15 Ottobre 2025
Sant Teresa D’Avola, Vergine e Dottore della Chiesa
Rm 2,1-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 61 (62); Lc 11,42-46
Colletta
O Dio, che per mezzo del tuo Spirito hai suscitato
santa Teresa [di Gesù] per mostrare alla Chiesa
una via nuova nella ricerca della perfezione,
concedi a noi di nutrirci sempre della sua dottrina
e di essere infiammati da un vivo desiderio di santità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
una via nuova nella ricerca della perfezione,
concedi a noi di nutrirci sempre della sua dottrina
e di essere infiammati da un vivo desiderio di santità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Udienza Generale 2 Febbraio2011): Non è facile riassumere in poche parole la profonda e articolata spiritualità teresiana. Vorrei menzionare alcuni punti essenziali. In primo luogo santa Teresa propone le virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: in particolare, il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l’amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l’umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell’audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva. Senza dimenticare le virtù umane: affabilità, veracità, modestia, cortesia, allegria, cultura. In secondo luogo, santa Teresa propone una profonda sintonia con i grandi personaggi biblici e l’ascolto vivo della Parola di Dio. Ella si sente in consonanza soprattutto con la sposa del Cantico dei Cantici e con l’apostolo Paolo, oltre che con il Cristo della Passione e con il Gesù Eucaristico.
La Santa sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera; pregare, dice, “significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama” (Vita 8, 5) . L’idea di santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d’Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l’iniziativa viene da Dio (cfr Summa Theologiae II-ΙI, 23, 1). La preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l’interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all’unione d’amore con Cristo e con la Santissima Trinità. Ovviamente non si tratta di uno sviluppo in cui salire ai gradini più alti vuol dire lasciare il precedente tipo di preghiera, ma è piuttosto un approfondirsi graduale del rapporto con Dio che avvolge tutta la vita. Più che una pedagogia della preghiera, quella di Teresa è una vera "mistagogia": al lettore delle sue opere insegna a pregare pregando ella stessa con lui; frequentemente, infatti, interrompe il racconto o l’esposizione per prorompere in una preghiera.
Un altro tema caro alla Santa è la centralità dell’umanità di Cristo. Per Teresa, infatti, la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell’unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l’importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all’Eucaristia, come presenza di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia. Santa Teresa vive un amore incondizionato alla Chiesa: ella manifesta un vivo “sensus Ecclesiae” di fronte agli episodi di divisione e conflitto nella Chiesa del suo tempo. Riforma l’Ordine carmelitano con l’intenzione di meglio servire e meglio difendere la “Santa Chiesa Cattolica Romana”, ed è disposta a dare la vita per essa (cfr Vita 33, 5).
Un ultimo aspetto essenziale della dottrina teresiana, che vorrei sottolineare, è la perfezione, come aspirazione di tutta la vita cristiana e meta finale della stessa. La Santa ha un’idea molto chiara della “pienezza” di Cristo, rivissuta dal cristiano. Alla fine del percorso del Castello interiore, nell’ultima “stanza” Teresa descrive tale pienezza, realizzata nell’inabitazione della Trinità, nell’unione a Cristo attraverso il mistero della sua umanità.
I Lettura: Il vangelo ammette il pluralismo - José Maria González-Ruiz: Paolo continua a rivolgersi all’«uomo naturale». Non tenta un falso ecumenismo o una «captatio benevolentiae» che, in definitiva, suppone la validità d’un’apologetica coattiva. Al contrario, il pagano che è di fronte a lui ha potuto essere ed è stato realmente un uomo interpellato da Dio. Paolo conosce la realtà della buona teologia pagana, ma rinfaccia ai teologi la loro incongruenza: i teologi condannavano certamente quella serie d’aberrazioni morali, ma non per questo davano testimonianza con la loro condotta.
Da tutto questo si deduce che, per Paolo, vi è possibilità di salvezza fuori dell’ambito stretto della Chiesa. Altrimenti non si comprenderebbero questi seri rimproveri ai teologi pagani. Infatti, «Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno e ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all’ingiustizia».
In questo modo, si mette fuori gioco quel tipo di pastorale che cerca di far tabula rasa del grado di religiosità della persona o del mondo, ai quali si tenta d’offrire il messaggio evangelico. Prima che giungessero i predicatori, Dio li aveva già interpellati; e la prima cosa che deve lare l’evangelizzatore è riconoscere questo fatto e spingere quanto è possibile l’evangelizzando a riconsiderare la sua posizione e ad acquistare la coerenza della sua «fede» con la sua condotta.
Quando l’evangelizzazione si presenta come un punto di partenza dell’incontro di Dio con l’uomo, si corre il grave rischio d’identificare il messaggio evangelico con la cultura e persino col tipo di religiosità degli evangelizzatori.
Sebbene possa parere paradossale, vi può essere un certo pluralismo anche nella stessa e stretta accettazione del vangelo.
Vangelo
Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.
Gesù rimprovera i farisei per la loro sterile e opprimente osservanza della Legge. L’invettiva è rivolta anche ai dottori della Legge. Le guide spirituali del popolo eletto hanno talmente appesantita la Legge da renderla odiosa a molti e impraticabile per tutti coloro che avrebbero voluto seguirla con animo retto e sincero. Un monito che è rivolto anche ai credenti, l’incoerenza tra ciò che si pretendono dagli altri e ciò che si pretende da se stessi è sempre in agguato. Severi con gli altri e indulgenti con se stessi è una tentazione strisciante ma molto palpabile anche nella Chiesa.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,42-46:
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
Parola del Signore.
Guai a voi, farisei … Guai anche a voi, dottori della Legge: Cardinale Gianfranco Ravasi, Arcivescovo: Ouai in greco, hoi in ebraico, vae in latino, woe in inglese, wehe/weh in tedesco, guai in italiano: è analogo in molte lingue - anche differenti nella loro genesi - il monito minaccioso caratterizzato da una sonorità quasi onomatopeica. Impressiona veder affiorare sulle labbra di Gesù una sequenza di tali maledizioni con invettive fin pittoresche, simili a quelle scagliate dai profeti contro la corruzione e le ingiustizie del loro tempo (si legga, per esempio, Isaia 5,8-24). Nel cap. 23 di Matteo questi “guai!” si compongono in un settenario che colpisce «scribi e farisei ipocriti». Il filo conduttore di queste imprecazioni è appunto l’ipocrisia, il bersaglio frequente degli strali di Gesù. Egli è generoso, misericordioso, paziente con ogni genere di peccatori. Ciò che non tollera è l’uso della religione a proprio vantaggio, è l’ammantarsi con pratiche esteriori per nascondere vizi privati, è l’ostentazione rituale che cela un inganno nei confronti del prossimo, è la falsa giustizia che è legalismo oppressivo. L’immagine più folgorante è il sepolcro ornato e dipinto che custodisce nel suo intimo «ossa di morti e marciume» (Matteo 23,27-28). L’“inciampo” che queste parole di Cristo possono creare è nella loro veemenza che ricalca la voce del Battista: «Serpenti, razza di vipere» (si veda Matteo 3,7). Ma Gesù non aveva invitato ad amare il proprio nemico? Non si era definito «mite e umile di cuore»? Non aveva esortato a porgere l’altra guancia? Certo, qui siamo di fronte a un peccatore che nega di essere tale, anzi, è pronto a giustificarsi fino a ergersi a modello di virtù, senza lasciarsi scalfire dall’autocritica e tantomeno dal desiderio di conversione. Rimane, però, lo “scandalo” del tono violento, pur riconoscendo l’enfasi tipica dello stile semitico, così come impressiona la reazione di “insopportabilità” quasi intollerante per un tale peccato da parte di Gesù: «Voi colmate la misura dei vostri padri!», esclama dopo aver accusato gli scribi e i farisei di essere complici dell’assassinio dei profeti (23,29-32). Ebbene, la dimensione etica di questo atteggiamento di Cristo è da individuare nella distinzione tra ira e sdegno. L’ira, la collera, la rabbia furiosa costituiscono uno dei sette vizi capitali, denominato appunto “ira”, vizio pericoloso e deleterio che sconfina nell’aggressione dell’altro e nell’odio. Lo sdegno è, invece, lo schierarsi appassionato contro l’ingiustizia, il male, l’ipocrisia, ed è una virtù. La meta che Gesù vuole raggiungere è indurre alla nausea e al rigetto nei confronti della degenerazione della religione e l’esaltazione di una fede autentica, libera, operosa.
Giustizia - Piccolo Dizionario Biblico: Giustizia Dio è «giusto» (Gn 18,25); ciò significa in qualche modo: Dio è «degno di affidamento» (cfr. Is 26,4), si attiene al patto; elargisce la grazia (cfr. Sal 103,17; Ger 9,24), combatte i nemici della salvezza che egli vuole portare (Is 10,22; 41,ls; cfr. Rm 10,3). L’uomo che aderisce al piano di Dio è anche egli stesso «giusto» (Gb 17,9), specialmente il messia
(Is 11,4s). Il popolo non si regolava secondo questo piano di Dio e perciò ha abbandonato la giustizia (Am 5,7). Giustizia in senso biblico non è da intendersi in senso giuridico (cfr. però Is 41,1); essa esprime piuttosto la «giusta» relazione tra Dio e l’uomo. Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge.
A Dio toccava solo fare dopo il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Che si dessero però anche altre concezioni risulta per esempio dall’uso della parola «giusto» nel vangelo dell’infanzia di Lc (1,6; 2,25).
Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della fede («giustificazione per mezzo della fede»: Rm 3,28) e attraverso la grazia e la misericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diventato giusto, «una nuova vita» (Rm 6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» (Mt 3,15) e l’ha raccomandata (Mt 5,6; fame e sete di giustizia). In realtà i cristiani debbono «fare la giustizia» (l Gv 2,29); ma la piena giustizia non è stata ancora accordata al mondo (2Pt 3,13).
Don Dolindo Ruotolo (I Quattro Vangeli): Guai a voi, a farisei che pagate la decima della menta e della ruta, e di tutti i legumi, giungendo allo scrupolo in quello che la Legge non vi comanda, senza far caso a della giustizia e della carità di Dio. Il dare al tempio oltre le decime del seme della terra, cioè frumento e dei frutti degli alberi, come è prescritto (Lv 230; Dt 14,22) anche quelle dei minimi prodotti, è in sé un bene, perché un segno di amore e di sudditanza a Dio; ma contetarsi di questo e non badare ai doveri della giustizia e della carità è un manomettere la Legge di Dio. Voi, però, soggiunge Gesù con dolore, voi non siete scrupolosi nelle decime per amore verso il Signore; lo siete per ostentazione di santità, amando di essere onorati dagli altri come giusti e, facendo così, vo siete come sepolcri nascosti, la cui putredine non si vede e la quale si passa senza accorgersene.
A queste parole estremamente rigorose uno dei dottori della legge si rivelò e disse con forza: Maestro, parlando così Tu offendi anche noi. I farisei e gli scribi, infatti, formavano un solo partito, e quello che i primi pretendevano di praticare era insegnato precisamente dai dottori; condannare chi praticava ero lo stesso che riprovare chi lo insegnava. Ma proprio perché le gravi deviazioni dalla Legge di Dio dipendevano dal falso insegnamento, Gesù rispose: Guai anche voi, dottori della Legge, perché caricate gli uomini di pesi che non possono portare, e voi tali pesi non li toccate neppure con uno dei vostri diti. dei vostri diti. Siete voi ingiusti per primi, perché inventate doveri che non esistono, solo per quelli che vi sono soggetti, ed esigendo rigorosamente dagli altri, voi in realtà siete i più rilassati e negligenti nel servizio di Dio e consumate ogni sorta d’ingiustizia contro il prossimo.
Tre maledizioni contro i farisei - I farisei sorvolano sul giudizio e sull’amore di Dio: “La trasgressione di un comandamento comporta la trasgressione della Legge. Essa dimostra che l’uomo è senza la Legge Se uno ignora questi comandamenti, che sono particolarmente importanti rispetto al resto, quali parole troverà che siano in grado di salvarlo dalla meritata punizione? Il Signore ha dimostrato che i farisei hanno meritato questo severo biasimo, dicendo: Guai a voi; farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio! Tu dovresti aver fatto queste cose e non averne trascurate altre, il che significa senza averle lasciate incompiute. Essi hanno trascurato, come se non avessero importanza questi doveri che sono particolarmente obbligati a praticare, come la giustizia e l’amore per Dio. Con cura e scrupolosità hanno osservato, o piuttosto hanno ordinato alle persone sottomesse alla loro autorità di osservare solo quei comandamenti che erano risorsa di grande reddito per loro stessi” (Cirillo di Alessandria, Commento a Luca, omelia 84).
Il Santo del giorno - 15 Ottobre 2025 - Santa Teresa di Gesù: Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent’anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l’incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un’intensa attività come riformatrice dell’Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l’autorizzazione del generale dell’Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)
Signore, Dio nostro,
fa’ che sull’esempio di santa Teresa [di Gesù]questa famiglia a te consacrata, nutrita con il pane del cielo,
canti in eterno il tuo amore misericordioso.
Per Cristo nostro Signore.