17 Aprile 2025
 
Giovedì Santo - Cena del Signore
 
 Es 12,1-8.11-14; Sal 115 (116); 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
 
Il giorno del Giovedì Santo - Antonio Borrelli: è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da usare per tutto l’anno per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, morte e Resurrezione.
Nel tardo pomeriggio c’è la celebrazione della Messa in “Cena Domini”, cioè la ‘Cena del Signore’.
Non è una cena qualsiasi, “è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli, importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti; tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli ‘Azzimi’, chiamata Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace.
La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile). In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la ‘cena pasquale’) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, azymos), da cui il termine ‘Azzimi’.
Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro parlò molto, con parole che erano di commiato, di profezia, di direttiva, di promessa, di consacrazione. Il Vangelo di Giovanni, il più giovane degli Apostoli, racconta che avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il seme del tradimento, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.
Si ricorda che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.
Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”.
Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.
 
Colletta
O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena
nella quale il tuo unico Figlio,
prima di consegnarsi alla morte,
affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,
convito nuziale del suo amore,
fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero
attingiamo pienezza di carità e di vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - L’istituzione dell’Eucaristia - 1337 Il Signore, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Sapendo che era giunta la sua Ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cenavano, lavò loro i piedi e diede loro il comandamento dell’amore. Per lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e renderli partecipi della sua pasqua, istituì l’Eucaristia come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi Apostoli di celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli « in quel momento sacerdoti della Nuova Alleanza ».
1338 I tre Vangeli sinottici e san Paolo ci hanno trasmesso il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia; da parte sua, san Giovanni riferisce le parole di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, parole che preparano l’istituzione dell’Eucaristia: Cristo si definisce come il pane di vita, disceso dal cielo. 
1340 Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla Pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la Pasqua ebraica e anticipa la Pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.
«Fate questo in memoria di me».
1341 Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole « finché egli venga » (1Cor 11,26), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e della sua intercessione presso il Padre.
 
I Lettura: La Pasqua è festa dell’uomo perché Dio rinnova la sua alleanza, e manifesta il suo grande amore per il mondo intero, è gioia perché l’uomo passa dalla morte alla vita. La pasqua è festa del Signore, è rito perenne che colma di incommensurabile gioia il cuore del popolo amato da Dio.
 
II Lettura: L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto evoca gli istanti dell’ultima cena. Gesù, nella notte in cui veniva tradito, sul pane pronuncia mirabili parole: Questo è il mio corpo. Sul calice Gesù pronuncia parole ancora più sconvolgenti: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. La profezia di Geremia (cfr. 31,31-34) sulla nuova alleanza si compie pienamente con la Pasqua del Cristo
 
Vangelo
Li amò sino alla fine.
 
Questo intenso brano giovanneo mette in evidenza tre luminosi messaggi: innanzi tutto, Gesù dona la sua vita perché ama l’umanità, infatti, per la prima volta, l’evangelista Giovanni mette esplicitamente la vita e la morte di Gesù sotto il segno del suo amore per gli uomini; poi, la passione e la morte di Gesù in croce è un dramma in cui si trova impegnato il mondo invisibile: dietro gli uomini agisce la potenza diabolica, infine, il precetto dell’amore: dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri, cioè rendendoci i servizi di un’umile carità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13,1-15
 
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
 
Parola del Signore.

Il Maestro, modello da imitare - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Nel brano della lavanda dei piedi Gesù ci è presentato come il Maestro perfetto, perché insegna prima con l’esempio e poi con la parola. Il Cristo infatti, dopo aver prestato ai discepoli quest’umile servizio di amore (Gv 13,4ss), richiama alla loro attenzione la sua dignità di Maestro e di Signore, per invitarli con maggiore efficacia a imitare il suo esempio (Gv 13,13ss). Luca nel prologo degli Atti afferma che nel suo vangelo ha narrato quanto Gesù ha fatto e insegnato fino al giorno della sua ascensione gloriosa (At 1,15), perciò presenta il Signore come modello al quale ispirarsi. Paolo in diversi passi delle sue lettere esorta i suoi fedeli ad imitare il Cristo: essi debbono nutrire gli stessi sentimenti del Signore Gesù (Fil 2,5), facendosi imitatori di Dio, soprattutto nell’esercizio della carità (Ef 5,1s). In modo particolare gli sposi cristiani devono donarsi e amarsi profondamente, come il Cristo ha amato la chiesa, sacrificando la sua vita per essa (Ef 5,25ss). Nel quarto vangelo Gesù comanda ai discepoli di amarsi come egli li ha amati (Gv 13,34; 15,12), inoltre presenta la sua perfetta unione con il Padre come modello di unità per tutti i membri della chiesa (Gv 17,11.21s). Quindi il Cristo è l’esemplare perfetto del discepolo. Per Giovanni, Gesù non è solo il Maestro in quanto rivela l’amore e la vita di Dio, comunicandoli al mondo, ma anche perché insegna con l’esempio e la parola come ci si deve comportare.
 
