IL PENSIERO DEL GIORNO


12 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate e tenetevi pronti, perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. » (Mt 24,42a.44 - Acclamazione al Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 25,1-13: Se la parabola è un’allegoria delle nozze di Cristo-Sposo con la Chiesa, sua diletta Sposa, è anche un pressante invito alla vigilanza. Stolti e saggi, tutti sono invitati a partecipare alle nozze, tutti vanno incontro al Signore, ma occorre l’olio della vigilanza per non essere colti dal sonno colpevole della infedeltà.

No; altrimenti non basterebbe né a noi, né a voi - Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): l’espressione, presa in senso assoluto e fuori dal contesto, può suonar male ed indicare una forma riprovevole di egoismo. L’autore ha interesse nel rilevare la preveggenza delle giovani sagge e di presentarle come un esempio di prudenza. Dal contesto risulta che l’olio è una provvista personale e che non può essere affidata ad altri. La parabola infatti mette in particolare rilievo i pronomi riflessivi e gli aggettivi possessivi (le loro lampade, con sé per sé, cf. 25,3.4.7.9). Andate e compratevene, le vergini sagge offrono una prova ulteriore della loro preveggenza; la loro risposta decisa e non ammette replica, poiché vogliono esser provviste sicure per il futuro.
Le giovani imprevidenti, obbligate dalle circostanze, seguono il consiglio delle compagne ma la loro mancata prudenza le conduce irrimediabilmente verso l’irreparabile. Quel tempo che esse impiegano per correre al bazar, per svegliate i venditori e per sistemare le loro lampade è troppo prezioso; nel frattempo lo sposo è giunto ed il corteo nuziale è entrato nella sala della festa e la porta del banchetto fu serrata.


Poiché lo sposo tardava... - Presso gli Ebrei le nozze venivano celebrate di notte. Il buio della notte era rischiarato da torce e da lampade ad olio portate dagli invitati. La sposa, nella casa del padre, in compagnia di giovani non maritate, attendeva la venuta dello sposo. Nel racconto di Gesù lo sposo arrivò in ritardo, per cui l’olio delle lampade incominciò a scarseggiare. Solo coloro che avevano portato olio in abbondanza furono in grado di rifornire le lampade e di accogliere lo sposo.
Le dieci vergini sono presentate con un aggettivo, cinque sono dette stolte, insensate, moraì; e cinque sagge, accorte, frónimoi.
L’aggettivo moròs, nella terminologia biblica, non indica soltanto lo sciocco, ma anche l’empio che è così insensato da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a negare l’esistenza di Dio. Ecco perché nella sacra Scrittura, il «concetto di stolto acquista il significato di empio, bestemmiatore [passi tipici sono: Sal 14,1 e 53,2; però anche Sal 74,18.22; Gb 2,10; Is 32,5s; cf. Sir 50,26]. Lo stolto si ribella a Dio, distrugge in pari tempo la comunità umana: fa mancare il necessario agli affamati [Is 32,6], accumula ricchezze ingiuste [Ger 17,11] e calunnia il suo prossimo [Sal 39,9]. Anche nella letteratura sapienziale posteriore, dove il concetto è meno duro, rimane il senso della colpevolezza» (J. Goetzmann). Se accettiamo anche questa sfumatura, allora le cinque vergini stolte della parabola non sono soltanto delle sempliciotte, o ragazzotte sprovvedute, ma veri e propri oppositori della legge divina; sono coloro che non entrano nel Regno di Dio a motivo della loro empietà e così l’accusa contro i farisei si fa più pesante: essi sono religiosi nelle parole, ma empi perché di fatto ribelli alla volontà divina, «dicono e non fanno» (Mt 23,3), e tanto stolti da respingere la proposta di salvezza che Dio fa loro nella persona del suo Figlio unigenito.
La parabola nel mettere in evidenza l’incertezza del tempo della venuta gloriosa del Cristo, vuole instillare nei cuori degli uomini la necessità della vigilanza, senza fidarsi di calcoli in base ai segni dei tempi: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).
Questa venuta improvvisa deve indurre gli uomini ad assumere un serio atteggiamento di vigilanza e un comportamento saggio al quale nessuno può sottrarsi se non vuole essere escluso dal regno di Dio. Poi, alla vigilanza e al comportamento saggio va aggiunto il timore: «Comportatevi con timore nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,17-19). Se Cristo Gesù, «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio. Tutto infatti viene dalla “grazia”: la redenzione di Cristo è opera di grazia e anche l’accettazione della redenzione da parte nostra è opera di grazia, poiché è Dio stesso colui “che opera in noi il volere e l’agire” secondo i suoi disegni di benevolenza e di amore» (Settimio Cipriani).
Le vergini, le stolte e le sagge, non sopportando il tedio dell’attesa vengono colte dal sonno al quale cedono ben volentieri. Questo particolare suggerisce che il progetto di Dio, «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10), andrà a buon fine, lo voglia o non lo voglia l’uomo e sarà svelato all’intelligenza degli uomini quando Dio vorrà, anche senza il loro apporto. Gesù aveva suggerito la stessa cosa nella parabola del seme che spunta da solo anche mentre il contadino dorme (Mc 4,26): c’è, quindi, nella crescita e nella diffusione del Regno di Dio una componente che non dipende dall’uomo. Il regno di Dio porta in sé un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento.


