26 LUGLIO 2025
 
Santi Gioacchino e Anna, Memoria
 
Es 24,3-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 49 (50); Mt 13,24-30
 
Colletta
O Signore, Dio dei nostri padri,
che ai santi Gioacchino e Anna
hai dato la grazia di generare
la Madre del tuo Figlio fatto uomo,
per le loro preghiere concedi anche a noi
la salvezza promessa al tuo popolo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Sant’Anna - Giovanni Paolo II (Omelia, 10 dicembre 1978): La figura di Sant’Anna ci ricorda ...  la casa paterna di Maria, Madre di Cristo. Là Maria è venuta al mondo, portando in sé quello straordinario mistero dell’immacolata concezione. Là era circondata dall’amore e dalla sollecitudine dei suoi genitori: Gioacchino e Anna. Là “imparava” da sua madre, proprio da Sant’Anna, come essere madre. E benché, dal punto di vista umano, ella avesse rinunciato alla maternità, il Padre Celeste, accettando la sua donazione totale, La gratificò della maternità più perfetta e più santa. Cristo, dall’alto della Croce, trasferì in un certo senso la maternità della sua genitrice al suo discepolo prediletto, e parimenti la estese a tutta la Chiesa, a tutti gli uomini. Quando dunque come “eredi della promessa” (cfr. Gal 4,28.31) divina, ci troviamo nel raggio di questa maternità, e quando risentiamo la sua santa profondità e pienezza, pensiamo allora che fu proprio Sant’Anna la prima a insegnare a Maria, sua figlia, come essere madre. “Anna” in ebraico significa: “Dio [soggetto sottinteso] ha fatto grazia”. Riflettendo su questo significato del nome di Sant’Anna, così esclamava San Giovanni Damasceno: “Poiché doveva avvenire che la Vergine Madre di Dio nascesse da Anna, la natura non osò precedere il germe della grazia; ma rimase senza il proprio frutto perché la grazia producesse il suo. Doveva nascere infatti quella primogenita, dalla quale sarebbe nato il primogenito di ogni creatura” (San Giovanni Damasceno, Serm., VI, “De Nativ. B.M.V.”, 2: PG 96,663).
 
I Lettura: Il popolo promette di essere fedele a Dio e alla sua Legge, ma la sua storia smentirà questa promessa. L’ infedeltà accompagnerà i passi del popolo d’Israele, accompagnandolo a disastri irreparabili per condurlo definitivamente al suo annientamento quando i Romani nel 70 d.C. distruggeranno il Tempio e la città di Gerusalemme: molti dei suoi figli moriranno di spada, molti altri saranno condotti schiavi nei possedimenti dei patrizi romani.
 
Vangelo
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.
 
L’impazienza dell’uomo è costata sempre cara alla Chiesa. Ma anche l’eccessiva pazienza. Il nemico spesso sa approfittare dell’“eterna” pazienza della Chiesa, quella pazienza che spesso è ipocrita e messa in atto per non perdere privilegi, posizioni di onore, immunità, o vantaggi o concessioni, spesso illecite. Casomai la pazienza va messa in campo dopo una sano discernimento, secondo i dettami evangelici. L’impazienza è il bubbone dell’orgoglio, del sentirsi migliore degli altri, del credersi al di sopra di tutti, è l’ipocrita purezza satanica che apre il cuore dell’uomo al razzismo, alla discriminazione, alla intolleranza, al fanatismo, al pregiudizio. La pazienza di Dio non è tolleranza delle distorsioni morali e spirituali dell’uomo, ma è sapienza divina che conduce al termine il progetto di salvezza attendendo, spesso invano, la collaborazione dell’uomo. Dio “non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva” (Ez 33,11), e se ritarda nell’approntare il giudizio universale è perché è magnanimo e non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi (1Pt 3,9), e di salvarsi.  La pazienza di Dio nasce dal suo amore verso tutte le creature, ed è preludio di salvezza.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 13,24-30
 
