8 MAGGIO 2025
 
Giovedì III Settimana di Pasqua
 
At 8,26-40; Salmo Responsoriale dal Salmo 65 (66); Gv 6,44-55
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che in questi giorni pasquali ci hai rivelato in modo singolare
la grandezza del tuo amore,
fa’ che accogliamo pienamente il tuo dono,
perché, liberati dalle tenebre dell’errore,
aderiamo sempre più agli insegnamenti della tua verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Io lo risusciterò nell’ultimo giorno - Catechismo della Chiesa Cattolica 1000: Il «modo con cui avviene la risurrezione» supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per opera di Cristo: «Come il pane che è frutto della terra, dopo che è stata invocata su di esso la benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di due realtà. una terrena, l’altra celeste. cosi i nostri corpi che ricevono l’Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il germe della risurrezione».
1001: Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Gv 6,39-40.44.54; 11,24); «alla fine del mondo». Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente associata alla parusia di Cristo: « Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo» (1Ts 4,16).
… solo colui che viene da Dio ha visto il Padre - Catechismo della Chiesa Cattolica 151: Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in colui che egli ha mandato, il suo Figlio prediletto nel quale si è compiaciuto; Dio ci ha detto di ascoltarlo. Il Signore stesso dice ai suoi discepoli: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Possiamo credere in Gesù Cristo perché egli stesso è Dio, il Verbo fatto carne: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Poiché egli «ha visto il Padre» Gv 6,46), è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare.
 
I Lettura: L’Etíope, funzionario di Candàce, regina di Etiòpia, sta leggendo un brano del profeta Isaia (53,7-8), un brano di difficile interpretazione. Per i Giudei la difficoltà stava nel trovare la persona che avrebbe fatto in favore del suo popolo quello che diceva la profezia indicata nel libro di Isaia. Trovarla significava anche darle un nome. La Chiesa trovò la risposta in Cristo Gesù, ed è da qui che inizia l’evangelizzazione dell’eunuco da parte di Filippo. Alla fine, fatta la professione di fede l’Etiope riceve il battesimo, e con il dono dello Spirito Santo il suo cuore si colma di indicibile gioia.
 
Vangelo
 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
 
Il brano giovanneo è di una ricchezza non comune, e puntualizza punti cardini per la fede cristiana. Innanzi tutto, non andiamo a Gesù per iniziativa nostra e per mezzo della buona volontà. Ci deve essere la chiamata e il dono del Padre. Gesù è il dono del Padre, e allo stesso tempo Gesù si dona a noi nel mistero del pane. Il verbo mangiare usato da Gesù, Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno..., allude all’eucarestia, ma può essere inteso anche in chiave sapienziale, pane, come cibo spirituale. Colui che va da Gesù si nutre di questo pane e mediante questo cibo spirituale acquisisce la pienezza di vita di Gesù che garantisce e anticipa il dono e il possesso della vita eterna.
... il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo: con questa affermazione Gesù “precisa in che modo egli è pane di vita: per mezzo della sua carne donata per noi. Nel linguaggio biblico la carne è una componente dell’uomo, il segno della sua fragilità, cioè del suo divenire votato alla morte. Il Verbo fatto carne ha preso la condizione umana sino alla fine. Malgrado la sua impotenza, la carne è principio di comunione. Giovanni dice del Verbo fatto carne: «Venne ad abitare in mezzo a noi» (1,14). Il primo uomo dice della donna che Dio gli presenta: «È ossa della mia ossa, carne della mia carne» (Genesi 2,23). È più di una parentela: è un’origine, un destino, una sostanza comune. Assumendo la nostra debolezza umana, unendosi a noi, Gesù diventa nostro pane”.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,44-55
 