Claude Tassin (Vangelo di Matteo): [...] il racconto raggruppa le concezioni allegoriche con le quali i primi cristiani parlavano della parusìa, la venuta del Cristo alla fine dei tempi: chiaramente, lo sposo è il Cristo e le «vergini» rappresentano la Chiesa che si porta «incontro» al Cristo. Il ritardo rappresenta la lunga attesa della parusìa; accedere alla sala del banchetto significa entrare nel regno, mentre la porta chiusa, che ricorda la conclusione del discorso della montagna (cfr. 7,22-23), esprime un rifiuto definitivo. Nel contesto, l’avverbio «allora» che apre la parabola designa la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. 24,30).
Così, il cristiano non è un individuo angosciato dall’imminenza della fine; egli deve prendere provvedimenti per programmare la sua fede nella durata: è su questo punto che verterà il giudizio divino, per la confusione di coloro che non vivono che nel momento presente. L’ebbrezza del momento, pienezza fallace senza prima né dopo, prevale talvolta sul senso di un autentico presente che trae le lezioni dal passato e prepara il futuro; è allora che la parabola ritrova tutta la sua forza simbolica.
La parabola del diluvio mostrava il giudizio abbattersi spietatamente sull’andamento della vita quotidiana, quella del ladro notturno invitava a tenersi pronti a ogni evenienza quella del servo fedele suggeriva lo spirito di obbedienza al «Padrone» che deve animare i tempi dell’attesa. Se la Chiesa vive sotto l’orizzonte di una fine, il giudizio si compie oggi, nelle scelte quotidiane, come ricorderà ora la parabola [dei talenti Lc 25,14-30].


Wolfgang Trilling (Vangelo secondo Matteo): Alla fine del discorso della montagna Gesù aveva posto a confronto un uomo stolto e uno saggio. L’uno aveva costruito la sua casa sulla sabbia, l’altro sulla roccia: la casa del primo, al sopravvenire dell’uragano del giudizio, andò in rovina, quella dell’altro resistette (7,24-27). Anche qui si ha la contrapposizione tra persone sagge e persone stolte. Saggi sono coloro che ascoltano la parola del Vangelo e la mettono in pratica; stolti coloro che ascoltano la Parola, ma non agiscono in conformità. I primi portano con sé l’olio in piccoli vasi; gli altri soltanto le lampade. L’olio è il Vangelo attuato nella vita, chi non ha l’olio è colui che non porta con sé opere, cioè porta solo le parole della professione di fede: «Signore, Signore» (Kyrie, Kyrie); la sua vita non è permeata dalla fede. Le vergini invocano: «Signore, Signore, aprici!»; così: «Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità!» (7,22 s.). Il giudice riconoscerà soltanto quelli che hanno trascorso la loro vita secondo il Vangelo; gli altri non sono dei suoi: non vi conosco. Secondo la concezione biblica, conoscere qualcuno significa dirgli di «» e amarlo; considerarlo dei propri, uno degli amici. Così il Figlio riconosce il Padre, e il Padre il Figlio (11,27), così il Signore riconoscerò i suoi, annoverandoli definitivamente tra gli intimi, oppure non li riconoscerà, rigettandoli per sempre.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Gesù, vero Dio e vero Uomo, per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio».
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  O Dio, la tua sapienza va in cerca di quanti ne ascoltano la voce, rendici degni di partecipare al tuo banchetto e fa’ che alimentiamo l’olio delle nostre lampade, perché non si estinguano nell’attesa, ma quando tu verrai siamo pronti a correrti incontro, per entrare con te alla festa nuziale. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...