2 Dicembre 2025
Martedì della I Settimana di Avvento
Is 11,1-10; Salmo Responsoriale Dal Salmo 71 (72); Lc 10,21-24
Colletta
Accogli, o Padre,
le preghiere della tua Chiesa
e soccorrici nelle fatiche e nelle prove della vita;
la venuta di Cristo tuo Figlio
ci liberi dal male antico che è in noi
e ci conforti con la sua presenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Ti rendo lode, o Padre: Benedetto XVI (Udienza Generale, 7 Dicembre 2011): Gesù si rivolge a Dio chiamandolo «Padre». Questo termine esprime la coscienza e la certezza di Gesù di essere «il Figlio», in intima e costante comunione con Lui, e questo è il punto centrale e la fonte di ogni preghiera di Gesù. Lo vediamo chiaramente nell’ultima parte dell’Inno, che illumina l’intero testo. Gesù dice: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Lc 10,22). Gesù quindi afferma che solo «il Figlio» conosce veramente il Padre. Ogni conoscenza tra le persone - lo sperimentiamo tutti nelle nostre relazioni umane – comporta un coinvolgimento, un qualche legame interiore tra chi conosce e chi è conosciuto, a livello più o meno profondo: non si può conoscere senza una comunione dell’essere. Nell’Inno di giubilo, come in tutta la sua preghiera, Gesù mostra che la vera conoscenza di Dio presuppone la comunione con Lui: solo essendo in comunione con l’altro comincio a conoscere; e così anche con Dio, solo se ho un contatto vero, se sono in comunione, posso anche conoscerlo. Quindi la vera conoscenza è riservata al « Figlio», l’Unigenito che è da sempre nel seno del Padre (cfr Gv 1,18), in perfetta unità con Lui. Solo il Figlio conosce veramente Dio, essendo in comunione intima dell’essere; solo il Figlio può rivelare veramente chi è Dio.
Il nome «Padre» è seguito da un secondo titolo, «Signore del cielo e della terra». Gesù, con questa espressione, ricapitola la fede nella creazione e fa risuonare le prime parole della Sacra Scrittura: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Pregando, Egli richiama la grande narrazione biblica della storia di amore di Dio per l’uomo, che inizia con l’atto della creazione. Gesù si inserisce in questa storia di amore, ne è il vertice e il compimento. Nella sua esperienza di preghiera, la Sacra Scrittura viene illuminata e rivive nella sua più completa ampiezza: annuncio del mistero di Dio e risposta dell’uomo trasformato. Ma attraverso l’espressione «Signore del cielo e della terra» possiamo anche riconoscere come in Gesù, il Rivelatore del Padre, viene riaperta all’uomo la possibilità di accedere a Dio.
Prima Lettura: Epifanio Gallego - La forza dello spirito - In stretto parallelismo con 9,1-6 e in circostanze storiche identiche o molto simili, Isaia continua a descriverci i tempi messianici futuri e ideali. Era l’evocazione spontanea che suscitava in ogni israelita fedele la celebrazione liturgica d’un determinato avvenimento reale. L’elemento più caratteristico di questo oracolo profetico è la dinamicità che imprime al futuro Messia il possesso dello Spirito di Yahveh. Virgulto nato dal ceppo quasi esausto della dinastia davidica di Acaz, il Messia doveva trasformarsi, con la forza dello spirito, nel principe ideale dei tempi messianici.
La meraviglia non sono le doti o i doni che sono numerati subito dopo, ma il possesso dello spirito, di quel soffio divino identificato con Dio in quanto che si compenetra con una persona per destinarla a una determinata missione. Mosè, gli anziani, i giudici, i re, i profeti ... tutti parteciparono di questo spirito che li trasformò in carismatici, cioè in strumenti di Dio al servizio del popolo. Così dobbiamo dire anche di Maria, di Gesù, degli apostoli e dei credenti.
Perciò i frutti di questo spirito non sono perfezioni umane egocentriche, bensì qualità dell’essere umano sviluppate in un alto grado per il bene della comunità. Isaia distribuisce questi doni in tre gruppi, gioco di numeri perfetti, facendo così vedere l’alta perfezione di questo virgulto di Iesse, il padre di Davide. Voler minimizzare il loro contenuto, differenziando ciascuno di questi doni, sarebbe ignorare il carattere ridondante dello tile semita. Già Ambrogio e Agostino insistettero abbastanza sul senso di pienezza e di cumulo di qualità desiderabili. Meno ancora dobbiamo vedere qui i cosiddetti sette doni dello Spirito Santo, in primo luogo perché non si parla di sette, bensì di sei. Lo spirito non è un altro dono, ma la fonte di tutti, sebbene i Settanta e la Volgata abbiano aggiunto il « dono della pietà» per trovare un settenario in questa profezia.
Ezechia e Zorobabele furono i candidati preferiti per raccogliere su di sé il compimento di questa profezia messianica. Intento fallito! Né l’uno né l’altro furono sempre esemplari d’un re prudente (cf Is 39,2; 37,8-9), né il loro tempo godette di quella pace idillica descritta subito dopo. Profeta e ascoltatori mirano al futuro con certezza e imprecisione. Verrà il Messia davidico, ma essi non lo videro: aggiunsero però un altro anello a quella catena di speranze messianiche che si adempiranno in Cristo.
Conseguenza di questo regno di pace e di giustizia dell’era messianica, frutto della rettitudine di coscienza dwgli uomini degli ultimi tempi, sarà quell’armonia totale dell’intero creato descritta con le immagini più espresve. Sogno paradisiaco o aspirazione alla felicità, è fuori dubbio che questa descrizione riflette una delle esigenze untane più innate e connaturali. Isaia pose il nuovo paradiso nei tempi del Messia come risultato dell’azione divina dello spirito. Altri lo porranno in una società dei consumi, non certamente caratterizzata dalla forza dello spirito. Noi sappiamo che è in Cristo, Alfa e Omega, e con Cristo, in Dio. La tensione escatologica è evidente.
Vangelo
Gesù esultò nello Spirito Santo.
Nel brano evangelico si possono mettere in evidenza almeno due temi. Il primo è quello dei piccoli, i quali proprio per la loro umiltà riescono a cogliere il mistero del Cristo. Il secondo tema è la rivelazione della divinità di Gesù: il Figlio conosce il Padre con la medesima conoscenza con cui il Padre conosce il Figlio.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,21-24
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Parola del Signore.
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra ... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio ... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
La gioia spirituale, le sue fonti - André Ridouard e Marc-François Lacan (Gioia in Dizionario di Teologia Biblica): 1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s). La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile Che è la pregustazione della gloria (1 Piet 1,39).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta. Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).
3. La partecipazione alla gioia eterna. Ma la prova avrà fine e Dio vendicherà il sangue dei suoi servi giudicando Babilonia che se n’è ubriacata; ci sarà allora letizia in cielo (Apoc 18,20; 19,1-4) dove si celebreranno le nozze dell’agnello; coloro che vi prenderanno parte, renderanno gloria a Dio nella letizia (19,7ss). Sarà la manifestazione della gioia perfetta che è sin d’ora il retaggio dei figli di Dio; perché lo Spirito, che è stato dato loro, fa sì che essi abbiano comunione con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo (1 Gv 1,2ss; 3,1s.24).