In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni): 44 Nessuno può venire a me se il Padre... non lo attrae; Gesù non risponde entrando in polemica con i suoi interlocutori, né intende illuminarli direttamente sulla sua vera origine confutando le loro obiezioni (cf. vers. 42); egli invece porta il problema ad un livello molto superiore, al livello cioè di Dio stesso. Cristo infatti dichiara che non si può venire a lui se non si è misteriosamente attirati dal Padre e se non si risponde docilmente a tale attrazione divina. L’attrazione del Padre è un dono, come verrà esplicitamente affermato in seguito (cf. vers. 65); gli ebrei devono rendersi consapevoli del dono che è loro offerto evitando di opporsi all’attrazione misteriosa del Padre. L’espressione, pur rimanendo nell’ambito del linguaggio metaforico, designa in modo suggestivo l’azione misteriosa di Dio, la quale si identifica con la sua iniziativa misericordiosa di salvezza. Il testo giovanneo ha una notevole importanza teologica, perché considera il mistero della salvezza come una dolce ed irresistibile forza che attrae a Dio. Ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno; cf. verss. 39, 40. Si segnala l’aspetto finale dell’opera della salvezza, cioè il suo compimento escatologico che si inaugura con la risurrezione gloriosa dei redenti.
45 E saranno tutti ammaestrati da Dio; citazione tratta da un testo di Isaia che parla della Gerusalemme messianica (cf. Isaia, 54, 13). La citazione è libera e dipende probabilmente dal testo dei Settanta; il profeta annunzia alla nuova Gerusalemme: «tutti i tuoi figli saranno discepoli di Jahweh». La citazione si riallaccia a tutta una tradizione biblica, e messianica che è andata maturando con il tempo. All’idea della Legge data da Jahweh sul Sinai a tutto il popolo si è sovrapposta l’idea di un insegnamento impartito direttamente da Dio non più all’intera nazione considerata in blocco, ma ad ogni uomo considerato singolarmente; questa legge non si trova scolpita su tavole di pietra, ma è impressa nell’intimo di ciascuno. Secondo i verss. 44-45 «andare a Gesù» equivale a diventare suo discepolo; questo fatto è una grazia che proviene da una misteriosa attrazione del Padre e da un insegnamento intimo di Dio. Chiunque ascolta il Padre... viene a me; Gesù trae la conclusione dal principio formulato con un testo profetico. Chi ascolta l’ammaestramento di Dio viene a lui, perché egli rivela la dottrina del Padre.
46 Non che alcuno abbia veduto il Padre; il vers. è determinato dal bisogno di meglio precisare l’idea espressa nel vers. precedente, distinguendo tra coloro che vengono ammaestrati da Dio nell’oscurità della fede e colui che vede immediatamente il Padre, come è il caso del Figlio.
47 Nei verss. 47-51 si riprendono le dichiarazioni più importanti del discorso sul pane della vita; questi versetti servono da conclusione al discorso precedente. Chi crede in me ha la vita eterna; un pensiero identico è espresso in Giov., 5, 24; questo principio che compendia tutte le condizioni necessarie per accogliere Gesù e la sua salvezza, oltrepassa la circostanza in cui fu formulato ed il contesto in cui si trova.
48-49 Io sono il pane della vita; ripetizione della affermazione compiuta al vers. 35. E sono morti; al vers. 31 si era ricordalo il grande prodigio della manna; ora in più si rileva che i padri, i quali hanno beneficiato del cibo della manna, non vivono più. Tale rilievo ha lo scopo di mostrare come la manna pur essendo un cibo venuto dal cielo non preservava dalla morte.
50 Chi ne mangia non muore; soltanto il pane che discende dal cielo ha l’efficacia di comunicare una vita che non muore; per questo motivo è il vero pane disceso dal cielo. L’insistenza con la quale si parla di non morire richiama un tema biblico, quello dell’albero della vita (cf. Giov., 6, 50 e Genesi, 3, 3).
51a Io sono il pane vivente, disceso dal cielo; «il pane vivente» (ὁ ἄρτος ὁ ζῶν): espressione nuova (l’evangelista conosce la formula: acqua viva), la quale indica che Gesù non comunica soltanto la vita, ma è vita, cioè egli è pane che ha in sé la vita, il pane che è la vita. Questo pane vivo consente a colui che se ne ciba di vivere in eterno (chi mangia di questo pane vivrà in eterno); «vivere in eterno» equivale all’espressione «avrà la vita eterna».
 
