11 Marzo 2025
 
Martedì della I Settimana di Quaresima
 
Is 55,10-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 33 (34); Mt 6,7-15
 
Colletta
Volgi il tuo sguardo, o Signore,
a questa tua famiglia,
e fa’ che, superando con la penitenza
ogni forma di egoismo,
risplenda ai tuoi occhi per il desiderio di te.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Preghiera del «Padre nostro» come preghiera del Signore - Catechismo della Chiesa Cattolica 2765 L’espressione tradizionale «Orazione domenicale» (cioè «Preghiera del Signore») significa che la preghiera al Padre nostro ci è insegnata e donata dal Signore Gesù. Questa preghiera che ci viene da Gesù è veramente unica: è «del Signore». Da una parte, infatti, con le parole di questa preghiera, il Figlio unigenito ci dà le parole che il Padre ha dato a lui: è il maestro della nostra preghiera. Dall’altra, Verbo incarnato, egli conosce nel suo cuore di uomo i bisogni dei suoi fratelli e delle sue sorelle in umanità, e ce li manifesta: è il modello della nostra preghiera.  
2766 Ma Gesù non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre. Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale: ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi «spirito e vita» (Gv 6,63). Di più: la prova e la possibilità della nostra preghiera filiale è che il Padre «ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6). Poiché la nostra preghiera interpreta i nostri desideri presso Dio, è ancora «colui che scruta i cuori», il Padre, che «sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i desideri di Dio» (Rm 8,27). La preghiera al Padre nostro si inserisce nella missione misteriosa del Figlio e dello Spirito.  
 
I Lettura: Il popolo d’Israele è in esilio, e nel cuore degli Israeliti erano entrati funesti dubbi sulla potenza di Dio. A un popolo ormai sull’orlo di una crisi di fede, il profeta Isaia ricorda la forza della parola di Dio salvatore e creatore: Egli è signore della storia e anche della natura. Il capitolo 55 è tutto un invito di Dio al popolo eletto perché abbia fiducia nel Signore, continui ad avere fiducia in Dio, e si converta a lui, riprendendo coscienza dell’alleanza di Dio con lui e di lui con Dio.  
 
Vangelo
Voi dunque pregate così.
 
Il Padre  nostro è “la preghiera cristiana fondamentale. San Luca ne dà un testo breve [di cinque richieste], san Matteo una versione più ampia [di sette richieste]. La tradizione liturgica della Chiesa ha sempre usato il testo di san Matteo” (CCC 2759). Il numero sette è caro all’evangelista Matteo: “tre volte 7+7 generazioni nella genealogia [Mt 1,17]; sette beatitudini [Mt 5,3+, Mt 5,5]; sette parabole [Mt 13,3+]; perdonare non sette volte, ma settanta volte sette [Mt 18,22]; sette maledizioni dei farisei [Mt 23,13+]; sette parti del Vangelo. Forse per ottenere questo numero sette Matteo ha aggiunto al testo-base [Lc 11,2-4] la terza [cfr. Mt 7,21, Mt 21,31, Mt 26,42] e la settima domanda (cfr. il «maligno»: Mt 13,19, Mt 13,38)” (Bibbia di Gerusalemme). Questo non significa che la preghiera del Padre nostro sia uscita dalla penna di Matteo, perché la preghiera del Padre nostro “ci è insegnata e donata dal Signore Gesù. Questa preghiera che ci viene da Gesù è veramente unica: è “del Signore” (Catechismo della Chiesa Cattolica 2765).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mc 6,7-15
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
 
Parola del Signore.
 
PADRE: è la prima parola che dal cuore affiora sulle labbra. Parola consolante e sconvolgente che ci consente di entrare subito in una straordinaria relazione: quella stessa di Gesù venuto a svelarci il disegno che Dio ha nella storia umana, di invitarci alla comunione con Sé [cfr. Dei Verbum 2] e, con tutti coloro che accolgono l’invito, formare un solo popolo. È uno slancio iniziale, una “confessione di fede”, anzi una vera benedizione di cui non saremmo capaci se lo Spirito non venisse incontro alla nostra debolezza. Proprio perché animati e guidati da lui, di cui ci è stato fatto dono nel battesimo, noi possiamo chiamarlo “Abbà”, cioè con particolare tenerezza e confidenza “papà” ovvero “babbo caro”. Proprio come lo chiamava Gesù, anche nei momenti più drammatici, come quello vissuto nel giardino degli ulivi [cfr. Mt 26,39]. Dicendogli “Padre” noi affermiamo anzitutto che siamo venuti da Lui, che siamo stati voluti, pensati, amati; che «in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» [Atti 17,28]. Ma questa parola acquista per i cristiani spessore più forte «perché egli ci ha fatti rinascere alla sua vita adottandoci come suoi figli nel suo Figlio unigenito: per mezzo del Battesimo, ci incorpora al Corpo del suo Cristo e, per mezzo dell’unzione dello Spirito che scende dal Capo nelle membra, fa di noi dei “cristi”» [Catechismo Chiesa cattolica n.2782]. Questa è la novità! È vero che il popolo d’Israele riconosce Dio come “Padre” [cfr. Isaia 63,16b], ma non lo invoca come tale. Solo Gesù può farlo e in lui anche noi divenuti figli nel battesimo. Pregare il “Padre nostro” deve dunque sviluppare in noi due disposizioni fondamentali, frutto dello stupore adorante che suscita in noi la consapevolezza di essere figli: il desiderio e la volontà di somigliargli e quindi di corrispondere al dono. Lo afferma - tra l’altro - S. Cipriano: «Bisogna che, quando chiamiamo Dio Padre nostro, ci ricordiamo del dovere di comportarci come figli». Questo ci è dato in Gesù che ce lo ha consegnato con il suo insegnamento ed esempio’ (S. E. Mons. Luca Brandolini, Lectio Biblica della Quaresima 2012).
 
