18 Luglio 2025
 
Venerdì XV Settimana T. O.
 
Es11,10-12,14; Salmo Responsoriale Dal Salmo 115 (116); Mt 12,1-8
 
Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità
perché possano tornare sulla retta via,
concedi a tutti coloro che si professano cristiani
di respingere ciò che è contrario a questo nome
e di seguire ciò che gli è conforme.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - 1150 Segni dell’Alleanza. Il popolo eletto riceve da Dio segni e simboli distintivi che caratterizzano la sua vita liturgica: non sono più soltanto celebrazioni di cicli cosmici e di gesti sociali, ma segni dell’Alleanza, simboli delle grandi opere compiute da Dio per il suo popolo. Tra questi segni liturgici dell’Antica Alleanza si possono menzionare la circoncisione, l’unzione e la consacrazione dei re e dei sacerdoti, l’imposizione delle mani, i sacrifici, e soprattutto la pasqua. In questi segni la Chiesa riconosce una prefigurazione dei sacramenti della Nuova Alleanza.
1169 Per questo la Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre: è la «festa delle feste», la «solennità delle solennità», come l’Eucaristia è il sacramento dei sacramenti (il grande sacramento). Sant’Atanasio la chiama «la grande domenica», come la Settimana santa in Oriente è chiamata «la grande Settimana». Il mistero della risurrezione, nel quale Cristo ha annientato la morte, permea della sua potente energia il nostro vecchio tempo, fino a quando tutto gli sia sottomesso.
1334 Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell’Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il «calice della benedizione» (1Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice.
1339 Gesù ha scelto il tempo della Pasqua per compiere ciò che aveva annunziato a Cafarnao: dare ai suoi discepoli il suo Corpo e il suo Sangue.
«Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la vittima di Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: “Andate a preparare per noi la Pasqua, perché possiamo mangiare”. [...] Essi andarono [...] e prepararono la Pasqua. Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli Apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. [...] Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio Corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,7-20).
1340 Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.
 
I Lettura: La Pasqua era certamente celebrata da Israele già prima della sua dimora in Egitto, ma posta ora in una cornice di liberazione e di esodo “porta con sé alcune reinterpretazioni. Il nome della Pasqua deriva da pasah, saltare, passar oltre, e si vuole vedere in esso un’allusione al «passaggio del Signore» il cui angelo sterminatore «passa oltre», permettendo che siano salve le case segnate col sangue dell’agnello nei loro stipiti, Il sangue propiziatorio è messo in relazione con la decima piaga e con la liberazione dei primogeniti ebrei. Il tema dei primogeniti prende corpo in questo contesto, perché, per il fatto che sono stati sottratti da Dio alla morte, divengono sua proprietà. Il carattere di premura, come di chi è già in viaggio, della Pasqua primitiva e il carattere provvisorio della festa degli azzimi sono orientati verso la situazione di fretta e di premura degli ebrei che escono dall’Egitto” (Angel Gonzáles). In questo modo la Pasqua è la “memoria” dell’eterno amore misericordioso di Dio (Es 12,14).  
 
Vangelo
Il Figlio dell’uomo è signore del sabato.
 
Al di là della polemica, Gesù rimprovera i Farisei di non aver compreso lo spirito della Legge antica, “altrimenti non avrebbero pronunziato un giudizio tanto severo a proposito dell’atto compiuto dai discepoli. Gesù dichiarandosi il padrone del sabato accenna indirettamente alla propria divinità. Il sabato è d’istituzione divina; Gesù, come Figlio di Dio, può dispensare dall’osservanza del riposo sabatico” (Benedetto Prete, secondo Matteo).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 12,1-8
 
In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle.
Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».
Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrifici", non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».
 
Parola del Signore.
 
