23 APRILE 2025
 
MERCOLEDÌ FRA L’OTTAVA DI PASQUA
 
At 3,1-10; Salmo Responsoriale Dal Salmo 104 (105); Lc 24,13-35
 
Colletta
O Dio, che ci dai la gioia di rivivere ogni anno
la risurrezione del Signore,
fa’ che mediante la liturgia pasquale
che celebriamo nel tempo
possiamo giungere alla gioia eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti … - Dei Verbum: La storia della salvezza nei libri del Vecchio Testamento 14. Iddio, progettando e preparando nella sollecitudine del suo grande amore la salvezza del genere umano, si scelse con singolare disegno un popolo al quale affidare le promesse. Infatti, mediante l’alleanza stretta con Abramo (cfr. Gn 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele (cfr. Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s’era acquistato come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr. Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17). L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova in qualità di vera parola di Dio nei libri del Vecchio Testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: «Quanto fu scritto, lo è stato per nostro ammaestramento, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza» (Rm 15,4).
Importanza del Vecchio Testamento per i cristiani 15. L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1Cor 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza.
Unità dei due Testamenti 16. Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano.
 
I Lettura: A motivo della sua infermità, lo storpio  viveva sotto la maledizione pronunziata da Davide che gli impediva l’ingresso al Tempio per prendere parte alle assemblee liturgiche (cfr. 2 Sam 5,8), in questa cornice disumana più che di guarigione, qui si deve parlare di risurrezione. Guarendo lo storpio, Pietro, come aveva fatto Cristo (cfr. Mt 21,14; Lc 14,21), vuole togliere tutte le barriere e formare una comunità universale aperta a tutti gli uomini.
 
Vangelo
Riconobbero Gesù nello spezzare il pane.
 
Il racconto dell’apparizione di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus si trova solo nel Vangelo di Luca. È una pagina di rara efficacia letteraria. Volendo indicare al discepolo l’unico cammino che porta alla fede, ha un intento catechetico, pedagogico e didattico di grande spessore. Il racconto tocca il suo acme quando l’evangelista si ferma a descrivere ciò che fece Gesù: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Spezzare il pane, sono le parole con cui l’evangelista Luca, indica «il pasto eucaristico in At 2,42 e 20,27. Nel sacramento eucaristico, cuore di tutto il sistema sacramentale, il cammino catechistico dei discepoli di Gesù si compie: hanno fatto esperienza di Gesù risorto “nello spezzare il pane”. Avendone fatta l’esperienza, non hanno più bisogno di vederlo» (Alfonso Sidoti).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,13-35
 
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 
Parola del Signore.
 
