29 Ottobre 2019

Martedì XXX Settimana T. O.

 Rm 8,18-25; Sal 125 (126); Lc 13,18-21

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...   

La parabola del granello di senape, raccontata anche da Matteo e Marco, vuole mettere in evidenza la crescita dell’albero, come dire che il regno di Dio, un piccolo seme seminato in terra di Palestina, crescerà e si dilaterà sino agli estremi confini del mondo. La parabola del lievito mette in evidenza la piccolezza del lievito e la grande massa fermentata. Il regno di Dio ha avuto un inizio a un po’ di lievito, un inizio umile, nascosto, ma che bene presto si espanderà tra tutti i popoli della terra.
In questa cornice, le due parabole mettono in evidenza il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del regno e della sua espansione. Un monito alla pazienza e a lasciare a Dio la regolazione dei conti. È un invito ad avere fiducia nell’azione di Dio, una forza intensiva ed estensiva che arriva a trasformare e a sconvolgere l’intera vita dell’uomo.

Dal Vangelo secondo Luca 13,18-21: In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».   

Le due parabole, la parabola del granello di senape e del lievito, sono precedute da una serie di avvenimenti che è bene ricordare. Lc 13,1-4, ricorda come alcuni informano Gesù di due avvenimenti luttuosi, la carneficina perpetrata da Pilato e la caduta della torre di Siloe, la quale rovinando aveva ucciso 18 operai. Segue il racconto del fico infruttuoso, e la guarigione in giorno di sabato di una donna posseduta dal demonio, seguita dalle solite recriminazioni dei farisei. Alla fine di questi fatti Gesù racconta le due parabole. Il perché Luca “le abbia collocate in questo contesto è oggetto di congetture. Matteo e Marco mettono queste due piccole parabole frammischiate tra altre in discorsi parabolici più lunghi [Mc 4,3032; Mt 13,31-33]. Luca le inserisce in un contesto conflittuale alquanto teso. E lo fa di proposito, poiché le presenta a conclusione della guarigione: «Diceva dunque». Questo per noi è un invito a leggere queste parabole come un commentario ai fatti che le precedono. Entrambe le parabole contrappongono umili inizi a vistosi risultati: il piccolo seme diventa un albero; il lievito fa fermentare un'intera massa di farina. Entrambe, inoltre, contrappongono il nascosto al manifesto: il seme è nascosto nel terreno, ma diventa visibile nell'albero; il lievito è nascosto nell'impasto, ma si manifesta negli effetti di crescita che produce. Sarà la stessa cosa, ci viene dato da intendere, per quanto riguarda il regno di Dio proclamato da Gesù. È proprio in questi piccoli e nascosti atti di liberazione compiuti in questa sinagoga che la vittoria sul regno di satana incomincia a delinearsi e che la missione profetica di «proclamare ai prigionieri la liberazione» [4,18] si sta compiendo. Ma Luca vuole forse insinuare nel testo segnali ancora più sottili? Dobbiamo vedere un legame tra le diciotto persone morte sotto il muro del Tempio e i diciotto anni in cui la figlia di Abramo è stata sotto il potere di satana? E se è cosi può essere che il «raddrizzarsi» della donna sia in qualche modo una variazione del tema di Luca della «rovina e risurrezione di molti in Israele» [2,34]? Forse è così, proprio come il suo raddrizzarsi a glorificare Dio ci ricorderà il detto riguardo al ritorno del Figlio dell'uomo in 21,28: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina»” (Luke Timothy Johnson, Il Vangelo di Luca).

