IL PENSIERO DEL GIORNO

20 Ottobre 2017


Oggi Gesù ci dice: «I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla» (Sal 33,11; cfr. Antifona alla Comunione).


Dal Vangelo secondo Luca 12,1-7: Dico a voi amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo: I discepoli sono in difficoltà, la Parola sembra che abbia perduto la sua efficacia, la Chiesa stessa è perseguitata; sembra che tutto stia per risolversi in un sonoro fallimento... eppure Gesù infonde coraggio e dà ai suoi una speranza: Lui sarà sempre con la sua Chiesa e nessuno potrà distruggere quanto Dio stesso ha edificato. Per questa presenza divina i cristiani potranno e dovranno proclamare tutto senza alcun timore, se è necessario affrontando anche il martirio. Questa presenza divina, inoltre, svela ai credenti il vero volto di Dio: il «Dio vicino, previdente e provvidente, che mai fa mancare la sua assistenza; il Dio amico, che infonde coraggio e sostiene nelle avversità: il Dio ch’è sempre accanto all’uomo per difenderlo» (Mons. Marcello Semeraro).


Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia: L’ottavo Comandamento: Compendio CCC 521-522: Ogni persona è chiamata alla sincerità e alla veracità nell’agire e nel parlare. Ognuno ha il dovere di cercare la verità e di aderirvi, ordinando tutta la propria vita secondo le esigenze della verità. In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente: egli è la Verità. Chi segue lui vive nello Spirito di verità, e rifugge la doppiezza, la simulazione e l’ipocrisia. Il cristiano deve testimoniare la verità evangelica in tutti i campi della sua attività pubblica e privata, anche, se necessario, col sacrificio della propria vita. Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede.


Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia: Paolo VI (Udienza Generale, 17 luglio 1968): La concezione del perfetto cristiano deve fare molto caso delle virtù morali proprie della natura umana, integralmente considerata (cfr. Decr. De instit. sacerdotali, n. 11). Citiamo la prima di queste virtù: la sincerità, la veracità. «Sia il vostro linguaggio, c’insegna il Signore, sì, sì; no, no» (Matth. 5,37; Iac. 5,12). Dobbiamo redimere il cristiano dalla falsa e disonorante opinione che a lui sia lecito il giocare sulla parola, che in lui vi sia doppiezza fra pensiero e discorso, che egli possa a fin di bene ingannare il prossimo. L’ipocrisia non è protetta dal mantello della religione (cfr. Bernanos, L’imposture). Lo stesso si dica sul senso della giustizia. Della giustizia commutativa dapprima, quella che riguarda il mio e il tuo, cioè sull’onestà nei rapporti economici, negli affari, nella rettitudine amministrativa, specialmente nei pubblici uffici; e poi sulla giustizia sociale (legale, la dicevano gli antichi, «nel senso che per essa l’uomo si conforma alla legge che ordina gli atti di tutto l’operare umano al bene comune» - cfr. S. Th. II-II, 58,6; S. Tommaso la chiama perciò una «virtù architettonica» - cfr. ibid. 60, 1 ad 4). E così diciamo del senso del dovere, del coraggio, della magnanimità, dell’onestà dei costumi; e così via (cfr. Gillet, La valeur éducative de la morale catholique). Grande apprezzamento dobbiamo fare di queste virtù naturali, anche se non dimentichiamo come esse, fuori dell’ordine della grazia, siano incomplete, e spesso si associno a debolezze umane molto deplorevoli (cfr. S. Ag., De civ. Dei, V,19; P.M. 41,166); e ricordiamo come siano, di per sé, sterili di valore soprannaturale (ibid. XX, 25; P.L. 41,656; e XXI, 16; P.L. 41,730). Insegnamenti vecchi? No, ce li ricorda il Concilio, dove dice, ad esempio: «Molti nostri contemporanei... sembrano temere che, se si stabiliscono troppo stretti legami tra l’attività umana e la religione, sia impedita l’attività degli uomini, della società, della scienza». E difende così la legittima autonomia nella questione delle realtà terrene (Gaudium et Spes, n. 36)