Si fermarono, col volto triste - I discepoli di Emmaus camminavano gemendo sotto il peso della tristezza: vivevano «fondamentalmente una crisi di speranza, provocata da un’errata concezione del Messia, concezione che fa sentire la morte di Gesù come scandalo e fallimento» (Luigi Di Pinto). Non avevano compreso la missione soprannaturale del Cristo perché non avevano interpretato in modo corretto i testi dell’Antico Testamento. Mentre discorrevano di tutto quello che era accaduto, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Non riconoscendolo, i due discepoli rispondono alla domanda del forestiero raccontando la vita del Crocifisso, la sua missione e la sua morte e la loro vana attesa: è un modo come un altro per sfogare tutta la loro amarezza. Noi speravano che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele, ma tutto era finito nella più cupa delusione, nonostante i discorsi sconvolgenti di alcune donne, discepole di Gesù; nonostante il sepolcro vuoto e l’ispezione fatta da Pietro e dal discepolo che Gesù amava. Per loro, la vita e la morte di Gesù rimanevano fasciate di mistero, irreale la sua risurrezione, oscure le sue promesse: non riuscivano a trovare la chiave di lettura degli avvenimenti accaduti intorno al Golgota e al sepolcro vuoto perché non avevano poggiato il loro capo sul cuore della Parola di Dio (Cf. Gv 13,26).
Cleopa e il suo compagno, tornavano a casa stanchi, col volto triste, sotto il peso insopportabile dello scandalo e del fallimento. Con il dissolversi della speranza, forse, avevano tagliato i ponti con la comunità e avevano deciso di tornare a casa: la frantumazione della comunione porta sempre con sé tristezza, sfiducia e solitudine.
Quando l’uomo è sull’orlo dell’abisso dello scoramento, Dio allora prende l’iniziativa: Gesù si avvicinò e camminava con loro, si fa trovare sulla strada dei discepoli smarriti per risanare i loro cuori affranti e fasciare le loro ferite (Cf. Sal 147,3).
I due discepoli camminavano e parlavano con Gesù, ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo: non lo riconoscono non perché i loro occhi non vedano, ma perché è loro impedito di vedere. Una sottolineatura tesa ad evidenziare che la fede nella risurrezione è un «dono perfetto che viene dall’alto» (Gc 1,17). Non potevano comprendere le Scritture perché non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo: lo «Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
La domanda di Gesù, Che cosa sono questi discorsi che state facendo lungo il cammino?, ha uno scopo propedeutico e critico: vuole che il discepolo innanzi tutto riveli a se stesso i pensieri segreti che lo agitano, le attese messianiche che avevano animato il suo discepolato, le disillusioni, i suoi errori nel comprendere il mistero del Cristo.
Solo confessando a se stesso l’errate valutazioni si può rendere disponibile a ricevere il dono della rivelazione.
Stolti e lenti di cuore: perché, sognando ad occhi aperti, avevano gustato infantilmente la gloria di un messia terreno e politico e assaporato la disfatta eterna degli odiati nemici che calpestavano le loro più elementari libertà, sciocche speranze umane che si erano dissolte dinanzi a una croce e a un sepolcro sigillato (Cf. Mt 27,66). Cleopa e il suo compagno non avevano compreso le Scritture perché in esse non avevano cercato Cristo, ma i loro sogni. Non avevano capito le Scritture perché non si rendevano conto che la comprensione della Parola di Dio è frutto soltanto di un impulso manifesto dello Spirito Santo e di un intervento diretto del Cristo. Senza questo impulso e intervento la comprensione, come ricerca umana, rimane molto superficiale, scivolando spesso nell’errore e nel soggettivismo.
Questa verità è supportata da una annotazione che non va trascurata: cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Luca vuol dire ai suoi lettori che è impossibile arrivare alla conoscenza della Sacra Scrittura, e del progetto salvifico, senza che Gesù ne dia l’intelligenza della comprensione. L’intelligenza della Sacra Scrittura, afferma san Bonaventura, «non nasce da uno sforzo di ricerca umana, ma dalla rivelazione divina, che ci viene dal Padre della luce» (In Breviloquium prologus).
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro: non si parla in modo esplicito della celebrazione eucaristica, ma queste parole oltre a richiamare la moltiplicazione dei pani (Lc 9,16) ricordano chiaramente l’ultima Cena (Lc 22,19).
Allo spezzare del pane, finalmente lo riconoscono: un’esperienza che «mette a fuoco il cuore dei discepoli, i quali si rendono consapevoli che il fatto della Risurrezione di Gesù li vuole ormai non più dubbiosi spettatori ma testimoni coraggiosi» (Carlo Ghidelli).
Sedotti dall’Amore (Cf. Ger 20,7), i due discepoli ritornano sui loro passi. Incontrandosi con gli Undici, ora, hanno la certezza di non aver incontrato un fantasma e sopra tutto perché la loro esperienza è confermata dalla testimonianza di Pietro (Cf. Lc 22,32): «la fede cristiana non va segregata nell’intimità privata, ma deve essere confrontata sempre con la struttura portante della Chiesa [gli Undici riuniti] sicché possa diventare patrimonio fruibile di tutti» (Alfonso Sidoti).
 