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato - Il cuore del discorso di Cafarnao è la fede: «una fede esistenziale e profonda che polarizzi tutta la vita del discepolo verso la persona di Gesù. Questa è l’idea fondamentale dell’intero sermone sul pane della vita» (Alberto Panimolle). La fede è tutto nella vita dell’uomo: potenza divina che trasforma ogni cosa, vivifica, soprannaturalizza. Senza la fede siamo perduti, perché essa è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). Senza la fede tutto crolla sotto il peso dell’arroganza, dell’autosufficienza: senza la fede facciamo naufragio (Cf. 1Tm 1,18-19). Credere, infatti, significa trovare «un’ancora che impedisce di scivolare nelle sabbie mobili del dubbio sistematico e del relativismo» (G. Ravasi).
La fede ci fa risiedere, già ora, nel mistero della Trinità, facendoci vivere con gioia ineffabile e trasfigurante questa povera vita terrena: credere è «il modo più concreto e umanamente conveniente di prendersi cura della propria vita e incrementarne la qualità» (Bernardo Commodi).
Nella fede noi siamo partecipi di tutto ciò che Cristo possiede: partecipiamo alla sua giustizia (Cf. Rom 10,4; 1Cor 6,11), partecipiamo alla sua forza che salva e santifica (Cf. Rom 1,16; Ef 2,5). Abbiamo forza nelle tentazioni («chi crederà non vacillerà» Is 28,16; cfr. 1Pt 2,6; 1Gv 5,4). Gustiamo del riposo di Dio (Cf. Ebr 4,3), sperimentiamo la dolcezza dell’abbandono a Dio, dell’appartenere a lui, del sentirsi protetti, difesi e abbracciati dal suo amore materno (Cf. Dt 32,10-11).
La fede ci pianta sulla roccia sicura, che è Cristo (Cf. 1Cor 10,5) da cui sgorga l’acqua della vita. Per la fede, edificati «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,19), troviamo stabilità, sicurezza, protezione e amore. Consapevole che questo mondo e questa storia umana sono nelle benevoli mani di Dio e che la Chiesa è guidata dallo Spirito, il credente vive nella fiducia che tutto andrà bene e, pur impegnandosi con tutti i suoi talenti, rimane sempre e profondamente sereno.
La fede ci svela il volto misterioso del Pellegrino  che si affianca a noi nei tortuosi sentieri della vita (Cf. Lc 24,13ss): con lui camminiamo su un sentiero luminoso. La fede ci fa riconoscere Colui che cammina sulle acque del mare della nostra povera vita (Cf. Mt 14,25): in lui abbiamo una bussola per navigare sui mari tra­vagliati della storia; viviamo una vita ricca di significato e riceviamo forza, serenità e pace.
La fede ci fa superare gli scogli dell’orgoglio, della superbia; spezza il giogo delle passioni e ci fa veramente liberi. Chi si abbandona fiduciosamente a Dio «acquista una grande libertà interiore e si libera di tutte quelle inutili preoccupazioni con cui molti oggi si torturano girando attorno a se stessi, alla propria salute, al proprio successo e al guadagno. Chi si affida a Dio non è assillato dal dover dimostrare a se stesso e agli altri di fare sempre tutto bene, dal realizzare tutti i suoi ideali alla perfezione, dalla paura di non essere all’altezza e di non poter raggiungere prestazioni e traguardi eccelsi. Il credente sa che Dio lo ama, provvede a lui e sempre lo sorregge; perciò rimane saldo, fermo, sicuro in mezzo a tutte le tempeste della vita, vive nella pace, si accetta per quello che è e come è, si libera da ogni irrigidimento verso se stesso, si abbandona all’amore e fiduciosamente entra in relazione con l’altro» (B. Commodi).
Se da soli non possiamo accendere nel nostro cuore la luce divina della fede, possiamo però invocare il Signore che conceda questo dono.
Possiamo fare nostra la preghiera degli Apostoli: «Signore: “accresci in noi la fede!”» (Lc 17,5).
 
6,46 Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre - Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 6, 6 - Solo le membra della divinità vedono Dio nella sua pienezza: Gli angeli quindi lo vedono secondo il loro grado di comprensione, gli arcangeli secondo la potenza che è loro propria, i troni e le dominazioni più degli ordini precedenti ma in misura sempre inferiore a quanto richiederebbe la visione esaustiva che ha assieme al Figlio lo Spirito Santo.
Questi infatti scruta tutto e conosce le profondità di Dio (1Cor 2,10). Sicché, come disse Gesù, conoscono il Padre, adeguatamente e alla stessa maniera, il Figlio unigenito e lo Spirito Santo: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo ha rivelato (Mt 11,27; cf. Lc 10,22). Il Figlio unigenito che vede esaustivamente il Padre lo rivela a tutti secondo le capacità di ciascuno assieme allo Spirito e per mezzo dello Spirito, perché solo lui assieme allo Spirito Santo partecipa della divinità del Padre: generato senza passione prima dei secoli eterni, conosce chi lo genera come il genitore conosce il generato.
Dunque, poiché gli angeli non conoscono il Padre nella misura in cui l’unico generato lo conosce, ce lo rivelerà l’Unigenito che assieme allo Spirito Santo - come già detto - rivela Dio a ciascuno secondo le sue capacità per mezzo del medesimo Spirito: nessun uomo si potrebbe vergognare della propria ignoranza.

Il Santo del Giorno - 8 Maggio 2025 - Sant’Agazio (Acacio) Soldato e martire (m. 304): Sant’Acacio (o Agazio) morì martire intorno al 304. Centurione cappadoce dell’esercito romano di stanza in Tracia, fu accusato dal tribuno Firmo e dal Proconsole Bibiano di essere cristiano e, dopo aspre torture e tormenti, fu decapitato a Bisanzio sotto Diocleziano e Massimiano. L’imperatore Costantino il Grande costruì una chiesa-santuario in suo onore alla Karìa di Costantinopoli. Da almeno tredici secoli (dopo l’introduzione del rito bizantino nella diocesi di Squillace a seguito della soggezione della stessa al patriarcato di Costantinopoli) è Patrono della città e della diocesi di Squillace (ora arcidiocesi di Catanzaro-Squillace). (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
fa’ che, sostenuti dalla forza di questo sacramento,
impariamo a cercare sempre te sopra ogni cosa
e a portare in questa vita
l’immagine dell’uomo nuovo.
Per Cristo nostro Signore.