Venga il tuo Regno: Pastores dabo vobis 27: «Vieni Signore Gesù» (Ap 22,20). Questa attesa è tutt’altro che inerte: pur rivolgendosi al Regno futuro, essa si traduce in lavoro e missione, perché il Regno si renda già presente ora attraverso l’instaurazione dello spirito delle Beatitudini, capace di suscitare anche nella società umana istanze efficaci di giustizia, di pace, di solidarietà e di perdono. Questo è dimostrato ampiamente dalla storia della vita consacrata, che sempre ha prodotto frutti abbondanti anche per il mondo. Con i loro carismi le persone consacrate diventano un segno dello Spirito in ordine ad un futuro nuovo, illuminato dalla fede e dalla speranza cristiana. La tensione escatologica si converte in missione, affinché il Regno si affermi in modo crescente qui ed ora. Alla supplica: «Vieni, Signore Gesù!», si unisce l’altra invocazione: «Venga il tuo Regno» (Mt 6,10). Chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro. La sua è una speranza fondata sulla promessa di Dio contenuta nella Parola rivelata: la storia degli uomini cammina verso il nuovo cielo e la nuova terra (cfr. Ap 21,1), in cui il Signore «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4). La vita consacrata è al servizio di questa definitiva irradiazione della gloria divina, quando ogni carne vedrà la salvezza di Dio (cfr. Lc 3,6; Is 40,5). L’Oriente cristiano sottolinea questa dimensione quando considera i monaci come angeli di Dio sulla terra, che annunciano il rinnovamento del mondo in Cristo. In Occidente il monachesimo è celebrazione di memoria e vigilia: memoria delle meraviglie operate da Dio, vigilia del compimento ultimo della speranza. Il messaggio del monachesimo e della vita contemplativa ripete incessantemente che il primato di Dio è per l’esistenza umana pienezza di significato e di gioia, perché l’uomo è fatto per Dio ed è inquieto finché in Lui non trova pace.
 
Sia fatta la tua volontà - Edmond Jacquemin e Xavier Léon-Dufour: Dopo che in Gesù la volontà di Dio si è realizzata sulla terra come in cielo, il cristiano può essere sicuro di essere esaudito nella sua orazione domenicale (Mt 6,10). Deve quindi, da discepolo autentico, riconoscere e praticare questa volontà.
1. Discernere la volontà di Dio. - Il discernimento e la pratica della volontà divina si condizionano a vicenda: bisogna compiere la volontà di Dio per apprezzare la dottrina di Gesù (Gv 7,17), ma d’altra parte bisogna riconoscere in Gesù e nei suoi comandamenti i comandamenti stessi di Dio (14,23s). Ciò rientra nel mistero dell’incontro delle due volontà, quella dell’uomo peccatore e quella di Dio: per andare a Gesù, bisogna essere «attratti» dal Padre (6,44), attrazione che, secondo la parola greca, è ad un tempo costrizione e dilettazione (giustificando l’espressione di S. Agostino: «Dio che mi è più intimo di me stesso»). Per discernere la volontà di Dio non basta conoscere la lettera della legge (Rom 2,18), ma occorre aderire ad una persona, e ciò può avvenire solo per mezzo dello Spirito Santo che Gesù dona (Gv 14,26). Allora il giudizio rinnovato permette di «discernere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli piace, ciò che è perfetto» (Rom 12,2). Questo discernimento non riguarda soltanto la vita quotidiana; perviene alla «piena conoscenza della sua volontà, sapienza ed intelligenza spirituale» (Col 1,9): questa è la condizione di una vita che piaccia al Signore (1,10; cfr. Ef 5,17). Anche la preghiera non può più essere che una preghiera «secondo la sua volontà» (1Gv 5,14), e la formula classica «se Dio lo vuole» assume una risonanza totalmente diversa (Atti 18,21; 1Cor 4,19; Giac 4,15), perché suppone un riferimento costante al «mistero della volontà di Dio» (Ef 1,3-14).
2. Praticare la volontà di Dio. - A che pro conoscere ciò che il padrone vuole, se non lo si mette in pratica (Lc 12,47; Mt 7,21; 21,31)? Questa «pratica» costituisce propriamente la vita cristiana (Ebr 13,21), in opposizione alla vita secondo le passioni umane (1Piet 4,2; Ef 6,6). Più precisamente, la volontà di Dio a nostro riguardo è santità 1Tess 4,3), ringraziamento (5,18); pazienza (1Piet 3,17) e buona condotta (2,15). Questa pratica è passibile, perché «è Dio che suscita in noi e il volere e l’operare per l’esecuzione del suo beneplacito» (Fil 2,13).
Allora c’è comunione delle volontà, accordo della grazia e della libertà.
 
Liberaci dal male - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): In altre parole: Liberaci (dagli artigli) del Male. L’iniziale maiuscola è d’obbligo; infatti il contesto di Matteo invita a comprendere, al maschile, una designazione del diavolo, il «Maligno» (Mt 5,37), il responsabile della tentazione. Insistere qui sull’esistenza personale di un diavolo, rivale di Dio, andrebbe oltre il senso: Gesù si limita a riprendere le concezioni religiose della sua epoca. Ciò nonostante, con questo ripiego, la domanda finale ricorda che il Male non consiste solo nei peccati commessi deliberatamente. Sia che si parli del «principe di questo mondo» (Gv 12,31) o anche del «Dio di questo secolo» (2Cor 4,4), il Nuovo Testamento rimette il credente di fronte al gioco misterioso di forze contrarie al piano di Dio. Abbandonato a se stesso, il discepolo non è in grado di resistere in questo confronto: gli rimane allora la fiduciosa preghiera affinché il Padre lo liberi dal Male.
 
Padre nostro: «Padre: Su questa invocazione facciamo due riflessioni: in che senso Egli è Padre e quali siano i nostri doveri verso di Lui in quanto Padre. Viene detto nostro Padre innanzitutto in ragione del modo speciale con cui ci ha creati, perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza [cfr. Gen 1,26]: il che non fece invece con le altre creature. Così infatti la Scrittura: “É lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito” [Dt 32,6]. Viene poi detto Padre per il modo speciale con cui ci governa. Governa, è vero, anche tutti gli altri esseri, ma governa noi lasciandoci padroni di noi stessi. Gli altri, invece, li governa come schiavi. Questa cosa è bene espressa dal Libro della Sapienza: “Tutto è governato, o Padre, dalla tua Provvidenza... Tu ci tratti con grande riverenza” [Sap 14,3; 12,18]. Viene detto Padre anche per averci adottati. Se, infatti, alle altre creature egli ha fatto dei regalini, a noi invece ha dato l’eredità. E questo perché siamo suoi figli, e “se figli, siamo anche eredi” [Rm 8,17]. Sicché l’Apostolo può dire: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi e di paura, ma avete ricevuto lo Spirito dei figli adottivi che ci fa esclamare ‘Abbà, Padre’” [Rm 8,15]» (Tommaso d’Aquino, Commento al Padre nostro).
 
Il Santo del Giorno - 11 Marzo 2025 - San Sofronio di Gerusalemme. Difensore del popolo minacciato dagli invasori e dal pericolo delle eresie: Custodire la verità della dottrina e difendere il popolo: i pastori della comunità cristiana sono chiamati a tenere insieme questo duplice compito, al cui centro c’è la relazione tra Dio e l’umanità. E proprio su questi due fronti, distinti ma integrati, s’impegnò san Sofronio di Gerusalemme, che dovette combattere la diffusione delle eresie ma anche resistere alla minaccia del califfato che gravava al tempo sulla Città Santa. Siriano di Damasco, fu eletto patriarca di Gerusalemme nel 634, quando la Palestina si trovava a vivere sotto la paura dell’imminente invasione da parte di Abu-Bekr, suocero di Maometto e del califfo Omar. Ma da patriarca Sofronio dovette affrontare anche l’eresia del monotelismo che, affermandone la sola volontà divina, di fatto indeboliva la figura di Cristo, svilendo di fatto la sua natura umana. Assieme a Massimo il Confessore, Sofronio cercò di combattere con vari scritti l’eresia che usciva dalla stessa corte imperiale di Costantinopoli. Nel 637 dovette consegnare la città al califfo Omar, ottenendo però la libertà di culto per i cristiani. Morì di lì a poco. Di lui ci sono pervenute alcune poesie e lettere. (Avvenire)
 
Per la partecipazione ai tuoi misteri insegnaci,
o Signore, a moderare i desideri terreni
e ad amare i beni del cielo.
Per Cristo nostro Signore.

ORAZIONE SUL POPOLO ad libitum
Conferma i tuoi fedeli, o Dio, con la tua benedizione
e sii per loro sollievo nel dolore,
pazienza nella tribolazione,
difesa nel pericolo.
Per Cristo nostro Signore.