Apparizioni di Cristo: iniziativa, riconoscimento, missione - Xavier Léon-Dufour: Sono i tre aspetti comuni a tutti i racconti, che permettono di penetrare concretamente nell’intendimento degli autori.
a) Mostrando che Gesù interviene personalmente presso o in mezzo a gente che non se l’aspetta, gli evangelisti (salvo Lc 24,34) vogliono dimostrare che non si tratta di un’invenzione soggettiva degli interessati, originata da una fede esasperata o da una fantasia sbrigliata. Questo tema dell’iniziativa del risorto (che a suo modo esprime il verbo ofthe, «si è fatto vedere», nella lista di 1Cor 15) sta a significare che i racconti di apparizioni descrivono esperienze realmente vissute dai discepoli. Questo aspetto dei racconti corrisponde ai modi di vedere della predicazione primitiva: Dio è intervenuto per risuscitare Gesù, gli ha concesso di mostrarsi vivo dopo la morte. La fede è una conseguenza di questo incontro.
b) Seconda caratteristica, il riconoscimento. I discepoli scoprono l’identità dell’essere che si impone loro; è quel Gesù di Nazareth di cui hanno conosciuto la vita e la morte. Lui che era morto è vivo. In lui, si compie la profezia. In un certo qual modo, non hanno più nulla da «vedere», in futuro, perché è stato loro dato tutto nel risorto. Il modo in cui avviene questo riconoscimento è progressivo: nell’uomo che viene verso di loro, i discepoli vedono in un primo tempo un personaggio comune, un viaggiatore (Lc 24,15s; Gv 21,4s), un giardiniere (Gv 20,15); poi riconoscono il Signore. Questo riconoscimento è libero, perché secondo il tema dell’incredulità, che fa parte del complesso della tradizione (Mt 28,17; Mc 16,11.13s; Lc 24,37.41; Gv 20,25-29), essi avrebbero potuto rifiutarsi di credere. Infine, poiché il Signore in genere appare ad un gruppo di persone, ne viene facilitata la verifica. Per elaborare dal punto di vista letterario questo dato fondamentale, i narratori hanno voluto mettere in evidenza contemporaneamente due aspetti. Il risorto è sottratto alle normali condizioni della vita terrena come Dio nelle teofanie del VT (Gen 18,2; Num 12,5; Gios 5,13; 1 Cron 21,15s; Zac 2,7; 3,5; Dan 8,15; 12,5...) appare e scompare a suo piacere. D’altra parte, non è un fantasma; di qui l’insistenza sui contatti sensibili. Questi due aspetti devono essere presi in considerazione simultaneamente se non si vuole incorrere in errore. Il corpo del risorto è vero corpo, ma, per dirlo con S. Paolo in una formula apparentemente paradossale, è un «corpo spirituale» (1Cor 15,44-49), perché è un corpo trasformato dallo Spirito (cfr. Rom 1,4).
c) Un terzo aspetto, di ordine uditivo, caratterizza il racconto. Riconoscendo il Signore, i discepoli anticipano la visione che sarà prerogativa del cielo; con l’ascolto della parola, sono riportati alla condizione terrena. Odono così la promessa di una presenza eterna (Mt 28,20) e l’invito a continuare l’opera di Gesù in una missione propriamente detta (Mt 28,19; Mc 16,15-18; Lc 24,48s; Gv 20,22s; cfr. Mt 28,10; Gv 20,17). La presenza di Gesù non è statica, ma missionaria. Questi tre aspetti devono rimanere in rapporto dinamico. Il presente è senza posa rinnovato dall’iniziativa del risorto; il discepolo è invitato ad assumere il passato nella persona di Gesù di Nazareth, che lo incita allora a costruire l’avvenire che è la Chiesa.
 
Guerric d’Igny (Sermones IV per la dom. delle Palme): ... sentivamo il cuore arderci in petto ... : è dunque ben più utile concepire Gesù nel cuore che vederlo con gli occhi o intenderlo parlare, e l’opera dello Spirito Santo è ben più potente nei sensi dell’uomo interiore che l’impressione degli oggetti corporei su quelli dell’uomo esteriore. Che posto rimane, in effetti, al dubbio, quando colui che testimonia e chi riceve la testimonianza non sono che un solo spirito? E se sono un solo spirito sono anche un solo sentimento e un solo consenso.
 
Il Santo del Giorno - 23 Aprile 2025 - Sant’ Adalberto di Praga Vescovo e martire (Libice, attuale Repubblica Ceca, ca. 956 - Tenkitten, Prussia, 23 aprile 997): Boemo di origine, aveva un nome slavo: Voytèch. Poi, studente a Magdeburgo, è stato cresimato dall’arcivescovo locale Adalberto, sicché ha deciso di chiamarsi come lui. A 27 anni è già arcivescovo di Praga. È il secondo pastore della città. Ma in questa terra ancora pagana Adalberto vede fallire il suo sforzo di evangelizzazione, e nel 988 abbandona Praga per Roma, dove si fa benedettino. Ma papa Giovanni XV lo rimanda a Praga. Ma è ancora un fallimento. Nel 994 torna al suo monastero sull’Aventino. Qui viene a trovarlo Ottone III. Ma per Adalberto giunge anche una notizia terribile: in Boemia c’è stato un massacro di suoi congiunti. In più papa Gregorio V lo rimanda a Praga, dove però per volere del duca di Boemia non può entrare in città. Si dirige così al nord, missionario tra i prussiani. Il re di Polonia, Boleslao il Valoroso, lo aiuta con una scorta a penetrare in Prussia, fino a Danzica. Di là egli prosegue inerme con pochi monaci, ma il suo lavoro missionario dura appena pochi giorni: nella primavera del 997 Adalberto e i suoi compagni vengono trucidati presso la costa baltica. (Avvenire)
 
O Dio, nostro Padre, questa partecipazione
al mistero pasquale del tuo Figlio
ci liberi dai fermenti dell’antico peccato
e ci trasformi in nuove creature.
Per Cristo nostro Signore.