2 Aprile 2025
Mercoledì IV Settimana Quaresima
Is 49,8-15; Salmo Responsoriale dal Salmo 144 [145]; Gv 5,17-30
Colletta
O Dio, che doni la ricompensa ai giusti
e non rifiuti il perdono
ai peccatori purificati dalla penitenza,
abbi misericordia di noi,
perché l’umile confessione delle nostre colpe
ci ottenga la remissione dei peccati.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
... quanti fecero il male per una risurrezione di condanna: Catechismo degli Adulti 1219: La pena dell’inferno è per sempre: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,4146). «Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,48). «Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia» (Ap 14,11). L’eternità dell’inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l’insegnamento costante della Chiesa.
1220 In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco, fornace ardente, stagno di fuoco, tenebre, verme che non muore, pianto e stridore di denti, morte seconda. La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell’essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere.
1221 Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato «giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20,10) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata.
1222 Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!» (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2Ts 1,9). L’esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l’amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati». L’inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l’egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno.
Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l’opposizione ad esso.
L’amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e (Cf. Dt 4,24Is 10,17) consuma; lo sguardo di Cristo brucia come fiamma. Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente.
I Lettura: Israele geme sotto il pesante giogo babilonese, è in esilio e Dio, per bocca del profeta Isaia, manda agli sventurati una parola di consolazione: Dio non si è dimenticato del suo popolo, presto si aprirà la via della liberazione e del ritorno alla città santa. Dio protegge il suo popolo, gli donerà la pace, e il suo amore eterno supera l’amore materno: anche se una mamma si dimenticasse del figlio delle sue viscere, Io, dice il Signore Dio, non ti dimenticherò mai.
Vangelo
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole.
Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco: il pensiero giudaico “stentava a conciliare il riposo di Dio dopo la creazione, riposo di cui il sabato è l’immagine [Gen 2,2s], con la sua continua attività nel governo del mondo. Si distingueva l’attività di creatore, che è terminata, e l’attività di giudice, che non cessa mai. Gesù identifica la sua attività con quella del giudice sovrano. Da ciò l’indignazione dei giudei e il discorso con cui Gesù giustifica la sua pretesa.” (Bibbia di Gerusalemme). Il brano giovanneo può essere diviso in due parti: nella prima parte Gesù rivela di avere ottenuto dal Padre il potere di dare la vita, nella seconda parte viene messo in evidenza il potere giudiziale del Figlio. Gesù sarà il giudice supremo nell’ultimo giorno. Questo giudizio “rivelerà l’esito del processo [cfr. Gv 3,11] inaugurato dalla venuta del Figlio [Gv 5,25; 12,31]. Gli uomini saranno giudicati secondo la fede accordata o rifiutata a Gesù [Gv 3,18-21; 16,8-11), salvatore di quanti non lo respingono [Gv 3,18; 8,15; 12,47).” (Bibbia di Gerusalemme).
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 5,17-30
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato».
Parola del Signore.
Da me, io non posso fare nulla - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù conclude questa prima parte del suo discorso risottolineando la convergenza, la concomitanza, la perfetta sintonia del suo agire con quello del Padre: «Io non faccio nulla da me stesso». E poi, riprendendo l’idea di giudizio, con solennità afferma: «II mio giudizio è giusto», lo è per due motivi: 1° perché egli giudica secondo quello che ascolta, si intende dal Padre; 2° perché egli cerca di fare la volontà di chi lo ha mandato.
Sono espressioni che indicano sempre un’indicibile autorità. Sembra di sentire l’eco delle parole che Gesù pronuncerà di fronte al Sinedrio: «Vedrete il Figlio dell’uomo, seduto accanto a Dio onnipotente, venire sulle nubi del cielo» (Mc 14,62). Come avverrà nel Sinedrio, anche qui i suoi ostili uditori potrebbero pronunciare, ancora una volta (vedi 5,18), la loro sentenza di morte. Da quanto segue, invece, ricaviamo che l’accusa non esplicitata degli uditori suonerebbe come in 8,13: «Tu dai testimonianza di te stesso. La tua testimonianza non è valida». Ma non è così, perché a Gesù non mancano testimoni di alta qualità.
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli) - versetti 25-30. Con questi versetti si chiude la prima parte del discorso del Signore, che si dispiega da Gv 5,19 a Gv 5,47 e il cui nucleo essenziale è costituito dalla rivelazione del suo rapporto con il Padre. Per comprendere le affermazioni fatte qui dal Signore occorre tener presente che Gesù, in quanto è un’unica Persona (divina), un solo soggetto di operazioni, un singolo Io, esprime in parole umane non solamente i sentimenti che egli ha come uomo, ma anche la realtà più profonda del suo essere: è il figlio di Dio, sia nell’eterna sua generazione dal Padre. sia nella nascita temporale, una volta assunta la natura umana. Ecco perché Cristo Gesù possiede una coscienza così viva e profonda - per noi inimmaginabile - della propria filiazione, che lo induce a trattare il Padre con una intimità affatto singolare, con amore e, insieme, con venerazione. Al tempo stesso, è consapevole della sua uguaglianza con il Padre: affermando, quindi, che il Padre gli ha concesso la vita (v. 26) e gli ha dato il potere (v. 27), Cristo dichiara di aver ricevuto non una parte, ma la totalità della medesima vita del Padre - “in se stesso” - e del medesimo suo potere, senza che il Padre ne resti privo.
