5 Maggio 2025
Lunedì III Settimana di Pasqua
At 6,8-15; Salmo Responsoriale dal Salmo 118 (119); Gv 6,22-29
Colletta
Dio onnipotente,
fa’ che, spogliati dell’uomo vecchio con le sue passioni ingannevoli,
viviamo come veri discepoli di Cristo,
al quale ci hai resi conformi con i sacramenti pasquali.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Rendere testimonianza alla verità - Catechismo della Chiesa Cattolica 2472 Il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità: «Tutti I cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l’esempio della vita e con la testimonianza della parola l’uomo nuovo, che hanno rivestito col Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con la Confermazione».
2473 Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. «Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo cosi mi sarà concesso di raggiungere Dio».
2474 Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto le memorie di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della verità scritti a lettere di sangue.
I Lettura: Stefano è un uomo pieno di fede e di Spirito Santo, e con parole ispirate annuncia al popolo il Vangelo della risurrezione. È un uomo pieno di grazia e di forza, e con coraggio respinge le accuse che gli vengono mosse dalla “sinagoga detta dei «liberti»” incurante della morte. È un taumaturgo, e con generosità, guarendo ogni sorta di malattie, testimonia la compassione e la misericordia di Gesù, Verbo di Dio. Stefano è innanzi tutto testimone intrepido di Gesù risorto. Contro di lui viene formulata una duplice accusa: ha peccato contro la legge di Mosè (Cf. At 21,28) e contro il tempio (Cf. Mc 14,58), perciò deve morire.
Pur di abbattere il nemico spesso si usano anche mezzi disonesti, come quello di avvalersi di falsi testimoni.
Così per Gesù, così per Stefano. Il volto di Stefano si mostra luminoso come quello di un angelo. Questo particolare ricorda il volto trasfigurato di Gesù e la luminosità del volto di Mosè, che discendendo dal monte, rifletteva lo splendore della gloria di Dio. I membri del sinedrio assistono a una trasfigurazione di Stefano, che vede la gloria di Dio (At 7,55-56).
Il sinedrio condannando Stefano alla pena capitale, inconsapevolmente, lo associa al destino di colui nel quale ha creduto e per il quale ha testimoniato. La vicenda di Stefano, protomartire, non è altro che la vicenda di Cristo che continua nella vita della Chiesa.
Vangelo
Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.
Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna - Gesù è il “pane della vita” (6,35.48), chi mangia di questo pane “non avrà più fame” (Gv 6,35). Gesù, “nella totalità della sua persona, è quel nutrimento che solo può sostenere, saziare e dare quella vita che ha il carattere della definitività” (Mario Galizzi). È quanto Gesù aveva già affermato: “Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26) e il Figlio “dà la vita a chi vuole” (Gv 5,21). Non è possibile possedere la vita in tutta la sua pienezza senza Gesù: quella transeunte perché “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,3), quella eterna perché è stato inviato dal Padre “affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Coloro che avevano mangiato e si erano saziati erano rimasti prigionieri dei loro bisogni fisici e non riuscivano a muoversi sul piano della fede: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). Una fame atavica che richiede sempre più pane per saziarsi, e che impedisce di avere occhi pieni di fede: “preferiscono il pane materiale, che Cristo è pur capace di dare, a quello «spirituale», che non è altri che lui stesso nella totalità del suo essere e del suo agire, ivi inclusa la potenza di fare miracoli [...] solo la fede può dare accesso al mistero di Cristo che, proprio in quanto Figlio di Dio fatto uomo, è «pane di vita» per gli uomini” (Settimio Cipriani).
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,22-29
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Parola del Signore.
Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): v. 26 «In verità, in verità, vi dico, (voi) mi cercate non perché avete visto dei segni ...». Gesù, più che dare una risposta a coloro che lo cercavano (vv. 24-25), li rimprovera per la loro incomprensione. Infatti, essi non avevano colto il vero significato dei «segni» da lui operati, che rappresentavano nella loro globalità la rivelazione dell’amore del Padre in favore dell’umanità. Invece di riconoscere in Gesù il mistero della Sapienza di Dio incarnata, operante nel mondo attraverso la sua azione, avevano intravisto in lui il messia terreno, che poteva risolvere i loro problemi materiali, guarendo gli infermi, procurando il cibo in modo quasi magico. Il discorso sul pane di vita è agganciato all’intermezzo precedente con il termine sapienziale cercare (zètein, vv. 24.26).