Ortensio da Spinetoli (Matteo): La controversia è provocata dalla raccolta di spighe in giorno di festa. Il gesto non era condannato da nessuna legge ma per i rabbini rientrava in uno dei lavori proibiti di sabato. Strappare le spighe e stropicciarle per estrarne i chicchi era un’operazione che quasi si avvicinava alla trebbiatura, non era quindi ‘lecita’, non conforme cioè alle disposizioni di Mosè, alla tradizione, al comune uso.
La controargomentazione di Gesù è basata innanzitutto su esempi che mostrano la precarietà delle leggi ritualistiche. David e i suoi compagni, costretti dalla necessità, pur non essendo sacerdoti, mangiarono i pani consacrati senza commettere alcuna colpa (1 Sam 21, 1-6); i ministri del tempio violano abitualmente il rito sabatico senza che nessuno se ne mostri scandalizzato (cfr. Lv 24, 8; Nm 28, 9). Il criterio che giustifica queste modifiche o adattamenti è la necessità, o la superiorità di una legge sull’altra. È più rispondente alla volontà divina mangiare i pani della offerta che affrontare esausti ì pericoli del deserto, lavorare nel giorno di sabato che lasciar cadere il culto; perciò per sfamarsi, cioè per non venir meno alla legge della conservazione della vita, gli apostoli possono impunemente strappare le spighe in giorno di sabato. I tre fatti non sono identici ma tutti e tre mostrano come la legge positiva debba cedere davanti a un principio di ordine naturale. Non viene meno il rispetto dovuto a Dio o il culto, ma la realizzazione pratica in un determinato caso. La legge è per l’uomo, sì può anche qui ripetere, e non l’uomo per la legge. Marco (2, 27) cita un detto di Gesù che cade molto a proposito: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato». Pur restando un documento della polemica antifarisaica, la forza del testo gravita sulle affermazioni implicite (il raffronto con David) ed esplicite (la superiorità sul tempio e sul sabato) con cui Gesù sostiene le sue argomentazioni. David e i suoi compagni anticipano la comitiva di Gesù con i suoi discepoli; quello che hanno potuto compiere lecitamente i primi è consentito anche ai secondi, perché sono protagonisti di una stessa vicenda”. Il santuario che conta non è quello di pietra (Mt 24, 2; At 7, 48) ma quello vivente (1 Pt 2, 5). Non solo la legge del sabato o del sacro dovrà essere rinnovata ma lo stesso centro del culto dovrà essere sostituito dalla Persona del salvatore che fungerà da spazio spirituale in cui l’uomo può incontrare più sicuramente Dio.
La relatività del riposo sabatico è sottolineata da un richiamo profetico (Os 6, 6). La misura del proprio rapporto con Dio non è costituita dai riti, dagli atti di culto, dai sacrifici, ma dalle opere di misericordia. Le offerte che contano non sono quelle fatte a Dio che non bisogno di nulla, ma al proprio simile che ha sempre urgente necessità di esser benvoluto, compreso, aiutato, amato. Il richiamo si allarga con larghi strati della predicazione profetica in cui lo spezzare il pane con l’affamato, l’aver cura dell’ignudo, dell’orfano e della vedova era il vero modo di onorare Dio.
 
La Pasqua: Bibbia di Gerusalemme (Nota Es 12): Il lungo brano sulla pasqua (Es 12,1-13,16) comprende una fonte antica di tradizione jahvista (Es 12,21-23.27[b].29-39); aggiunte nello stile del Dt 12,24-27[a].13,3-16; forse Es 13,1-2); e aggiunte della redazione sacerdotale: le leggi rituali e il significato della pasqua (Es 12,1-20.28.40-51). Con queste aggiunte si possono collegare i rituali di Lv 23,5-8, Nm 28,16-25, Dt 16,1-8. In realtà, la pasqua e gli azzimi erano due feste originariamente distinte, essendo gli azzimi una festa agricola che ha cominciato a essere celebrata solo in Canaan; è stata unita alla festa della pasqua solo dopo la riforma di Giosia. La pasqua, di origine preisraelita, è una festa annuale di pastori nomadi, per il bene dei greggi. L’inizio del racconto antico (v 21), che la menziona senza spiegazione, suppone che essa fosse già conosciuta ed è verosimilmente la «festa di Jahve» che Mosè domandava al faraone il permesso di celebrare (cfr. Es 5,1+). Così il legame tra la pasqua, la decima piaga e l’uscita dall’Egitto è solo occasionale: questa uscita ha avuto luogo al momento della festa. Ma questa coincidenza temporale giustifica le aggiunte deuteronomizzanti di Es 12,24-27; 13,3-10, che spiegano la festa della pasqua (e degli azzimi) come il memoriale dell’uscita dall’Egitto (cfr. lo stesso Dt 16,1-3). La tradizione sacerdotale riferisce tutto il rituale della pasqua alla decima piaga e all’uscita dall’Egitto (Es 12,11(b)-14.42). Il legame è d’altronde più antico, poiché anche il racconto jahvista (Es 12,34.39) mette il vecchio rito pasquale dei pani senza lievito in rapporto con l’uscita dall’Egitto. Messi in relazione storica con questo avvenimento decisivo della vocazione di Israele, questi riti acquistarono un significato religioso interamente nuovo: espressero la salvezza apportata al popolo di Dio, come lo spiegava l’istruzione che accompagnava la festa (Es 12,26-27;13,8). La pasqua giudaica preparava così la pasqua cristiana: il Cristo, agnello di Dio, è immolato (la croce) e mangiato (la cena), nel quadro della pasqua giudaica (la settimana santa): e così apporta al mondo la salvezza. Il rinnovamento mistico di questo atto di redenzione diventerà il centro della liturgia cristiana che si organizza intorno alla Messa, sacrificio e convito.
 