Il pasto del Signore, memoriale e promessa - Pierre Benoit: L’ultima cena è come l’ultima preparazione di quel banchetto messianico dove Gesù ritroverà i suoi dopo la prova imminente. La «Pasqua compiuta» (Lc 22, 15 s) ed il «vino nuovo» (Mc 14, 25 par.), che egli gusterà con essi nel regno di Dio, li prepara in quest’ultimo pasto, facendo sì che pane e vino significhino la realtà nuova del suo corpo e del suo sangue. Il rito della cena pasquale gliene offre l’occasione appropriata e ricercata. Le parole che il padre di famiglia vi pronunziava sui diversi alimenti, ed in modo particolarissimo sul pane e sul terzo calice, conferivano loro una tale forza di evocazione del passato e di speranza del futuro, che, ricevendoli, i commensali rivivevano realmente le prove dell’esodo e vivevano in anticipo le promesse messianiche. Gesù si serve a sua volta di questo potere creativo che lo spirito semitico riconosceva alla parola, e lo accresce ancora con la sua sovrana autorità. Dando al pane e al vino il loro senso nuovo, egli non li spiega, ma li trasforma. Non interpreta, ma decide e decreta: questo è il mio corpo, cioè lo sarà d’ora innanzi. La copula «essere» - che indubbiamente mancava nell’originale aramaico - da sola non basterebbe a giustificare questo realismo, perché potrebbe anche esprimere soltanto un significato metaforico: «la messe è la fine del mondo; i mietitori sono gli angeli» (Mt 13, 39). È la situazione ad esigere qui un senso stretto. Gesù non propone una parabola, in cui oggetti concreti aiuterebbero a far comprendere una realtà astratta; presiede un pasto, in cui le benedizioni rituali conferiscono agli alimenti un valore di altro ordine. E, nel caso di Gesù, questo valore è di un’ampiezza e di un realismo inauditi, che gli vengono dalla realtà implicata: la morte redentrice che, attraverso ad una risurrezione, sfocia nella vita escatologica.
 
M. Eckhart (Exp . ev. Jo., XIII): Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, infatti lo sono: i discepoli sono lodati perché hanno creduto alla dottrina di Cristo ed hanno osservato i suoi comandamenti, e così hanno detto bene chiamandolo Maestro e Signore, giacché Egli lo fu davvero ... Ma potremmo spiegare queste parole anche in altro modo ... : Io sono Colui che è (Es. 3,14), cioè Io sono l’essere stesso, dal quale deriva ogni essere, ogni modo dell’essere; sia all’interno, nell’anima, e così Maestro; sia all’esterno nelle cose, e così Signore. Perciò Matteo (23,8-9) afferma: Uno solo è il vostro Maestro, Uno solo è il Padre vostro, quello che è nei Cieli, dove è chiamato “Padre” quel che qui è chiamato .. Signore.
 
Il Santo del Giorno -  Santo del giorno - 17 Aprile 2025 - Beata Chiara Gambacorti, Religiosa: Originaria del potente casato mercantile dei Gambacorti o Gambacorta, che nel Trecento sono diventati per due volte signori in Pisa; nasce nel 1362 forse a Firenze. È conosciuta con il nome di Tora. Già da bambina viene inclusa nei progetti politici e finanziari del padre, che nel 1374 la dà in sposa a un giovane di famiglia importante, Simone Massa. Ma resta vedova tre anni dopo. Dopo aver incontrato a Pisa nel 1375 Caterina da Siena decide di ritirarsi presso le monache Clarisse. Ma non diventerà una di loro, ostacolata dalla famiglia. Entrerà più tardi nel monastero domenicano di Santa Croce, dove prenderà il nome di suor Chiara. Sarà poi madre abbadessa, e farà della sua comunità domenicana un centro di diffusione del movimento riformatore nell’Ordine. I beni dei Gambacorti le servono per farne anche un centro di accoglienza per ogni sorta di poveri. Un giorno battono alla sua porta la moglie e le figlie dell’uomo che ha ucciso suo padre e i suoi fratelli. Troveranno piena accoglienza. Morirà, acclamata santa, nel 1420. Nel 1830, Pio VIII ne ha confermato il culto come beata. (Avvenire) 
 
Padre onnipotente,
che nella vita terrena
ci nutri alla Cena del tuo Figlio,
accoglici come tuoi commensali
al banchetto glorioso del cielo.
Per Cristo nostro Signore.