IL PENSIERO DEL GIORNO

22 Ottobre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita» (Fil 2,15d.16a ; Cfr. Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Matteo 22,15-21: I Farisei cercano di screditare Gesù dinanzi al popolo. La moneta presentata a Gesù era quella del tributo e se avesse detto che era lecito pagarlo avrebbero potuto tacciarlo di essere amico dei Romani. Accettare quella moneta e consegnarla agli esattori dello Stato straniero era come riconoscere a questi il diritto di governare e automaticamente rinunziare alla potestà di Dio e del suo messia. Sarebbe stato un atto formale di apostasia.


Ma Gesù, conoscendo la loro malizia - Ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, che avevano contestato l’autorità di Gesù, ora subentrano altri interlocutori (Cf. Mt 21,23-27), i discepoli dei farisei e gli erodiani. Quest’ultimi, partigiani di Erode il grande e dei suoi discendenti, in particolare di Erode Antipa, a differenza dei farisei, erano a favore del pagamento del tributo a Cesare. Le due fazioni sempre in lite a motivo delle innumerevoli divergenze religiose e politiche, si ritrovano in questa disputa alleate per osteggiare Gesù, declarato nemico comune: la combutta, quindi, la dice lunga sulla buona intenzione e sull’onestà di questi approcci, che come denuncia l’evangelista Luca erano suscitati unicamente per tendergli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca  (Lc 11,54).
Le leggi di Roma, pur essendo assai repressive e spesso disumane, erano da quasi tutti gli Israeliti accettate obtorto collo e la questione del tributo a Cesare non era cosa da prendere sottogamba, perché pagarlo «costituiva un tacito riconoscimento del dominio straniero e la rinunzia implicita alla speranza messianica. Si trattava di un problema di coscienza, data la persistente concezione teocratica in Israele, che determinò la ribellione di alcuni rivoluzionari, contrari al versamento del tributo» (Angelico Poppi).
Alla domanda se era lecito, naturalmente secondo la Legge di Dio, pagare il tributo a Cesare, Gesù risponde in modo da evitare la trappola che gli era stata tesa. Rispondendo, infatti, che quelli che usano la moneta di Cesare sono tenuti a restituirla, Gesù evita di prendere posizione sulla liceità o meno del pagamento del tributo.
Il tranello preparato dagli interlocutori ipocriti era comunque molto evidente: se, infatti, avesse risposto che non era lecito, l’avrebbero accusato di disprezzare le leggi di Roma, se invece avesse risposto che era lecito «l’imputazione sarebbe quella esattamente contraria. Gesù si rivelerebbe un pessimo israelita, un collaborazionista, un fiancheggiatore dei romani. E Gesù se ne libera con una risposta ad hominem: «“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Risposta che tutto sommato lascia assolutamente aperto il problema, benché si sia soliti ascrivere a questo logion il principio nuovo e inedito della separazione del potere temporale da quello religioso» (Cettina Militello).
Dalla risposta si evince come Gesù, rifiutando di entrare in questioni prettamente politiche, abbia voluto impartire alle guide spirituali d’Israele «un profondo insegnamento teologico circa la priorità assoluta di Dio su ogni dominatore terreno, anche se usurpava titoli divini. Riguardo alle disquisizioni teologiche e giuridiche nella storia della Chiesa dei rapporti tra il potere civile e quello religioso sulla base della sentenza di Gesù, si tratta di deduzioni dottrinali posteriori, talvolta discutibili, che non riguardano direttamente l’esegesi» (Angelico Poppi). Quindi la risposta va al di là della mera questione di pagare il tributo a Cesare, per il quale, oltre tutto, la Chiesa non ha avuto mai dubbi, così come insegna l’apostolo Paolo: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto» (Rom 13,7).
E quello che bisogna dare a Dio era oltremodo chiaro ai farisei e agli erodiani, bisogna dare tutto; tutto se stessi, senza infingimenti e riserve: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo dei comandamenti» (Mt 22,37-38).
La risposta di Gesù supera «l’orizzonte umano dei suoi tentatori; si pone aldilà del sì e del no che avrebbero voluto carpirgli. La dottrina di Gesù Cristo trascende qualsiasi concezione politica, e se i fedeli, nell’esercizio della loro libertà, scelgono una determinata soluzione per le questioni temporali, “ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”» (La Bibbia di Navarra, I quattro Vangeli).


Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): I cristiani non sono nemici dello Stato, ma cittadini leali. Appunto perché religiosi hanno una coscienza e adempiono il loro dovere non soltanto sotto la costrizione del terrore, non solo quando sono controllati e minacciati da castighi, ma spontaneamente, perché nell’autorità vedono l’istanza voluta da Dio per la realizzazione del bene comune.
D’altra parte sono disposti a dare a Cesare soltanto ciò ch’è suo, e non cose alle quali non ha diritto alcuno. Il diritto di Cesare è limitato dai diritti inalienabili della persona umana e della famiglia, dai diritti degli altri Stati e dei popoli e soprattutto dal diritto, dalle esigenze e dalla volontà di Dio. Quando Cesare oltrepassa la sua competenza e pretende ciò ch’è ingiusto, la resistenza è dovere, peccato l’obbedienza. I cristiani hanno subito il martino a centinaia di migliaia, per non aver voluto dare a Cesare ciò ch’è di Dio.
Perciò Cristo, con la sua risposta, colpisce più a fondo, toccando l’argomento essenziale: date a Dio ciò ch’è di Dio! Gl’interroganti, che fingono la sincerità e la coscienza del dovere, rifiutano al Signore di tutti i Cesari il doveroso tributo. Non vogliono prestar fede alle parole di Dio, né ubbidienza alla sua volontà, né rendere onore alla sua maestà. Il loro falso chiedere è prova della disobbedienza. La loro finta disposizione smaschera l’indurimento dei cuori.
L’uomo deve dare a Dio ciò ch’è di Dio. In ultima analisi, però, tutto appartiene a Dio, perché l’uomo, come creatura, è proprietà del creatore, come redento, riscattato dal sangue di Cristo, appartiene al Redentore.
Da Dio scaturiscono la vita, il libero arbitrio, la grazia, l’amore. Perciò tutto quanto l’uomo dà a Dio è una doverosa restituzione, perciò la dedizione a Dio non è soltanto un dovere per l’uomo religioso, ma opera di un amore gioiosamente pronto. Chi dà a Dio ciò ch’è di Dio è pure disposto, per amore di Dio, a dare a Cesare ciò ch’è di Cesare. Chi però dà a Cesare ciò che non è di Cesare, chi lo idolatra, chi vede il bene supremo nel potere dello Stato, il fine massimo nella politica e la grandezza maggiore di tutte nel nazionalismo, si rifiuta di dare a Dio ciò ch’è di Dio. Solo l’atteggiamento giusto di fronte a Dio porta l’ordine nella vita. La risposta di Gesù all’insidiosa domanda dei nemici illumina l’ordine della creazione, perché l’incontro delle linee viene fissato nel punto supremo e da quel punto supremo, da Dio, tutto viene irraggiato. Un’èra di ateismo conduce all’idolatria dello Stato e dell’individuo. Siccome ogni forma d’idolatria è opera satanica, il senza-Dio soggiace necessariamente al demonio.


I Giorni del Signore (Commento alle Letture Domenicali): Nell’epoca moderna la separazione tra Chiesa e Stato è divenuta - imposta o negoziata - la regola generale. Nondimeno si continua a invocare il principio: «A Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio», ma in un altro senso. Alcuni vedono in esso l’affermazione della totale autonomia del potere politico, dotato di sue proprie leggi indipendentemente da Dio, dal vangelo e, a maggior ragione, dalla Chiesa e dai chierici, ogni ingerenza dei quali viene avvertita come una intollerabile aggressione. Altri, fra i cristiani, attribuiscono al detto di Gesù un significato abbastanza simile. Per costoro, la fede e la sua espressione - quello che rendono a Dio - costituiscono un settore della loro vita giustapposto all’altro - quello che rendono a Cesare - il quale ingloba non soltanto la politica, ma anche la loro attività sociale e professionale, a volte pure la vita familiare. Essi si considerano in regola una volta assolti i loro «doveri religiosi», sia pure al minimo indispensabile e stentatamente. Non è neppure questo genere di dicotomia o di manicheismo quello che Gesù ha inteso raccomandare.
Il vangelo non sottovaluta il dovere di rendere a Cesare quello che è di Cesare. «Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re» (1Pt 2,13-17). Questa chiara direttiva apostolica fu data in un tempo in cui i poteri pubblici perseguitavano i cristiani e la Chiesa. Bisogna dunque assolvere senza reticenza i propri doveri verso Cesare, ma rendere a Dio quello che è di Dio. È questo che insegna direttamente Gesù: i doveri verso Dio s’impongono a tutti, dunque, sempre. Lui, e lui solo, esige che gli si «renda» tutto. Il resto - i doveri verso Cesare - non vengono dopo, ma vanno assolti «per amore del Signore», perché tale è la volontà di Dio. Gesù non è stato costituito per dirimere i nostri litigi in fatto d’eredità (Lc 12,13), né per regolare i nostri problemi politici o di qualsiasi altro genere, perché tutto ciò rientra nella nostra responsabilità di uomini. Ma non ci ha abbandonati a noi stessi.


Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2242: Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d’obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...