v. 27 «Operate per il cibo che non perisce ...». Gesù esorta la folla a procurarsi il cibo che dà la vita piena e imperitura, «che lui solo, in quanto Figlio dell’uomo in perfetta comunione con il mondo di Dio, può comunicare» (Fabris, p. 388). Il termine «operare» (ergàzomai) è una parola-chiave nel brano 27-30. Gesù contrappone il cibo materiale, che perisce, a quello che rimane per la vita eterna: è un altro esempio del «dualismo giovanneo». Soltanto lui, in quanto Figlio delI’ uomo, può procurare questo cibo duraturo, che rimane (ménein, verbo tecnico in Gv), poiché dà la vita eterna. Precedentemente Gesù aveva promesso alla samaritana un’acqua viva zampillante per la vita eterna (4,14); ora, in modo analogo parla di un cibo che rimane per la vita eterna.
Il cibo (pane) e l’acqua sono associati pure in Is 55,l, dove il profeta esorta gli esiliati ebrei ad avere fiducia in Dio.
«Operate»: Gesù invita all’adesione di fede nella sua rivelazione. Egli promette un cibo misterioso, che consiste, come spiegherà più avanti, nel dono della sua «carne», cioè del suo corpo immolato in croce.
Il titolo «Figlio dell’uomo» orienta verso questo senso, perché in Gv si riferisce generalmente al Verbo in quanto uomo, che sarà elevato in croce, per redimere l’umanità fragile e debole, incapace di salvarsi senza l’aiuto di Dio.
Gesù può comunicare la vita eterna, perché «Dio l’ha segnato con il suo sigillo», cioè accreditato per la sua missione salvifica. Esphràgisen (lett. sigillò) esprime un’azione istantanea e storica. L’uso dell’aoristo indicherebbe secondo qualche esegeta il momento dell’incarnazione del Verbo oppure della consacrazione messianica di Gesù al Giordano (Gv 1,32-34); meglio riferire il verbo a tutta la sua esistenza terrena, considerata ormai conclusa (cf. Fabris, p. 399).
v. 28 «Che dobbiamo fare per operare le opere di Dio?». Gesù aveva parlato in modo enigmatico e la folla l’aveva frainteso. Il malinteso esigeva una replica, che come di consueto segna un ‘ulteriore progresso nella rivelazione. Le opere di Dio è un’espressione che riflette la mentalità pragmatica dei giudei, basata sull’osservanza degli innumerevoli precetti della Legge per ottenere la salvezza.
v. 29 «L’opera di Dio è questa, che crediate in colui che egli ha mandato». La risposta di Gesù è limpida: alla molteplicità delle opere, cioè degli sforzi umani, oppone un’unica opera, cioè il compimento della volontà di Dio, che consiste «nel credere in lui come inviato di Dio» (Fabris, p. 400). Questo detto si avvicina al concetto paolino della giustificazione: «L’uomo giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge» (Rm 3,28). Benché la fede sia un dono di Dio (Gv 6,44), tuttavia presuppone l’ascolto e l’adesione alla parola del Cristo. Dio rispetta la libertà dell’uomo e, pertanto, per comunicargli il suo amore, esige l’accettazione spontanea del suo disegno salvifico, manifestato e attuato da Gesù. «Il credere, che è l’azione più personale, la decisione più radicale dell ‘uomo e coinvolge al massimo la sua libertà, è opera di Dio, che diventa, accolta dall’uomo, opera dell’uomo “in Dio e con Dio”» (Segalla, p. 234).
… su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo - Henri van den Bussche (Giovanni): Dio ha segnato Gesù col «sigillo» di Figlio dell’Uomo.
Pensiamo ai miracoli che hanno confermato che Gesù diceva la verità, al battesimo nel Giordano (1, 33-34), che ha autenticato la sua missione di Messia, all’incarnazione stessa nella quale l’umanità di Gesù è segnata col sigillo della divinità, o ancora alla filiazione divina che fa del Figlio l’immagine perfetta del Padre. Tutte queste considerazioni non si accordano col contesto che mette questo sigillo in rapporto col Figlio dell’Uomo. Il sigillo non è un’approvazione generale data alla persona di Gesù (3, 33); esso riconosce la legittimità della sua funzione di Figlio dell’Uomo e gli concede il potere e la giurisdizione. Nello stesso senso Aggeo 2, 23 (cfr. Eccli. 49, 11) dice a Zorobabele che egli diverrà il sigillo di Iahvé. Fare di qualcuno il proprio sigillo può significare: segnarlo come possesso inalienabile (Gr. 22, 24) o riconoscergli il potere annesso al sigillo (Agg. 2, 23). Nell’Antico Testamento il sigillo ha spesso un significato escatologico. I servi di Iahvé sono segnati per essere risparmiati nella catastrofe finale. Il libro che contiene i segreti del tempo escatologico è sigillato fino all’inizio di questo tempo (Dn. 12, 4-9; Ap. 5-6). Quando nel battesimo il cristiano è «segnato» dallo Spirito diventa, certo, mediante lo Spirito, possesso definitivo di Dio, ma soprattutto è destinato, messo da parte per il trionfo escatologico. Lo Spirito è il garante (2 Co. 1, 22; Ef. 1, 13) del giorno che vedrà la liberazione escatologica (Ef. 4, 30). Quando Dio mette su Gesù il suo sigillo, Gesù diventa Figlio dell’Uomo ed è investito di una funzione escatologica. Non sono le opere che segnano Gesù, perché il sigillo è precedente ad esse (il verbo è all’aoristo), è contemporaneo alla missione. Le opere di Gesù rivelano questo sigillo, questo potere escatologico. In virtù del sigillo che conferma la sua missione di Figlio dell’Uomo, Gesù può compiere le opere. Il sigillo è parallelo e ha lo stesso valore della santificazione in Gv. 10, 36, che è trasmissione di potere divino.
Questa legittimazione di Gesù come Figlio dell’Uomo è un passo verso la rivelazione del Figlio. Perché il potere concesso al Figlio dell’Uomo è tale da parte di Dio, che è precisamente il Padre di Gesù. Il procedimento giovanneo che orienta la rivelazione del Figlio dell’Uomo verso la rivelazione del Figlio qui è appena abbozzato. ma sarà ripreso con insistenza nelle sezioni seguenti.
Guglielmo di Saint-Thierry (Speculum fidei, 44): Questa è l’Opera di Dio: credere in Colui che Egli ha inviato: nelle realtà divine dobbiamo anzitutto dare un assenso di fede puro e semplice, senza nessuna riserva o esitazione; poi, per capire quello che crediamo, dobbiamo affidare allo Spirito Santo osservando ed obbedendo in tutto ai comandamenti di Dio il nostro spirito e la nostra intelligenza, non già con lo sforzo della ragione, ma con amore devoto e semplice. In tal modo, grazie alla pratica di una devozione umilissima, più che alle risorse di un’intelligenza potente, meriteremo che Gesù cominci a fidarsi di noi: sarà allora che la Grazia illuminerà la capacità di comprensione della ragione, e il consenso della fede diverrà sentimento d’amore; il quale non avrà più bisogno, per conoscere il mistero dell’intima volontà di D io, dei sacramenti esteriori. Finché siamo di quaggiù, però, la sacrosanta religione di questi sacramenti costituisce il legame fra le nostre facoltà esteriori e quelle interiori, affinché esse non si disperdano in realtà estranee all’uomo. Ecco perché la parola “religione” è derivata dal verbo “legare”.
Il Santo del Giorno - 5 Maggio 2025 - Beata Caterina Cittadini Vergine, Fondatrice: Nasce a Bergamo il 28 settembre 1801 da genitori da poco giunti in città da Villa d’Almè. A sette anni è già orfana e rimane sola con la sorellina Giuditta di cinque anni. Vengono così accolte nell’orfanotrofio del Conventino. In quell’Istituto Caterina Cittadini si diploma maestra nel 1823. Viene invitata da due cugini sacerdoti, Giovanni ed Antonio Cittadini, a trasferirsi a Calolziocorte e nello stesso anno inizia ad insegnare nella scuola elementare del vicino paese di Somasca di Vercurago, dove apre una scuola gratuita per fanciulle povere, una scuola festiva gratuita, seguita da un educandato e da un orfanotrofio. Alcune delle sue ex allieve rimangono con lei per diventare loro stesse educatrici. Da questo nucleo sorge il nuovo Istituto delle Orsoline di Somasca. A 37 anni, nel 1840, muore la sorella Giuditta, suo più valido sostegno. Caterina scrive le Costituzioni del nuovo Istituto e le presenta al vescovo di Bergamo, Luigi Speranza negli anni 1854-55. Verranno approvate sette mesi dopo la morte di madre Cittadini, il 5 maggio 1857. È beata dal 2001. (Avvenire)
Dio onnipotente,
che nella risurrezione di Cristo
ci fai nuove creature per la vita eterna,
accresci in noi i frutti del sacramento pasquale
e infondi nei nostri cuori la forza di questo nutrimento di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.