitare per la sua previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti con queste parole: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,8).
Ma che cosa vuole dirci Gesù con questa parabola? Con questa conclusione sorprendente? Alla parabola del fattore infedele, l’evangelista fa seguire una breve serie di detti e di ammonimenti circa il rapporto che dobbiamo avere con il denaro e i beni di questa terra. Sono piccole frasi che invitano ad una scelta che presuppone una decisione radicale, una costante tensione interiore. La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione del brano evangelico: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”. In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo materiale e così questo successo economico diventa il vero dio di una persona. È necessaria quindi una decisione fondamentale tra Dio e mammona, è necessaria la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà. La logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Se amare Cristo e i fratelli non va considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto lo scopo vero ed ultimo di tutta la nostra esistenza, occorre saper operare scelte di fondo, essere disposti a radicali rinunce, se necessario sino al martirio. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce.
Potremmo allora dire, parafrasando una considerazione di sant’Agostino, che per mezzo delle ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale sempre aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra (cfr Discorsi 359,10). Ora, l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità personali come pure le ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal modo buoni amministratori di quanto Iddio ci affida. Dice Gesù: “Chi è fedele nel poco, è fedele nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto” (Lc 16,10-11)


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.   
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai fatto risplendere la tua gloria nella vita e nella morte del vescovo san Martino, rinnova in noi i prodigi della tua grazia, perché né morte né vita ci possano mai separare dal tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo.