30 Gennaio 2020

Giovedì III Settimana Tempo Ordinario

2Sam 7,18-19.24-29; Sal 131 (132); Mc 4,21-25

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore...

Tutti i cristiani sono testimoni della Luce e missionari della Luce, quindi i versetti del Vangelo di oggi sono un richiamo alla missione apostolica di cui ogni cristiano è investito per il fatto di essere tale. Ogni cristiano è tenuto a a fare luce “dentro la sua vita”, ma anche nella vita degli uomini, suoi fratelli e compagni di viaggio verso cieli nuovi e terra nuova. È Gesù a insegnarlo con l’analogia della luce. Come la luce illumina, rischiara e dà calore, così il cristiano, illuminato da Cristo, rischiara le cose che sono in ombra, e dà calore a chi è immerso nella morsa gelida del peccato.

Dal Vangelo secondo Marco 4,21-25: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!”. Diceva loro: “Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. 

Viene forse la lampada… - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli a confronto): Le due immagini della lucerna (v. 21) e della misura (vv. 24-25) sono introdotte con la medesima espressione, “e diceva loro” (vv. 21a.24a). L’invito all’ascolto nel v. 23 sottolinea l’importanza dell’insegnamento di Gesù. L’immagine della misura (v. 24) fa riferimento al giudizio escatologico (v. 25).
vv. 21-23 Il “moggio” (un mastello) indica un recipiente per misurare i cereali. Con l’espressione semitica della lucerna che “viene” (érchetai) è probabile che Marco si riferisca alla venuta del Cristo, vera luce che illumina il mondo con il suo insegnamento (cf. Gv8,12; 12,46; 13,35). L’invito all’ascolto del v. 23, ribadito nel v. 24, sottolinea l’importanza della comprensione progressiva del significato simbolico delle parabole.
vv. 24-25 L’immagine della misura in Marco si riferisce alla comprensione delle parabole: a chi ascolta correttamente Parola, Dio donerà una conoscenza sempre più profonda del regno, connesso con la passione e morte di Gesù, quando sarà svelato il mistero del Messia crocifisso. In Matteo l’immagine è utilizzata come monito a non giudicare il prossimo in Luca (6,38b) come invito a largheggiare nell’elemosina. Matteo inserisce il logion del v. 25 nella parabola del seminatore (13,12). Da questa diversa utilizzazione di alcuni detti risulta che erano trasmesse nella Chiesa in modo fluttuante, a prescindere dal contesto storico in cui li aveva pronunciati Gesù.

La parabola - Alice Baum: Parabola. Genere retorico nel quale un determinato pensiero viene illustrato servendosi di un’immagine. Il termine greco parabole usato nel Nuovo Testamento significa accostamento. Nelle parabole vengono accostate due realtà, una religiosa, la “metà oggettiva”, e una tratta dalla vita quotidiana dell’uomo, la “metà illustrativa”. Laddove la metà oggettiva, ciò che veramente la p. vuol dire, rimane il più delle volte inespressa. L’uditore, o il lettore, la deve ricavare lui stesso dalla metà illustrativa. Così per es. nella parabola  del seme che spunta da solo (Mc 4,26-29) la metà oggettiva va completata con l’immagine: il regno di Dio viene in maniera così inarrestabile come la messe dopo la semina. La parabola va distinta dall’allegoria. Mentre in un’allegoria ogni tratto dell’immagine ha un significato proprio, a ciò che è presentato nella parabola  corrisponde un’unica realtà religiosa.
Nei discorsi di Gesù in parabole possiamo distinguere tre diverse forme. La parabole  vera e propria si serve di un procedimento, o di un dato di fatto per esprimere una verità religiosa (parabola del granello di senape, la pecora smarrita e altre). La cosiddetta parabola è una storia inventata che racconta un caso singolo, talvolta fuori del comune (dieci vergini, Mt 25,1-13; figlio prodigo - o meglio: padre amorevole -, Lc 15,1132). Nel racconto esemplare non viene traslata un’immagine o una storia nella realtà religiosa, “ma un pensiero religioso-morale viene illustrato per mezzo di un caso singolo”. Non si tratta tanto della conoscenza della verità, quanto del retto agire (buon samaritano. Lc 10,30-37; fariseo e pubblicano, Lc 18,9-14). Le parabole di Gesù fanno parte dello “strato originario della tradizione”. Per i suoi uditori non erano nulla di nuovo. Le si trovano anche nell’Antico Testamento e nell’insegnamento rabbinico. Nuovo era il contenuto: il regno di Dio che viene e la pretesa di Gesù di esserne il portatore. Le parabole rispecchiano l’ambiente palestinese in maniera così chiara che non si può dubitare della loro autenticità. Una spiegazione obiettiva non è tuttavia possibile se non si tiene presente che le parabole hanno un triplice Sitz im Leben, vale a dire vanno comprese a partire da tre diverse situazioni: l’annuncio di Gesù, la vita della chiesa primitiva e la prospettiva teologica del singolo evangelista.

La lampada, simbolo della presenza umana - J.-E. Brunon: Con la sua luce, la lampada significa una presenza viva, quella di Dio, quella dell’uomo.
l. La lampada, simbolo della presenza divina. - «La mia lampada sei tu, o Jahve» (2Sam 2,29). Con questo grido il salmista proclama che Dio solo può dare luce e vita. Non è egli forse il creatore dello spirito che è nell’uomo come «una lampada di Jahve» (Prov 20,27)? Non rischiara forse egli come una lampada la  via del fedele con la sua  parola (Sal 119,105), con i suoi comandamenti (Prov 6,23)? Le Scritture profetiche non sono forse «una lampada che brilla in luogo oscuro, sino a che il giorno incominci a spuntare e l’astro del mattino si levi nei nostri cuori» (2Piet 1,19)? Quando verrà questo giorno supremo non ci sarà più «notte; gli eletti faranno a meno di lampada o di sole per farsi luce», perché «l’agnello sarà la loro lucerna» (Apoc 22,5; 21,23).
2. La lampada, simbolo della presenza umana. - Il simbolismo della lampada si ritrova nel piano più umile della presenza umana. A David, Jahve promette una lampada, cioè una discendenza perpetua (2Re 8,19; 1 Re 11,36; 15,4). Per contro, se il paese è infedele, Dio minaccia di fare sparire da esso «la luce della lampada» (Ger 25,10): allora non ci sarà più felicità duratura per il malvagio la cui lampada presto si spegne (Prov 13,9; Giob 18,5s).
Per esprimere la sua fedeltà a Dio e la continuità della sua preghiera, Israele fa ardere in perpetuo una lampada nel santuario (Es 27,20ss; 1Sam 3,3); lasciarla spegnere, significherebbe far intendere a Dio che lo si abbandona (2Cron 29,7). Per contro, beati coloro che vegliano nell’attesa del Signore, come le giovani donne prudenti (Mt 25,1-8) od il servo fedele (Lc 12,35), le cui lampade restano accese.
Dio attende ancora di più dal suo fedele: invece di lasciare la sua lampada sotto il moggio (Mt 5,15 s par.), egli deve brillare come un luminare in mezzo ad un mondo perverso (Fil 2,15), Come già il profeta Elia, la cui «parola bruciava come una fiaccola» (Eccli 48,1), come ancora Giovanni Battista, questa «lucerna che arde e risplende» (Gv 5,35) per rendere testimonianza alla vera luce (1,7s). Così anche la Chiesa, fondata su Pietro e Paolo, «i due olivi e le due lucerne che stanno dinanzi al Signore della terra» (Apoc 11, 4), deve far risplendere fino alla fine dei tempi la gloria del figlio dell’uomo (1,12s).

Illuminati dalla luce di Cristo - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): La parabola della lampada evidenzia l’opposizione che esiste tra la luce e le tenebre, cioè tra la fede e l’incredulità. Gesù affermò di se stesso: «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,46).
Allo stesso modo, la parabola della lampada sottolinea anche la necessità di passare dalla fede alla vita, perché Cristo e il suo vangelo sono luce, e questa devo illuminare l’esistenza di chi crede sinceramente; e non solo la sua esistenza, ma anche quella degli altri. «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa, cosi risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14ss).
La fede del battesimo è la lampada accesa all’inizio del nostro cammino cristiano per illuminare tutta la nostra vita e la nostra condotta. Per questo il battesimo, sacramento della fede, è visto nella tradizione ecclesiale come sacramento di iniziazione e illuminazione, fino al punto da indicare i battezzati con il titolo di «illuminati» dalla luce di Cristo. «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre » (Ef 5,8ss). Tutta la nostra vita, i nostri criteri, i nostri valori e la nostra condotta devono essere conformi a questa luce di Cristo che ci ha illuminati. Luce che ci fu data non per conservarla nel baule dei ricordi, ma perché illumini gli altri con le nostre opere buone. Chiediamoci se per paura o codardia, opportunismo o convenienza, nascondiamo la luce della fede in Cristo negli ambienti in cui ci muoviamo. Perché Cristo disse: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

La parabola della misura - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Questa parabola per immagini è delle più brevi ma non per questo delle più semplici. Comincia con un’esortazione a un attento ascolto (v. 24a); ma l’immagine che segue è vaga (v. 24b): la «misura» in questione è «l’importanza» concessa all’accoglienza del seme-parola? Se questa accoglienza è generosa, Dio saprà accrescerla ancora. Quest’interpretazione è plausibile, visto il contesto precedente in cui si tratta della disposizione dei cuori, del modo - limitato o generoso - di ricevere la buona novella: ma non possiamo esserne certi. La spiegazione che ne viene subito data è ancora più oscura della parabola stessa (v. 25). E nota la predilezione degli orientali per i paradossi. Notiamo anzitutto che queste parole di Gesù restano assai enigmatiche per i primi cristiani stessi, come dimostra il fatto che si ritrovano nella tradizione evangelica in contesti assai diversi (Mt 13,12 e 25,29). Si tratta di parole dal significato incerto, perché di esse si è ben presto smarrito il contesto tipico e inequivocabile. Qui - secondo quest’ipotesi - esse potrebbero riguardare il popolo giudaico: il popolo eletto, nel suo complesso, non ha accolto la buona novella. Non sta quindi per vedersi privare delle promesse stesse di Dio da parte dei pagani che entrano nella Chiesa? Ma di questo non possiamo fidarci, tanto l’espressione di Gesù resta sibillina. Se non altro, il lettore è invitato ad analizzare la propria qualità di ascolto della parola di Dio che ha ricevuto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”» (Vangelo). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti col corpo e col sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.