Su di lui si poserà lo spirito del Signore: La parola ebraica usata per indicare lo spirito significa “soffio di vento” (Es 10,13), “respiro della vita” (Gen 7,15; Mt 27,50), e indica anche il fatto che un uomo ha saziato la sua fame o la sua sete e ha ripreso coraggio (Gdc 15,19). Iahvé è signore di questo respiro della vita (Gen 2,7) ed è lui che fa vivere (Ez 37,1-14). Tuttavia egli può riprendersi anche questo spirito della vita (Gb 34,14s). Il termine spirito può indicare anche un modo di comportarsi, per esempio “spirito di smarrimento” (Is 19,14). Lo spirito di Dio comunica speciale forza e sostegno (Nm 11,25; Gdc 14,6; Lc 1, 15; 4,14). I profeti sanno di essere guidati da esso; lo spirito del Signore si poserà sul Messia (Is 11,2s; Lc 4,18.21; cfr. Ez 36,25ss; Sal 51, 12-15) e sul servo di Jahvé (Is 42,1). Lo si vedeva all’opera già nella creazione (Gen 1,2). Per più l’Antico Testamento non intende lo spirito come fantasma (come in 1Re 22,21) o come un’essenza extraumana. In seguito si parla di spiriti cattivi (demoni). Gesù in quanto Messia dimostra che loro potere è spezzato (cfr. Mt 12,28). L’espressione «Dio è spirito» non era ancora possibile per l’Antico Testamento (cfr. però Is 31,3), poiché lo spirito non indicava l’essenza di Dio, ma la sua attività. Si poté giungere alla formulazione di questo concetto in seguito (Gv 4,24). Inoltre, lo spirito indica tutto l’uomo, non solo una dimensione dell’uomo. Tuttavia anche il Nuovo Testamento conosce la divisione dello spirito e della carne (Mc 14,38). Ciò non significa che l’uomo sia diviso in due parti. Questo dualismo è sostenuto per la prima volta dalla filosofia greca. Piuttosto si deve dire che lo stesso uomo può reagire in due modi diversi. Infine, nella riflessione cristiana lo Spirito è una Persona, la “terza Persona della Trinità”. Il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in terra né in cielo (Mc 3,29), non sarà perdonato “non tanto per la sua gravità e malizia, quanto per la disposizione soggettiva della volontà, tipici di questo peccato, che chiude le porte al pentimento: esso consiste nell’attribuire malignamente al demonio i miracoli e i segni operati da Gesù. In tal modo, per la natura propria di questo peccato, viene preclusa la via a Cristo, l’unico che toglie il peccato del mondo [Gv 1,29] e il peccatore si sottrae al perdono divino” (Bibbia di Navarra, I quattro Vangeli).
Ti lodo, o Padre: “Alleluia: è la lode di Dio, per noi, affaticati; essa contrassegna quella che sarà la nostra attività nel riposo. Quando infatti, dopo la fatica di quaggiù, giungeremo al riposo di lassù, unico nostro ufficio sarà la lode di Dio, la nostra attività sarà un alleluia... Lassù l’alleluia sarà nostro cibo; l’alleluia sarà nostra bevanda, l’alleluia sarà l’attività del nostro riposo, tutta la nostra gioia sarà un alleluia, cioè lode di Dio.” (Sant’Agostino).
Il Santo del Giorno - 2 Dicembre 2025 - Sant’Abacuc, Profeta: È annoverato tra i profeti minori dell’Antico Testamento. Denominazione dovuta solo alla brevità dei suoi scritti, ma non all’importanza secondaria del suo messaggio. Di Abacuc ignoriamo quasi tutto, ma alcune allusioni presenti nel libro biblico a lui attribuito, composto di solo tre capitoli, ci fa ipotizzare una sua collocazione cronologica all’epoca dell’avversario di Geremia, re Ioiakim, che succedette nel 609 a.C. al giusto e sfortunato re Giosia, ucciso in battaglia dal faraone Necao. Questo profeta si contraddistingue per il suo stile brillante e icastico. Dal libretto di Abacuc occorre però scorporare il terzo ed ultimo capitolo: secondo gli studiosi esso contiene infatti un inno arcaico, forse composto ben prima, nel X secolo a.C.. Il personaggio Abacuc ricompare però nell’Antico Testamento in un racconto miracolistico e leggendario del libro di Daniele (14,3 1-42). (Avvenire)
Nutriti dell’unico pane, ti supplichiamo, o Signore,
di confermarci sempre nel tuo amore,
perché possiamo camminare in novità di vita.
Per Cristo nostro Signore.