29 Novembre 2019

Venerdì XXXIV Settimana T. O.

 Dn 7,2-14; Sal da Dn 3,75-81; Lc 21,29-33


Colletta: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

La similitudine del fico vuole insegnare all’uomo ad essere più accorto, a saper leggere i segni dei tempi: «Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57). È un invito alla vigilanza, lo stesso invito che Gesù rivolgerà a Pietro, a Giacomo e a Giovanni nell’orto del Getsemani (cfr. Mc 14,34.37.38). Questi eventi sono così vicini che «non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute». Queste parole di Gesù, che dai più vengono riferite alla distruzione del tempio di Gerusalemme, si realizzeranno alla lettera appena quarant’anni dopo questo annuncio quando le truppe romane raderanno la città santa al suolo. L’affermazione - Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno - ribadisce l’evidente eternità e immutabilità divina della Parola di Dio (cfr. Is 51,6): «Le parole di Cristo, che traggono origine dall’eternità, possiedono tale forza e tale potere da durare per sempre» (Sant’Ilario)

Dal Vangelo secondo Luca 21,29-33: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:  «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.  In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».

Osservate la pianta di fico… - Alois Stöger (Vangelo secondo Luca): Quando, nella crisi finale del mondo, il Figlio dell’uomo verrà, i fedeli si solleveranno. Allora si potrà dire con tutta verità che il regno di Dio è vicino. Chi afferma questo prima di quel tempo, è un ingannatore (21, 8) e non dice la verità. In quel tempo infatti non ci sarà bisogno d’un messaggero che annunci l’approssimarsi del regno, perché ciascuno se ne accorgerà da sé per i fatti che potrà osservare. Un breve paragone delucida questo particolare. Quando il fico e gli altri alberi germogliano, ognuno capisce da sé che l’inverno è passato e l’estate è vicina. In Palestina non c’è primavera; l’estate scaccia l’inverno. Nessun uomo, che abbia senno, ha bisogno di essere aiutato a capire che l’estate è vicina quando germogliano gli alberi.
La comparsa del Figlio dell’uomo, la redenzione e il regno di Dio sono intimamente uniti fra loro. « Poi viene la fine, allorché il Cristo consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver annientato ogni principato, potestà e forza (che s’oppongono a Dio). Infatti egli deve regnare finché non abbia posto sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici... Infatti tutte le cose Dio ha posto sotto i suoi piedi... Quando poi tutte le cose saranno state sottomesse a lui, allora anche il Figlio si sottometterà a colui che tutto gli ha sottomesso, affinché Dio sia tutto in tutti» (1Cor. 15, 24-28).

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno - Javer Pikaza: Analizzata storicamente, questa sentenza può riflettere la voce di Gesù il quale, con gli apocalittici del suo tempo, avrebbe supposto che la fine del mondo fosse vicina. Potrebbe anche essere l’avvertimento di qualche gruppo della Chiesa che cercava di conservare nella comunità l’entusiasmo escatologico. Per noi, oggi, è difficile precisare la sua origine e il suo senso originale. Però, sullo sfondo della morte e della risurrezione di Gesù, questa sentenza diviene per noi del tutto luminosa.
Affermare che non passerà questa generazione prima che avvenga la fine significa, in primo luogo, una vicinanza « qualitativa ». Non vuol dire che Dio si manifesti temporalmente domani. Vuol dire che, in ogni giorno della vita, siamo disponibili alla fine e circondati dal mistero fondamentale del divino. Evidentemente, quando i tempi divengono duri, quando l’autorità politica mostra il suo volto più perverso, deve accendersi la speranza che viene la fine del mondo (la parusia di Gesù nella storia). Però, quello che importa è sapere che, in tutti i momenti (nei buoni e nei cattivi), la verità della passione, della croce e della Pasqua di Gesù ci fornisce un solido fondamento interiore, ci offre una speranza e ci afferma che il mondo (e la nostra vita) è realtà che si sta esaurendo internamente.

Il cielo e la terra passeranno…: Giovanni Paolo II (Angelus, 26 gennaio 1997): Non poche persone, riflettendo sulla situazione del nostro mondo, manifestano smarrimento e talora persino angoscia. Le sconvolge la constatazione di comportamenti individuali o di gruppo che rivelano una sconcertante assenza di valori. Il pensiero va naturalmente a fatti di cronaca anche recenti, che destano in chi li osserva con attenzione un raggelante senso di vuoto. Come non interrogarsi sulle cause, e come non sentire il bisogno di qualcuno che ci aiuti a decifrare il mistero della vita, consentendoci di guardare con speranza verso il futuro? Nella Bibbia, gli uomini che hanno questa missione vengono detti profeti. Sono uomini che non parlano a nome proprio, ma a nome di Dio, mossi dal suo Spirito. Anche Gesù apparve come profeta agli occhi dei suoi contemporanei, che, impressionati, riconobbero in Lui un “profeta potente in opere e in parole” (Lc 24,19). Con la sua vita, e soprattutto con la sua morte e risurrezione, egli si accreditò quale profeta per eccellenza, essendo il Figlio stesso di Dio. È quanto afferma la Lettera agli Ebrei: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Il mistero del Profeta di Nazaret non cessa di interpellarci. Il suo messaggio, consegnato nei Vangeli, resta nel volgere dei secoli e dei millenni sempre attuale. Egli stesso ha detto: “I cieli e la terra passeranno, le mie parole non passeranno” (Mc 13,31). In Gesù, Figlio suo incarnato, Dio ha detto la parola definitiva sull’uomo e sulla storia, e la Chiesa la ripropone con sempre nuova fiducia, sapendo che essa è l’unica parola capace di dare senso pieno alla vita dell’uomo. Non di rado la profezia di Gesù può risultare scomoda, ma è sempre salutare! Cristo è segno di contraddizione (Lc 2,34), proprio perché tocca l’animo in profondità, obbliga chi lo ascolta a mettersi in questione, chiede la conversione del cuore.

Ma le mie parole non passeranno: Benedetto XVI (Omelia, 15 Novembre 2009): L’espressione “il cielo e la terra” è frequente nella Bibbia per indicare tutto l’universo, il cosmo intero. Gesù dichiara che tutto ciò è destinato a “passare”. Non solo la terra, ma anche il cielo, che qui è inteso appunto in senso cosmico, non come sinonimo di Dio. La Sacra Scrittura non conosce ambiguità: tutto il creato è segnato dalla finitudine, compresi gli elementi divinizzati dalle antiche mitologie: non c’è nessuna confusione tra il creato e il Creatore, ma una differenza netta. Con tale chiara distinzione, Gesù afferma che le sue parole “non passeranno”, cioè stanno dalla parte di Dio e perciò sono eterne. Pur pronunciate nella concretezza della sua esistenza terrena, esse sono parole profetiche per eccellenza, come afferma in un altro luogo Gesù rivolgendosi al Padre celeste: “Le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato” (Gv 17,8). In una celebre parabola, Cristo si paragona al seminatore e spiega che il seme è la Parola (cfr. Mc 4,14): coloro che l’ascoltano, l’accolgono e portano frutto (cfr. Mc 4,20) fanno parte del Regno di Dio, cioè vivono sotto la sua signoria; rimangono nel mondo, ma non sono più del mondo; portano in sé un germe di eternità, un principio di trasformazione che si manifesta già ora in una vita buona, animata dalla carità, e alla fine produrrà la risurrezione della carne. Ecco la potenza della Parola di Cristo

È vicino - A parte i santi, i beati e i servi di Dio, la vigilanza non è più pane quotidiano per molti credenti (cfr. Sap 2,6-7; Is 22,13; 1Cor 15,32). Eppure il Vangelo è zeppo di quei moniti che invitano l’uomo a saper leggere i segni dei tempi e ad essere vigilanti (cfr. Mt 25,13; Mc 13,33-34; Lc 12,37). Anche Paolo ritorna spesso sul tema della vigilanza: «... il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte... Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (1Ts 5,2.6). Una saggia esortazione da mettere urgentemente in atto perché due eventi ineluttabili incombono sull’uomo: la morte e la fine del mondo. Due eventi lontani nel tempo l’uno dall’altro, ma che coincidono perfettamente tra loro perché con la morte si va già incontro al giudizio e il giudizio di Dio, alla fine del mondo, ratificherà la sentenza emanata nel giorno della fine dell’esistenza. Se poi si è miscredenti e non si vuol credere al giudizio universale, resta come verità inoppugnabile la morte dell’uomo e sarebbe da stolti credere che all’uomo spetti lo stesso destino delle bestie (Qo 3,18-22). Anche se non conosciamo il tempo né l’ora della fine del mondo, già «è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi [cfr. 1Cor 10,11]. La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta. Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora [cfr. 2Pt 3,13], la Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio [cfr. Rom 8,19-22]» (LG 48). Da qui l’imperativo a vegliare perché non sappiamo in quale giorno il Signore verrà (Mt 24,42), di indossare l’armatura di Dio per potere star saldi contro gli agguati del diavolo e resistergli nel giorno malvagio (cfr. Ef 6,11-13) e di sforzarsi di essere in tutto graditi al Signore (cf. 2Cor 5,9). Proprio perché non conosciamo il giorno né l’ora, «bisogna che, seguendo l’avvertimento del Signore, vegliamo assiduamente, per meritare, finito il corso irrepetibile della nostra vita terrena [cfr. Eb 9,27], di entrare con lui al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati [cfr. Mt 25,31-46], e non ci venga comandato, come a servi cattivi e pigri [cfr. Mt 25,26], di andare al fuoco eterno [cfr. Mt 25,41], nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore dei denti” [Mt 22,13 e 25,30]. Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo “davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno il salario della sua vita mortale, secondo quel che avrà fatto di bene o di male” [2Cor 5,10], e alla fine del mondo “usciranno dalla tomba, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna” [Gv 5,29]» (LG 48).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Vangelo).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai dato la gioia di unirci alla tua stessa vita,
non permettere che ci separiamo mai da te, fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.