«Guarda come rivela la propria uguaglianza e come l’unica differenza è data dal fatto che l’uno è il Padre e l’altro il Figlio. Le parole “ha concesso”, “ha dato” evidenziano infatti questa sola diversità e dimostrano che in tutto il resto sono uguali. Ne segue che Cristo fa ogni cosa con la stessa autorità e con lo stesso potere del Padre, attingendo solo da sé la propria forza. Egli infatti possiede la medesima vita del Padre» (San Giovanni Crisostomo, Omelia sul Vangelo di san Giovanni, 39,3).
Leggendo questi passi evangelici, siamo stupiti di come Cristo, nella limitatezza del linguaggio umano, sia riuscito a esprimere i sentimenti del suo unico Io: la seconda Persona della Santissima Trinità, che ha assunto nel tempo (e a partire da quel momento, per sempre) la natura umana. È un mistero che il cristiano è tenuto a contemplare, anche se non gli è possibile intenderlo; può solo sentirsi inondato da una luce così potente da superare la propria capacità di comprensione, ma tale tuttavia da colmarne l’anima di fede e di desideri d’adorazione.
Sabato - Il settimo giorno della settimana, giorno di riposo per gli uomini e per le bestie. Forse il termine sabato è in relazione con l’ebraico sheba’ (= sette). Fino ad ora non si conosce nell’ambiente extraisraelitico un ciclo settenario.
Il sabato veniva giustificato con la necessità del riposo per l’uomo e per g1i animali (Es 23,12), in seguito con il ricordo ed il ringraziamento per l’esodo dall’Egitto (Dt 5,12-15) e con il riposo di Iahvé dopo la creazione.
La sua osservanza era un segno del patto (Es 31,16s). Esso era un giorno di gioia (Os 2,11) e di culto (Nm 28,9s).
Si badava rigorosamente a che il sabato fosse celebrato come giorno di riposo. Erano proibiti p. es.: gli affari (Is 58,13), l’accensione del fuoco (Es 35,3), la raccolta della legna (Nrn 15,32-36), infornare e cucinare (cfr. Es 16,23), uscire (Es 16,29), arare e raccogliere (Es 34,21). Dopo lìesilio alcuni ritenevano come illecita perfino la difesa nel combattimento (1Mc 2,32-38). Nel tardo giudaismo si formò una casistica (p. es.: è lecito di sabato salvare un animale domestico infortunato?) che era diventata un peso molto fastidioso (cfr. Lc 11,46) per chi non conosceva le speciali facilitazioni consentite.
Gesù si volse con la parola e con il suo comportamento contro la schiavitù imposta dalla lettera della legge: anche di sabato l’uomo deve fare il bene (cfr. Mc 3,2-6; Lc 13,10-17). Il sabato è per l’uomo e non viceversa (Mc 2,17). Nella comunità primitiva il sabato era ancora osservato insieme ad altre prescrizioni dell’Antico Testamento (cfr. Mt 24,20); ci si liberò lentamente dalla legge giudaica (cfr. Col 2,16s). È stata una cosa sbagliata trasferire in seguito in modo acritico parte delle norme veterotestamentarie del sabato alla domenica: queste sono superate nel cristianesimo. La domenica (Giorno del Signore) non è un sabato, ma ha un altro contenuto.
Ugo di S. Caro (Postillae super ev. Jo., V): Questo è contro i presuntuosi che vogliono fare tutto da se stessi, cioè di testa propria e secondo il proprio proposito ... Egli invece dice: Non cerco di fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha inviato, e questo è contro coloro che non obbediscono alle Leggi divine e seguono solo la propria volontà. Dice infatti Bernardo che solo la propria volontà ardeali ‘Inferno: toglila e non vi è già più Inferno.
Il Santo del giorno - 2 Aprile 2025 - Sant’Abbondio, Vescovo: A lui si ispirò certamente il Manzoni nel dare il nome al suo celebre personaggio sul «ramo del lago di Como». Di Abbondio si sa che fu vescovo dal 440, mentre non si conoscono con certezza data di nascita e morte. Come ignoto è il luogo di origine. Conosceva bene il greco e, perciò, prima di dedicarsi a tempo pieno al servizio episcopale (e all’attività missionaria nelle zone montuose vicino Lugano ancora scristianizzate), fu mandato dal Papa Leone I Magno a Costantinopoli per dirimere, con successo, la questione dottrinale sulle due nature di Cristo suscitata da Nestorio ed Eutiche. I resti del patrono sono nella basilica di Como. (Avvenire)
O Signore, fa’ che non diventino per noi motivo di condanna
i doni del cielo ricevuti come medicina di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.