C. Spicq e P. Grelot: l. Gesù non abroga esplicitamente la legge del sabato: in questo giorno egli frequenta la sinagoga e ne approfitta per annunciare il vangelo (Lc 4, 16...). Ma trova a ridire al rigorismo formalistico dei dottori farisei: «Il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato» (Mc 2, 27), ed il dovere della carità prevale sull’osservanza materiale del riposo (Mt 12, 5; Lc 13, 10-16; 14, 1- 5). Inoltre Gesù si attribuisce un potere sul sabato: il figlio dell’uomo ne è padrone (Mc 2, 28). È questo uno degli appunti che i dottori gli muovono (cfr. Gv 5, 9 ...). Ma, facendo del bene nel giorno di sabato, non imita egli il Padre suo che, entrato nel suo riposo al termine della creazione, continua a governare il mondo ed a vivificare gli uomini (Gv 5, 17)? 2. I discepoli di Gesù in un primo tempo hanno continuato ad osservare il sabato (Mt 28, 1; Mc 15, 42; 16, l; Gv 19, 42). Anche dopo l’ascensione le riunioni sabbatiche servono ad annunziare il vangelo in ambiente ebraico (Atti 13, 14; 16, 13; 17, 2; 18, 4). Ma ben presto il primo giorno della settimana, giorno della risurrezione di Gesù, diventa il giorno di culto della Chiesa, in quanto giorno del Signore (Atti 20, 7; Apoc 1, 10). Vi si trasferiscono le pratiche che gli Ebrei collegavano volentieri al sabato, come l’elemosina (1 Cor 16, 2) e la lode divina. In questa nuova prospettiva l’antico sabato giudaico acquista un significato figurativo, come molte altre istituzioni del VT. Con il loro riposo, gli uomini commemoravano in esso il riposo di Dio nel settimo giorno. Ora Gesù è entrato in questo riposo divino con la sua risurrezione, e noi abbiamo ricevuto la promessa di entrarvi dietro di lui (Ebr 4, 1-11). Sarà questo il vero sabato, in cui gli uomini si riposeranno dalle loro fatiche, ad immagine di Dio che si riposa dalle sue opere (Ebr 4, 10; Apoc 14, 13). 
 
I farisei videro tutto ciò - Cirillo di Alessandria (Frammento 152): [I farisei], finché non accade niente di grande e di nobile, se ne stanno quieti; ma quando vedono che alcuni vengono salvati, diventano più molesti di tutti; così sono nemici della salvezza degli uomini e ignoranti nelle parole divine. Se, infatti, rispetto alla prima disposizione ve ne è un’altra nuova, annunciata in precedenza da Geremia, bisogna senza dubbio usare non le leggi vecchi , bensì le nuove. Ma i farisei, non volendo prendere questo, tendono insidie agli apostoli, e dicono a Cristo riguardo a quelli: - Ecco, vediamo che quelli che sono istruiti da te si oppongono ai precetti della Legge; mentre la Legge comanda di riposarsi nel giorno di sabato e di non intraprendere assolutamente alcun lavoro, i tuoi discepoli toccano con le mani le spighe di grano».
Ma dimmi, tu, o fariseo, quando ti metti a tavola di sabato, non spezzi il pane? Perché accusi gli altri?
 
Il Santo del Giorno - 18 Luglio 2025 - San Ruffillo di Forlimpopoli, Vescovo: Un antico sermone del secolo XI ci dà alcune informazioni su Ruffillo, primo vescovo di Forlimpopoli. Il documento racconta che fra Forlimpopoli e Forlì, si annidava un mostruoso drago, che col solo fiato ammorbava l’aria, provocando la morte di diverse persone. Il vescovo Ruffillo esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare, affinché la zona venisse liberata dal mostro, nel contempo invitò il vescovo di Forlì Mercuriale (anch’egli poi santo) a partecipare all’impresa. Si recarono ambedue alla tana del drago, qui gli strinsero attorno alla gola le loro stole e lo gettarono in un profondo pozzo, chiudendone l’imboccatura con un «memoriale» (un monumento o un’iscrizione). Questo episodio è raccontato anche nella «Vita» di san Mercuriale e in quella dei santi Grato e Marcello. Il dragone rappresentò il simbolo dell’idolatria ancora abbastanza diffusa, che vide il protovescovo di Forlimpopoli impegnato a debellarla insieme all’opera di altri santi vescovi della regione, suoi contemporanei. Si può fissare il periodo del suo episcopato nella prima metà del secolo V. (Avvenire)  
 
O Signore, che ci hai nutriti con i tuoi doni,
fa’ che per la celebrazione di questi santi misteri
cresca in noi il frutto della salvezza.
Per Cristo nostro Signore.