IL PENSIERO DEL GIORNO

23 Ottobre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3; Cfr. Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Luca 12,13-21: L’uomo stolto crede di poter acquistare autorità, potere, prestigio, costruendo la sua vita sopra le vane ricchezze della terra. Questo è vanità e stoltezza. La parabola descrive l’insipienza di un uomo che è caduto nelle reti della cupidigia, un uomo che ha riempito i suoi granai e ha svuotato il suo cuore: nel suo cuore non c’è più posto per Dio, il luccichio affascinante del denaro e delle passioni vi hanno messo profonde radici.


«Beato il ricco che si trova senza macchia e che non corre dietro all’oro. Chi è costui? Lo proclameremo beato» (Sir 31,8-9) - Un tale chiede a Gesù di far da giudice in una questione di eredità che in innumerevoli casi è fonte di litigi e perniciose divisioni. Gesù, non acconsentendo di fare da mediatore o da giudice, ricusa un ruolo che era molto ambito dalle guide spirituali d’Israele le quali ben volentieri si avventuravano in queste vicende: essendo attaccate al denaro erano pronte ad assumere questo compito più per guadagno che per giustizia (Cf. Mc 12,40; Lc 20,47).
Così commenta Nicola di Lira: «Col fatto che il Signore non volle intromettersi nella divisione dell’eredità tra i fratelli, si vuole mostrare che i predicatori del Vangelo non devono interessarsi della determinazione degli affari di questo mondo».
La risposta di Gesù all’anonimo interlocutore, come sempre, tout court, va al cuore del problema: mettendo in evidenza il vero motivo della disputa sulla eredità, invita l’uomo a tenersi «lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni».
L’uomo della parabola è stolto non perché agogna il riposo dopo la fatica o perché ha saputo approfittare della insperata fortuna che lo ha messo tra le file dei ricchi, ma perché non ha elevato mai il pensiero a Dio; perché ha escluso Dio dalla sua vita, fonte della ricchezza vera e datore di «ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (Gc 1,17; Cf. Gv 3,27).
L’uomo ricco della parabola, dando eccessivo peso ai beni terreni come se tutto dipendesse dalla loro abbondanza, si è chiuso in una triste avventura umana dalla quale è stato bandito il Cielo.
La risposta di Gesù è in sintonia con gli insegnamenti sapienziali. Già Ben Sirach suggeriva ai suoi lettori: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro ne sarà fuorviato. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, e la loro rovina era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono infatuati, e ogni insensato vi resta preso» (31,5-7).
Lo stolto, secondo l’Antico Testamento, è colui che «non informa la condotta alle regole insegnate dai saggi. Anzi, egli si oppone alla verità che la creazione stessa gli manifesta e rifiuta un ordine che gli sarebbe invece salutare. Alla base del suo comportamento vi è una lacuna nella “conoscenza”, una errata valutazione della realtà» (A. Z.).
Lo stolto è «colui che si comporta male con Dio e con gli uomini» (Bibbia di Gerusalemme); è il ficcanaso che si immischia in tutto (Cf. Prov 17,24); è colui che nega l’esistenza di Dio e la sua provvidenza (Cf. Sir 5,3); lo stolto è l’uomo ribelle, scettico e libertino (Cf. Sir 22,9-11); stolto è il popolo che abbandona il suo vero Dio per mettersi tra le braccia di idoli che sono inutili e vani (Cf. Ger 2,11). Lo stolto è colui che non si domina, che non controlla le sue passioni (Cf. Prov 29,11 ).
La rovina dello stolto sarà improvvisa, «in un attimo, crollerà senza rimedio» (Prov 6,15).
Il peccato dell’uomo ricco della parabola non sta nella cupidigia, infatti, non ha cercato affannosamente di arricchirsi: è solo un uomo che è stato baciato dalla fortuna; non è nemmeno un uomo perverso o vizioso: in un’ultima analisi, è semplicemente un uomo che fa progetti e vuol godersi la sua fortuna. Il suo vero errore sta nel fatto di non attendere «alle cose del cielo» (Cf. Col 3,1-2): il pesante metallo aureo, come sporco cerume, ha occluso l’udito dello spirito impedendogli di captarle.
Oltre ad essere sordo è anche un povero cieco pur dicendo di vedere (Cf. Gv 9,39): una cecità che lo trascina ad escludere Dio dalla sua vita e ad assolutizzare e a riporre la sua fiducia in quello che è soltanto transeunte, fumo, apparenza.
Tradotto nel linguaggio biblico, questo agire è idolatria perché «pur conoscendo Dio» non gli ha «dato gloria né gli ha reso grazie» e «vaneggiando nei suoi ragionamenti si è ottenebrata la sua mente ottusa» (Cf. Rom 1,21).
Ha invertito ruoli e valori. Invece di dare lode a Dio, dal quale dipende la sorte di ogni uomo, ha esaltato le creature e i valori terreni che, come la scena di questo mondo (Cf. 1Cor 7,31), passeranno inesorabilmente. È come quel tale che dopo una pesca abbondante invece di ringraziare Dio «offre sacrifici alle sue sciabiche e brucia incenso alle sue reti, perché, grazie a loro, la sua parte è abbondante e il  suo cibo succulento» (Abacuc 1,16).
L’uomo della parabola è stolto perché invece di procurarsi un tesoro inesauribile presso Dio ha pensato solo di accumulare per sé.
In ultima istanza, Gesù ha voluto porre l’anonimo interlocutore dinanzi al suo vero destino; gli ha insegnato che il pensare alla morte personale è più importante del tesoreggiare: questo significa arricchirsi dinanzi a Dio. La prospettiva, quindi, è «quella della morte personale: è in questo momento che i beni della terra vengono meno e che importa disporre di tesori indefettibili... Il discepolo di Gesù si preoccupa del tesoro di cui potrà disporre in cielo presso Dio, nel momento in cui Dio gli chiederà l’anima» (J. Dupont). E questa è sapienza cristiana!


Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita: Benedetto XVI (Messaggio Quaresima 2011): Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni...”. Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita...” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.


L’idolatria consumistica - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): La tentazione del consumismo è universale, dato che viviamo alienati da una società del consumo che privilegia l’avere sull’essere. Per questo quasi nessuno sfugge alla manipolazione della propaganda del benessere che basa la felicità umana sull’opulenza, sul produrre e consumare, sull’avere e spendere.
La società occidentale è una fabbrica di sogni per «ricchi stolti» di fatto e di desiderio, ma impoveriti interiormente, drogati dall’avidità e dall’ansia di possedere, sottomessi adoratori del dio denaro. In fondo a tutto questo serpeggia un enorme errore: l’essere persona viene identificato con l’avere beni e cose. In questo modo la personalità e la felicità sono assoggettate all’avere e al consumare e si spende non solo per le necessità urgenti e ragionevoli, ma anche per quelle fittizie e artificiali.
Le conseguenze dell’idolatria consumistica sono terribili e degradanti anche se l’uomo attuale sembra gestirle con la più grande naturalezza. Il consumismo: a) degrada la dignità umana, la nobile condizione dell’uomo e della donna, che diventano macchine per produrre e consumare i beni. b) Blocca la solidarietà nel condividere, la fratellanza e la comuni azione umane, sovralimentando l’egoismo, la manipolazione e lo sfruttamento degli altri. c) Non rende l’uomo più libero e felice; al contrario, lo disumanizza. Quando la proprietà è vissuta sul piano egoistico, si trascura la sua esigenza fondamentale che è l’orientamento al bene comune e alla partecipazione degli altri, limitandosi al solo possedere e accumulare per l’individuo; così questi, a sua volta, è posseduto dalle cose e dai beni che ha.
In misura maggiore o minore tutti corriamo il pericolo di essere «stolti» secondo i parametri di Gesù.
Pensiamo per un momento alla fine della nostra vita: che cosa possiamo portare con noi se non quello che abbiamo investito nell’amore verso Dio e verso il prossimo? «E quello che hai preparato di chi sarà?».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...