Giovanni Paolo II (Discorso, 30 Ottobre 1999): Insegnare la fede ed evangelizzare significa proclamare al mondo una verità assoluta e universale; dobbiamo però parlare in modi appropriati e significativi, che rendano le persone ricettive a tale verità. Riflettendo su ciò che questo comporta, Paolo VI ha specificato quattro qualità, che egli definisce perspicuitas, lenitas, fiducia, prudentia - chiarezza, umanità, fiducia e prudenza (Ecclesiam Suam, n. 81).
Parlare con chiarezza significa che occorre spiegare in modo comprensibile la verità della Rivelazione e gli insegnamenti della Chiesa. Non dovremmo solo ripetere, ma spiegare. In altri termini, abbiamo bisogno di una nuova apologetica, in sintonia con le esigenze attuali, che tenga presente che il nostro compito non è quello di prevalere nelle discussioni ma di conquistare le anime, di impegnarci non in dispute ideologiche, ma nella difesa e nella promozione del Vangelo. 
Tale apologetica avrà bisogno di una “grammatica” comune con coloro che vedono le cose in modo differente e non condividono le nostre asserzioni, per evitare di usare linguaggi diversi anche se parliamo la stessa lingua.
La nuova apologetica dovrà respirare anche uno spirito di umanità, quell’umiltà compassionevole che capisce le ansie e gli interrogativi delle persone e che non si affretta a vedere in esse cattiva volontà o fede. Al contempo essa non lascerà prevalere un senso sentimentale dell’amore e della compassione di Cristo scisso dalla verità, ma insisterà sul fatto che l’amore e la compassione autentici pongono richieste radicali, proprio perché sono inscindibili dalla verità che, sola, ci rende liberi (cfr Gv 8,32).
Parlare con fiducia significherà che, per quanto gli altri possono negare la nostra competenza specifica o rimproverarci per le mancanze dei membri della Chiesa, non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che il Vangelo di Gesù Cristo è la verità alla quale tutte le persone anelano, per quanto esse possano apparire distanti, reticenti od ostili.
Infine, la prudenza, che Papa Paolo VI definisce saggezza pratica e buon senso, e che Gregorio Magno ritiene la virtù degli arditi (Moralia 22,1), significherà che dobbiamo dare una risposta concreta a chi ci chiede:  "Che cosa dobbiamo fare?" (Lc 3,10; 12; 14). Papa Paolo VI concluse affermando che parlare con perspicuitas, lenitas, fiducia prudentia “ci renderà saggi; ci renderà maestri” (Ecclesiam suam, n. 83). È a questo che siamo chiamati, cari Fratelli, innanzitutto ad essere maestri della verità che non cessano mai di pregare per "la grazia di vedere la vita nella sua completezza e la forza di parlare di essa in modo efficace" (Gregorio Magno, In Ezechielem, I, 11, 6).
Quella che noi insegniamo non è una verità di nostra invenzione, ma una verità rivelata, giunta a noi attraverso Cristo come dono incomparabile. Siamo inviati a proclamare questa verità e a esortare coloro che ci ascoltano a quella che l’apostolo Paolo definisce “obbedienza alla fede” (Rm 1, 5). 


Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Segno d’autenticità e richiamo alla fedeltà: Secondo Gesù, il discepolo che voglia vivere in conformità con la sua fede incontrerà sicuramente degli ostacoli. Ma l’avversione del mondo è segno dell’autenticità della sua sequela di Cristo. Se non ci fosse questa inimicizia, ci sarebbe da sospettare che abbiamo tradito il messaggio evangelico.
La condotta cristiana si scontra necessariamente, come una denuncia, con lo stile di un mondo dedito alle passioni terrene, « la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1Gv 2,16). Gesù ci avvertì: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me ... Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15,18s).
Oltre che segno d’autenticità, la persecuzione ripetutamente annunciata da Cristo può essere allo stesso tempo richiamo alla fedeltà. Perché non ogni rifiuto opposto ai cristiani e alla comunità ecclesiale è rifiuto a Gesù e al suo vangelo. Questa opposizione è evidente quando la persecuzione proviene dal potere istituito, che si sente a disagio con una voce che ricorda la giustizia e i diritti umani di chi non ha voce. E questo accredita la fedeltà dei cristiani al regno di Dio, che è amore e fratellanza, liberazione del povero e solidarietà con l’oppresso.
Ma a volte la resistenza, la critica e il rifiuto sono dovuti alla nostra testimonianza cristiana negativa, perché abbiamo nascosto, più che rivelato, il volto genuino di Cristo e di Dio (GS 19,3). In questo caso, la persecuzione e l’insuccesso sono catarsi o purificazione che deve metterei in guardia sulla necessità di una conversione sempre rinnovata alla fedeltà evangelica.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Ogni persona è chiamata alla sincerità e alla veracità nell’agire e nel parlare.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo...