25 Febbraio 2020

Martedì VII Settimana T. O.

 Gc 4,1-10; Sal 54 (55); Mc 9,30-37

Colletta: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gli Apostoli non capiscono le parole del Maestro, sono parole che annunciano la sua morte cruenta, e per questo hanno timore di interrogarlo. Ma in verità, sono affaccendati in altre argomentazioni più dilettevoli, infatti, per via si sono infervorati a discutere tra loro chi fosse il più grande. Colti in fallo, arrivati a Cafarnao, forse in casa di Pietro, Gesù approfitta del fatto per dare loro una lezione di vita cristiana. Sedutosi, è la postura del maestro nell’atto di insegnare (cfr. Mt 5,1), chiama i Dodici: Gesù restringe il cerchio ai soli Dodici perché sono loro che devono assimilare fin in fondo il suo insegnamento e viverlo integralmente poi nel loro ruolo di «colonne della Chiesa» (Gal 2,9). Gesù ancora una volta rovescia i modelli sui quali tanti maestri avevano costruito l’identikit del vero figlio della Legge (cfr. Lc 15,25-32). Nella casa di Pietro il primo è colui che si fa servo, non chi dà ordini a destra e a manca; chi sa piegare le ginocchia e, come l’ultimo sguattero della terra, mettersi a lavare i piedi dei suoi amici e dei suoi nemici (cfr. Gv 13,13-15). Poi, la seconda manovra, il porre un bambino in mezzo a loro, spiazza del tutto gli Apostoli. I bambini sono i membri più deboli della comunità cristiana, i più bisognosi e i più dimenticati. Di essi deve farsi carico il discepolo di Gesù, come Lui si è fatto carico dell’umanità debole e fragile gemente sotto il dominio del peccato.

Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Durante il viaggio in Galilea, Gesù istruisce i discepoli sulla sua missione salvifica che si sarebbe conclusa a Gerusalemme, crocifisso su una croce. Gesù non vuole che «alcuno lo sapesse»: questo ordine, anche se è da collocare nel contesto del cosiddetto «segreto messianico», deve essere visto come il desiderio, da parte del Maestro, di evitare l’assedio della folla che gli avrebbe impedito di stare un po’ con i suoi.
Ormai la sua vita pubblica volge al termine e la sua morte cruenta è a un passo: il diavolo (Lc 4,13) e i nemici del giovane Rabbi di Nazaret stanno affilando le armi per l’ultimo, decisivo assalto.
Gesù è consapevole di tutto questo, non è affatto turbato, ma si premura di istruire «tutti i suoi discepoli», coloro che avrebbero dovuto continuare la sua opera di salvezza nel mondo (2Ts 2,4).
Non vuole che la sua morte orrenda, maledetta dalla Legge (Gal 3,13; cf. Dt 21,23), colga gli Apostoli impreparati. Non vuole che la sua morte frantumi la loro debole fede. Non vuole che la sua morte, a motivo della loro estrema debolezza, possa gettarli tra gli artigli di satana (cf. Lc 22,31). Vuole che la sua morte sia invece un messaggio di speranza, una porta spalancata sulla vita. Ecco perché vuol stare solo con i suoi discepoli: li vuole istruire fin nei più minuti dettagli perché comprendano, perché accettino la volontà del Padre.
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini...», è un’espressione biblica «che indica una prova tremenda, in cui il malcapitato può aspettarsi qualunque crudeltà e non può neppure far appello alla pietà o alla misericordia come farebbe con Dio [cf. Mc 14,41; 2Sam 24,14; Sir 2,18]» (ADALBERTO SISTI, Marco).
Lo uccideranno, è il secondo annuncio che Gesù fa della sua imminente morte, ma i discepoli «non comprendevano» ancora. Capivano le parole, ma aggrappati com’erano a un messianismo rivoluzionario, non potevano comprendere il vero senso del discorso. Avevano paura di interrogarlo, di «chiedergli spiegazioni». Temevano che Gesù fugasse per sempre quelle esili certezze alle quali si erano abbarbicati nella speranza di aver capito male, di aver forse frainteso. In verità, non riuscivano ad entrare dentro gli ingranaggi del progetto salvifico: non riuscivano a capire perché la salvezza dell’uomo doveva passare necessariamente attraverso la morte del Verbo di Dio.

In quel tempo... - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 33-34 L’ambientazione si ricollega al v. 30: Gesù aveva intrapreso il cammino verso la morte ed era di passaggio a Cafarnao, dove fece una breve sosta probabilmente nella casa di Pietro. Come risulta dagli scritti giudaici e di Qumràn, nel giudaismo si verificavano spesso vivaci discussioni sulla precedenza nelle varie manifestazioni civili e religiose del tempo.
v. 35 «Se qualcuno vuole essere primo, sarà ultimo di tutti e servitore di tutti». E un logion autentico di Gesù, che trasmette «la regola d’umiltà per i discepoli» (Pesch, II, p. 165), anche se si ignora il preciso contesto storico in cui fu pronunziato, perché ricorre in altri passi con qualche variante (cf. Mc 10,43-44 e parr; Mt 23,11; Lc 9,48b). Gesù con questo detto capovolge la mentalità corrente sulla grandezza: il primo è l’ultimo e il servitore di tutti. I Dodici dovevano diventare le guide spirituali della comunità cristiana, ma la loro vera grandezza consisterà nell’umiltà e nel servizio dei fratelli più umili ed emarginati.
vv. 36-37 Preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciatolo, disse... Abbiamo una applicazione concreta della sentenza precedente sul servizio, un esempio offerto da Gesù stesso ai discepoli. II comportamento del Maestro diventa esemplare per i capi della chiesa di tutti i tempi: servendo i bisognosi, si serve Gesù stesso. Anche lui, pur essendo Figlio di Dio, si è fatto servo di tutti. L’accoglienza e la premura verso i bambini costituiranno una prassi costante nella chiesa, quale segno della sua appartenenza a Cristo. Il tenero atteggiamento di Gesù che abbraccia i bambini è un dettaglio esclusivo di Marco, l’evangelista più attento a cogliere i tratti umani del Maestro. Il brano costituisce un doppione di un episodio affine, narrato in 10,13-16

 Dio e i bambini - L. Roy: Già nell’Antico Testamento il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio. Il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22,21ss; Sal 68,6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11,14).
I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2,16; Giudit 4,1s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8,2s = Mt 21,16). Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66,10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131,2). Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1Sam 1-3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1Sam 16,1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13,44-50).
Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7,14ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9,1-6).

Gesù e i Bambini - Giuseppe Manzoni (Bambino in Schede Bibliche - Ed. Dehoniane): Il vaticinio di Isaia è diventato realtà quando il Verbo di Dio si fece carne e volle nascere bambino a Betlemme (Lc. 2,7), e bambino fu adorato dai pastori e dai magi, e bambino fu circonciso e presentato al tempio (Lc. 2,22-36), quasi anticipato offertorio della sua passione. Bambini furono anche i primi martiri, associati per la crudeltà di Erode al Martire divino (Mt. 2,16-18). È soprattutto Luca l’evangelista dell’infanzia di Gesù; ma in tutto l’insegnamento di Cristo c’è un mirabile vangelo dell’infanzia. È nota la predilezione di Gesù per i bambini: è la tenerezza stessa di Dio che si manifesta con delicata sensibilità umana. Non vuole che i discepoli li allontanino da lui, anzi li abbraccia e li benedice, imponendo loro le mani (Mc. 10,13-16 - L’imposizione delle mani era per gli ebrei un gesto di benedizione cf. Gen 48,14-20). È beato chi accoglie uno di quei piccoli in nome suo: accogliere un bambino è come accogliere Cristo stesso (Lc. 9,46-48); ma guai a chi scandalizza o disprezza uno di questi innocenti: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi che credono in me, sarebbe bene per lui che gli si appendesse una macina d’asino al collo, e lo si gettasse negli abissi del mare ...» (Mt. 18,6-10).
Fra questi «piccoli» che il Padre non vuole che vadano perduti (Mt. 18,14), oltre agli apostoli, Gesù vede i fanciulli, i poveri, gli indifesi, gli abbandonati ai margini della società e della vita; di essi ha detto Gesù di ritenere come fatto a sé il bene fatto al più piccolo dei suoi fratelli (Mt. 25, 40).
Ma la predilezione di Gesù per i piccoli risale ad un motivo ancor più profondo e interiore: l’infanzia spirituale è una condizione di santità perché infrange il più grave ostacolo alla medesima: l’orgoglio. L’infanzia spirituale è una delle dottrine più rivoluzionarie di Cristo. Il suo è uno spirito d’infanzia! Durante un viaggio in Galilea, Gesù aveva rattristato i suoi discepoli predicendo per la seconda volta la sua passione (Mc. 9,30-37); ma essi non avevano compreso nulla, dominati dalla meschina ambizione di chi fosse il primo fra loro: di questo avevano animatamente discusso fra loro lungo la via. Arrivati a Cafarnao, Gesù li interroga sulle loro discussioni. Gli apostoli rispondono con il silenzio. Allora Gesù, con un rovescio di mano, spazza via tutte le false grandezze. Il bambino, che non si dà importanza, che è umile, che accetta di dipendere e di ricevere da tutti: ecco il modello per entrare nel regno di Dio (Mc. 9,33-35; Mt. 18,2-4; Mc. 10,14-15).
L’esigenza dell’infanzia spirituale, di farsi cioè piccoli e umili, per degli uomini adulti appare a prima vista paradossale. Gli apostoli rimangono disorientati, ma non hanno parole per obiettare. Le trova invece un dottore della Legge, cosciente del suo valore, Nicodemo: come può un uomo, già adulto, rinascere? (Gv. 3,3-7.9-10). Ecco l’obiezione più grave di un uomo fatto, contro l’infanzia spirituale: perché esigere da un adulto le qualità di un fanciullo? Gesù però non muta la sua dottrina: bisogna fidarsi di lui con la semplicità dei «piccoli» che credono alla sua parola (Mt. 18,6; 1Pt. 1,3.22-23): «Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza, se avete gustato come è buono il Signore» (1Pt 2,2-3). A loro infatti, se nella vita conservano lo spirito d’infanzia, il Padre si compiace di rivelare i misteri divini: «In quello stesso istante esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai semplici! Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te...” » (Lc. 10,21).
È la realizzazione messianica dell’invito: «Se qualcuno è piccolo venga a me», nell’abbandono e nella dipendenza totale, nel vuoto di sé e del proprio egoismo, per accettare la pienezza dell’amore. Le vie di Dio sono sconvolgenti per le prospettive umane, come costata san Paolo: Dio sceglie ciò che è stolto e debole per il mondo, per confondere i sapienti e i forti, e perché nessuno si vanti innanzi a Dio! (1Cor. 1,27-29)


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Il pane che ci hai donato, o Dio,
in questo sacramento di salvezza,
sia per tutti noi pegno sicuro di vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.