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
 
Parola del Signore
 
La parabola nel Vangelo - Daniel Sesbouè: Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in così forte rilievo da Marco (1,34.44; 3,12; 5,43 ...). Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4,33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine...) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13,10-13.34s-36.51; 15,15; cfr. Dan 2,18ss; 7,16).
Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel  mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13,10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8,16 ss; 10,30-37; 11,5-8).
L’interpretazione della parabole - Se ci si pone in questo contesto biblico ed orientale in cui Gesù parlava, e si tiene conto della sua volontà di insegnamento progressivo, diventa più facile interpretare le parabole. La loro materia sono i fatti umili della vita quotidiana, ma anche, e forse soprattutto, i grandi avvenimenti della storia sacra. I loro temi classici, facilmente reperibili, sono già pregni di significato per il loro sfondo di VT, al momento in cui Gesù se ne serve. Nessuna inverosimiglianza deve stupire nei racconti Composti Con libertà ed interamente ordinati all’insegnamento; il lettore non deve essere urtato dall’atteggiamento di taluni personaggi presentati per evocare un ragionamento a fortiori od a contrario (ad es. Lc 6,1-8; 18,1-5). Ad ogni modo
bisogna anzitutto mettere in luce l’aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell’allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre Celeste (Mt 21,28; Lc 15,11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13,3.24.31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24, 43; il «padrone» di Mt 25, 14; lo «sposo» di Mt 25,1); e quando ve ne sono due, sono il Padre
bisogna anzitutto mettere in luce l’aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell’allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre Celeste (Mt 21,28; Lc 15,11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13,3.24.31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24, 43; il «padrone» di Mt 25, 14; lo «sposo» di Mt 25,1); e quando ve ne sono due, sono il Padre ed il Figlio (Mt 20,1-16; 21, 33. 37; 22,2). Infatti l’amore del Padre testimoniato agli uomini con l’invio del suo Figlio è la grande rivelazione portata da Gesù. A questo servono le parabole che mostrano il compimento perfetto che il nuovo regno dà al disegno di Dio sul mondo.
 
Vuoi che andiamo a raccoglierla? - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): qualcosa di simile vale per gli eventi storici. Secondo i violenti e i titani irrequieti, Iddio dovrebbe attaccare senza indugi, annietare ogni potenza nemica e rendere costantemente visibile il trionfo della verià e della giustizia. Ma Dio ha un respiro più ampio, un passo più lungo. Dinanzi a lui mille anni contano un giorno. La cosa essenziale è che si vinca l’ultima battaglia, anche se una quantità di scontri precedenti sono terminati con la disfatta.
Lo stesso si può dire per la vita della Chiesa. Un falso radicalismo vorrebbe vedere sulla Cattedra di san Pietro soltanto un Papa Angelicus; vorrebbe vescovi che siano un’incarnazione del Buon Pastore e critica ogni sacerdote in cui non si uniscano l’autorità di Pietro, l’acutezza teologica d’un Paolo e l’ardore d’un Giovanni. Vorrebbe, in conclusione, soltanto Cristo in spirito e non il Logos incarnato. Questa continua critica, anziché costruire, distrugge. Sveglia soltanto l’opposizione in seno alla Chiesa e fuori, agisce da freno invece che da stimolo; non è un indicatore della via ma un filo spinato.
Secondo le parole di Cristo bisogna saper attendere il che non significa un modo lasciar correre, a una rinunzia, un’indifferenza sonnacchiosa a un insensibile cinismo, bensì il contegno religioso, che vuole soltanto la volontà e i metodi di Dio e non agisce di propria iniziativa, ma come strumento di Dio. Chi non si rimette sempre nelle sue mani, corre pericolo di scambiare l’opinione personale con la professione di fede della Chiesa, costruendone una ideale, simile a un castello in aria, invece di agire oggi, qui, nella Chiesa reale, data da Dio. Il fanatismo non è cristiano. Non bisogna mai perdere di vista il fine, ricordando che esso è determinato da Dio, e che egli è il giudice che presiede al tribunale. Ciò che Dio attende è la nostra salvezza. Perciò dobbiamo attendere anche noi gli altri, per salvarli. Si tratta di salvare, non di giudicare. La sentenza colpisce soltanto coloro che non si lasciano salvare.
 
Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore (I Lettura) - Lisa Cremaschi: Il sacrificio nell’Antico Testamento. L’Antico Testamento è scandito dal racconto di sacrifici; Caino c Abele offrono i prodotti del loro lavoro, Noè dopo il diluvio offre un sacrificio in ringraziamento, Abramo offre il figlio Isacco, Mosè sacrifica sul Monte Sinai, In origine non esiste un luogo privilegiato per l’offerta del sacrificio; si erige un altare rudimentale dove si è vissuta un’esperienza di fede e il capofamiglia, o il capo­tribù, offre il sacrificio. Dopo la centralizzazione del culto i sacrifici verranno offerti soltanto nel Tempio di Gerusalemme.
Il libro del Levitico elenca i diversi generi di sacrificio che venivano praticati in Israele in epoca postesilica. L’olocausto, ritenuto il sacrifico perfetto, così chiamato perché in esso la vittima (agnello, caprctto, uccello ecc.) venivano interamente bruciata in segno di offerta totale a Dio.
L’oblazione, cioè l’offerta di prdotti vegetali che era sempre accompagnata da quella dell’olio, del vino, dell’incenso. II sacrificio pacifico, nel quale parte della vittima era offerta sull’altare e parte veniva mangiata in segno di comunione con Dio. Il sacrificio espiatorio, nel quale era data grande importanza al sangue della vittima (il sangue nella concezione biblica è la sede della vita), che veniva offerto per ottenere il perdono dei peccati commessi involontariamente. Il sacrificio di riparazione per riparare il male commesso contro il prossimo prevedeva prima del sacrificio vero c proprio, la restituzione di quanto era stato sottratto agli altri e il pagamento di una multa.
Sembra che in tutti i sacrifici le offerte fossero asperse con il sale (Lv 2,1.1), simbolo del pasto preso in comune per sigillare un’alleanza (Nm 18,19).
1 profeti e i sapienti criticano la riduzione dci sacrifici ad atto puramente esteriore, formale (Am 5,21-22; Os 6,6; Is 1,11) e a questo contrappongono il culto interiore, l’incontro personale con il Signore, che si traduce in una vita di obbedienza alla sua volontà, nella pratica dell’amore e della giustizia. Nei Salmi si ricorda che il vero sacrificio gradito a Dio è l’umile riconoscimento della propria infedeltà all’amore di Dio (Sal 51,18-19), è la lode (Sal 50,1-14), è ascoltare e mettere in pratica la sua volontà (Sal 40,7-9), è la preghiera (Sal 119,108).
La profezia di Isaia 53 annuncia il sacrificio di un servo di JHWH come “agnello condotto al macello” (Is 53,7). Dopo la distruzione del Tempio da parte dei romani (70 d.C.) l’offerta dei sacrifici nel giudaismo è stata definitivamente sostituita dalla liturgia della Parola.
 
Ora, mentre gli uomini dormivano… - (Crisostomo: Exp . in Matth., XLVI, l): Cristo dice ciò per insegnarci a vigilare continuamente... Non è possibile non cadere nel sonno del corpo, ma è possibile non cadere nel sonno della volontà. Per questo anche Paolo diceva: Vegliate e state saldi nella fede (1Cor. 16.13).
 
Il Santo del Giorno - 26 Luglio 2025 - Santi Gioacchino e Anna: Anna e Gioacchino sono i genitori della Vergine Maria. Gioacchino è un pastore e abita a Gerusalemme, anziano sacerdote è sposato con Anna. I due non avevano figli ed erano una coppia avanti con gli anni. Un giorno mentre Gioacchino è al lavoro nei campi, gli appare un angelo, per annunciargli la nascita di un figlio ed anche Anna ha la stessa visione. Chiamano la loro bambina Maria, che vuol dire «amata da Dio». Gioacchino porta di nuovo al tempio i suoi doni: insieme con la bimba dieci agnelli, dodici vitelli e cento capretti senza macchia. Più tardi Maria è condotta al tempio per essere educata secondo la legge di Mosè. Sant’Anna è invocata come protettrice delle donne incinte, che a lei si rivolgono per ottenere da Dio tre grandi favori: un parto felice, un figlio sano e latte sufficiente per poterlo allevare. È patrona di molti mestieri legati alle sue funzioni di madre, tra cui i lavandai e le ricamatrici. (Avvenire)
 
O Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio unigenito
nascesse dall’umana famiglia
perché gli uomini rinascessero da te a nuova vita:
santifica con lo spirito di adozione
coloro che hai saziato con il pane dei figli.
Per Cristo nostro Signore.