9 Gennaio 2020

FERIA PROPRIA 9 GENNAIO

1Gv 4,11-18; Sal 71 (72); Mc 6,45-52




Colletta:  O Dio, luce del mondo, concedi a tutte le genti il bene di una pace sicura e fa’ risplendere nei nostri cuori quella luce radiosa che illuminò la mente dei nostri padri. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Andò sul monte a pregare - Gli evangelisti, in modo particolare Luca, amano ricordare la preghiera di Gesù, la quale, oltre a manifestare il suo essere sempre in comunione col Padre, è sempre preludio di qualche avvenimento importante. Gesù, al suo battesimo, prega e riceve l’unzione dello Spirito Santo (Cf. Lc 3,22). Prega prima della missione in Galilea (Cf. Mc 1,35), prima della istituzione dei Dodici e del discorso inaugurale (Cf. Lc 6,12-13). Prega prima e dopo la moltiplicazione dei pani (Cf. Mc 6,41.46; Mt 14,29.23), prima della professione di fede di Pietro (Cf. Lc 9,18) e perché la fede di Pietro, capo degli Apostoli, non venga meno nella tentazione (Cf. Lc 22,32). Prega prima di insegnare il Padre nostro (Cf. Lc 9,18) e in occasione della trasfigurazione (Cf. Lc 9,28-29). Prega prima di realizzare, mediante la sua passione, il disegno di salvezza del Padre (Cf. Lc 22,41-44).
Tale insistenza certamente si prefigge di educare i credenti alla preghiera: «Non è forse anzitutto contemplando il suo Maestro orante che nel discepolo di Cristo nasce il desiderio di pregare? Può allora impararlo dal Maestro della preghiera. È contemplando ed ascoltando il Figlio che i figli apprendono a pregare il Padre» (Catechismo della Chiesa Cattolica 2601).

Dal Vangelo secondo Marco 6,45-52: [Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.

Dopo che i cinquemila uomini furono saziati... - José Maria González-Ruiz (Il Vangelo secondo Marco): Si tratta d’un racconto caratteristico di Marco, e ci porta alla chiave ermeneutica del suo vangelo. A dispetto della spettacolare dimostrazione dei pani e dei pesci, Gesù non accetta di essere considerato come una specie di divo che dev’essere ammirato. Per prima cosa, infatti, egli si separa dai suoi discepoli per evitare che essi cedano alla tentazione di comportarsi come ammiratori fanatici, e si ritira a pregare nella solitudine. Ma, .anche qui, la sua preghiera non era evasiva e disimpegnata: se da una parte guardava il cielo, dall’altra seguiva le vicissitudini umane dei suoi discepoli.
Questi, infatti, si trovavano in un momento difficile, dovendo remare contro corrente per il vento che soffiava contro di loro. Per questo, egli decide di compiere un prodigio. Come sempre, il miracolo non era altro che l’uso del potere divino in favore degli uomini. Gesù non intende imporre il miracolo ai suoi discepoli, tanto che si comporta come se volesse lasciarli alle sue spalle. E allora, i discepoli gridano pensando che, si tratti d’un fantasma.
Qui abbiamo nuovamente un particolare molto caratteristico del secondo vangelo: la sua profonda allergia a tutto quello che potrebbe sapere di magia. I discepoli, infatti, sono come tutti gli altri, e persino come i non credenti; per questo la loro prima interpretazione del miracolo è che si tratti d’un fantasma, d’una cosa sognata da loro in un momento d’angustia. Gesù però umanizza il miracolo: «Coraggio, sono io; non temete».
Per il credente il miracolo è la potenza di Dio che si rivela agli uomini per aiutarli a superare la paura, l’angu­stia e ogni genere di alienazione. Perciò, un possibile miracolo, pubblicizzato con abbondanza di segni abba­glianti, non è segno di Dio. Si tratta realmente d’una «fantasia». Il secondo evangelista non mette in evidenza il miracolo come argomento razionale della presenza di Dio, dato che Gesù fa cose che gli uomini non possono fare. Non si tratta di questo. A Gesù è attribuito un potere taumaturgico; ma quello che apre i discepoli alla fede è l’uso che Gesù fa del suo potere in favore delle necessità umane.
Questo atteggiamento di Gesù può non essere compreso dagli stessi discepoli. Perché Gesù non usa questo potere per liberarli dalla dura necessità del lavoro di ogni giorno? Per questo l’evangelista conclude il racconto dicendo che i discepoli non avevano compreso nulla del precedente episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci: la loro mentalità era ancora offuscata, o meglio, la loro fede non era ancora matura,
Probabilmente essi si attendevano una dichiarazione di principio e l’inizio della marcia per la conquista del potere. Non possiamo infatti dimenticare che quest’episodio corrispondeva ai tempi migliori della marcia del popolo attraverso il deserto verso la terra promessa (Es 16,15; Sal 78,24). In una parola non bisognava perdere il tempo nella ricerca del pane di ogni giorno: sarebbe stato bene dedicarsi alla «rivoluzione» lasciando a Dio la cura di provvedere miracolosamente il pane al suo popolo. La tesi di Gesù è scoraggiante: la «rivoluzione» dev’essere fatta con le proprie braccia. Dio non è un surrogato del lavoro umano.

E salì con loro sulla barca con loro e il vento cessò - Appena Gesù sale sulla barca, il vento cessa di soffiare e di sconquassare la barca. Nell’Antico Testamento il potere di calmare le tempeste, così come di camminare sulle acque è attribuito a Iahvé (Cf. Sal 65,7; 77,20; 89,9-10; Gb 9,8; 26,11-12; 38,16; Sir 24,5-6; Is 43,16). Intenzionalmente è una professione di fede della comunità primitiva nella divinità di Gesù.
Tornata la calma l’evangelista Marco ricorda la meraviglia dei discepoli: E dentro di sé erano fortemente meravigliati. Sono meravigliati perché non riescono a comprendere, non sanno dare un “volto” a Colui che ha moltiplicato i pani e i pesci per cinquemila uomini, e che ora cammina sulle acque, una peculiarità di Dio, e comanda alle forze della natura, per l’evangelista Marco la meraviglia dei discepoli ha le radici nel loro cuore indurito: Erano dentro di sé meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
Al di là della storicità dell’episodio, si può cogliere un messaggio altamente parenetico: Gesù risorto è sempre presente nella sua Chiesa e se i marosi sembrano farla naufragare, occorre continuare, nonostante tutto, ad avere fiducia nella potenza della sua parola, la quale tacitando la tempesta, fa ritornare la calma e rende possibile la prosecuzione della navigazione. Così l’episodio illumina la vita cristiana fatta a volte anche di affondamenti.

La preghiera di Gesù - P. Beauchamp: 1. La sua preghiera e la sua missione. - Nel vangelo nulla rivela la necessità assoluta della preghiera meglio del posto che essa occupa nella vita di Gesù. Egli prega spesso sul monte (Mt 14,23), solo (ibid.), in disparte Lc 9,18), anche quando «tutti [lo] cercano» (Mc 1, 37). Si avrebbe torto di ridurre questa preghiera al solo desiderio dell’intimità silenziosa con il Padre: essa concerne la  missione di Gesù o l’educazione dei discepoli, che sono menzionate in quattro citazioni della preghiera proprie di Luca: nel battesímo (3,21), prima della scelta dei dodici (6,12), al momento della trasfigurazione (9,29), prima dell’insegnamento del Parer (11,1). La sua preghiera è il segreto che attira coloro che gli sono più vicini ed in cui egli li fa sempre più entrare (9,18). Essa li concerne: egli ha pregato per la fede dei suoi. Il legame tra la sua preghiera e la sua missione è evidente nei quaranta giorni che la inaugurano nel deserto, perché fanno rivivere, superandolo, l’esempio di Mosè. Questa preghiera è una prova per l’orante: Gesù, meglio di Mosè, trionferà del progetto satanico di tentare Dio (Mi 4,7=Deut 6,16: Massa), ed ancor prima della sua passione ci fa vedere di quali ostacoli dovrà trionfare la nostra stessa preghiera.
2. La sua preghiera e la sua passione. - La prova decisiva è quella della fine, quando Gesù prega e vuole far pregare con sé i suoi discepoli sul Monte degli Ulivi. Questo momento contiene tutta la preghiera cristiana; filiale: «Abba»; sicura: «tutto ti è possibile»; prova di obbedienza in cui è respinto il tentatore: «non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Ed anche brancolante, come le nostre, quanto al suo vero oggetto. 3. La sua preghiera e la sua risurrezione. - Esaudita infine al di là dell’attesa. Il conforto dell’angelo (Lc 22,43) è la risposta immediata che il Padre dà per il momento presente, ma la lettera agli Ebrei ci fa vedere in un modo radicale ed ardito che è la risurrezione ad esaudire questa preghiera così veramente umana di Cristo, «nei giorni della sua carne, avendo innalzato, con un forte gemito e con lacrime, preghiere e suppliche a colui che lo poteva salvare dalla morte, ed essendo stato esaudito a motivo della sua «pietà» (Ebr 5,7). La risurrezione di Gesù, momento centrale della salvezza dell’umanità, è una risposta alla preghiera dell’uomo-Dio che riprende tutte le domande umane della storia della salvezza (Sal 2,8: «chiedimi»).
4. La sera della cena. - Qui Gesù, dopo aver detto prima, tra l’altro, come pregare, prega poi egli stesso. Il suo insegnamento riprende quello dei sinottici quanto alla certezza di essere esaudito (parresìa in 1Gv 3,21; 5,14), ma la condizione «nel mio nome» apre nuove prospettive. Si tratta di passare dalla richiesta più o meno istintiva alla vera preghiera. Il «sinora non avete domandato nulla nel mio nome» (Gv 16,24) si può quindi applicare a molti battezzati. Pregare «nel nome» di Cristo suppone più che una formula, così come compiere un passo in nome di un altro suppone un legame reale con quest’altro. Pregare in tal modo non significa domandare unicamente le cose del cielo, ma volere ciò che Gesù vuole; ora la sua volontà è la sua missione: che la sua unità con il Padre diventi il fondamento dell’unità dei chiamati. «Che tutti siano uno come tu, Padre, sei in me, ed io in te» (Gv 17,22s). Essere nel suo nome e volere ciò che egli vuole significa pure camminare nei suoi comandamenti, il primo dei quali impone la carità che si domanda. La carità quindi è tutto nella preghiera: condizione e termine. Il Padre dona tutto a motivo di questa unità. Così l’affermazione costante dei sinottici, che ogni preghiera è esaudita, è confermata qui per cuori rinnovati: «senza dire alcuna parabola» (Gv 16,29). Questa è una situazione nuova, che però realizza la promessa del giorno di Jahve, in cui «tutti coloro che invocheranno il nome di Jahve saranno salvati» (Gioe 3,5 = Rom 10,13); la preghiera della cena promulga l’èra attesa, in cui i benefici del cielo corrisponderanno ai desideri della terra (Os 2,23-25; Is 30,19-23; Zac 8,12-15; Am 9,13). Tale è la preghiera di Gesù, che trascende la nostra; di rado egli dice «prego», ma generalmente «chiedo», ed una volta «voglio» (alla fine: Gv 17,24). Questa preghiera esprime la sua intercessione (eterna secondo Ebr 7,25) e rivela il contenuto interiore tanto della passione quanto del pasto eucaristico. Infatti l’eucaristia è il pegno della presenza totale di Dio nel suo dono e la possibilità dello scambio perfetto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Gesù andò sul monte a pregare” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Sostieni, Signore,
con la tua provvidenza questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.