Il regno di Dio è simile a un granello di senape - Javer Pikaza: Con parola desunta dall'antica tradizione di Gesù, si afferma che il regno è simile a un granello di senape (13,18) o a un pugno di lievito (13,21). In realtà, sullo sfondo giudaico di quel tempo, il termine di paragone non è la senape o il lievito, bensì il loro comportamento. Il granello di senape, proverbialmente piccolo e insignificante, diviene un arbusto frondoso. Il lievito che pare essersi perso nella farina, la fa fermentare e la trasforma totalmente dal di dentro.
La situazione in cui si inseriscono le parabole è chiara. Gesù parla del regno, agisce con la convinzione che il regno sta arrivando e, tuttavia, tutto ci permette di supporre che non sia cambiato nulla. Gli uomini si arrovellano in tutti i loro vecchi problemi; continuano fra loro le lotte, le divisioni, i dolori e la morte. La parola di Gesù, in realtà, non cambia nulla. Che importanza può avere una piccola speranza, la consolazione di pochi individui o un paio di miracoli sperduti in un mondo carico d'angosce, d'impurità, di sofferenza e di morte? Ebbene, a questi interrogativi rispondono le parabole.
A coloro che dicono che nulla è cambiato Gesù risponde che il piccolo seme è stato già gettato nel solco della terra. A coloro che dicono che la pasta è quella di sempre risponde che il lievito sta già facendola fermentare e la sta rinnovando tutta dal di dentro. Questa affermazione è, da un lato, una fonte di consolazione: sebbene sembri che dominino le forze del male, la vittoria decisiva è già stata iniziata; ha cominciato a realizzarsi il mondo nuovo e nulla potrà soffocarlo o sopprimerlo. Per i nemici che lo attaccano accennando all'importanza insignificante della sua opera, la parola di Gesù contiene una velata minaccia: anche se non la volete accettare, la verità del regno sta operando e trasforma tutto in modo tale, che dovrete vedere (o subire) la sua gloria.
Per comprendere queste parabole, è necessario che teniamo conto di due elementi importanti: a) la crescita del seme non è vista come un fenomeno naturale, sottomesso a leggi biologiche precise. Importa fondamentalmente il simbolo d'un granello che. pur essendo piccolo, si trasforma e fruttifica per la forza di Dio che agisce nel mondo. Orbene, una forza simile, ma infinitamente più potente, è quella che agisce nel messaggio del regno di Gesù; b) in secondo luogo dobbiamo considerare che, nella nostra situazione di credenti, il seme del regno gettato nel solco della terra è Gesù stesso, il Cristo, nel suo destino di morte e risurrezione. Gesù è il vero lievito che fa fermentare dal di dentro la massa della storia degli uomini. Il finale è velato: il trionfo è ancora nascosto, ma nel fondo di tutto agisce ormai il seme (o il lievito) che trasforma l'esistenza degli uomini e la realtà del cosmo.

La Parabola - Alice Baum (Prontuario della Bibbia): Genere retorico nel quale un determinato pensiero viene illustrato servendosi di un’immagine. Il termine greco parabolē usato nel Nuovo Testamento significa accostamento. Nelle parabole vengono accostate due realtà, una religiosa, la “metà oggettiva”, e una tratta dalla vita quotidiana dell’uomo, la “metà illustrativa”. Laddove la metà oggettiva, ciò che veramente la parabola vuol dire, rimane il più delle volte inespressa. L’uditore, o il lettore, la deve ricavare lui stesso dalla metà illustrativa. Così per esempio nella parabola del seme che spunta da solo (Mc 4,26-29) la metà oggettiva va completata con l’immagine: il regno di Dio viene in maniera così inarrestabile come la messe dopo la semina.
La parabola va distinta dall’allegoria. Mentre in un’allegoria ogni tratto dell’immagine ha un significato proprio, a ciò che è presentato nella parabola corrisponde un’unica realtà religiosa.
Nei discorsi di Gesù in parabola possiamo distinguere tre diverse forme. La parabola vera e propria si serve di un procedimento, o di un dato di fatto per esprimere una verità religiosa (parabola del granello di senape, la pecora smarrita e altre). La cosiddetta parabola è una storia inventata che racconta un caso singolo, talvolta fuori del comune (dieci vergini, Mt 25,1-13; figlio prodigo - o meglio: padre amorevole -, Lc 15,11- 32). Nel racconto esemplare non viene traslata un’immagine o una storia nella realtà religiosa, “ma un pensiero religioso-morale viene illustrato per mezzo di un caso singolo”. Non si tratta tanto della conoscenza della verità, quanto del retto agire (buon samaritano, Lc 10,30-37; fariseo e pubblicano, Lc 18,9-14). Le parabole di Gesù fanno parte dello  “strato originario della tradizione”. Per i suoi uditori non erano nulla di nuovo.
Le si trovano anche nell’Antico Testamento e nell’insegnamento rabbinico. Nuovo era il contenuto: il regno di Dio che viene e la pretesa di Gesù di esserne il portatore. Le parabole rispecchiano l’ambiente palestinese in maniera così chiara che non si può dubitare della loro autenticità. Una spiegazione obiettiva non è tuttavia possibile se non si tiene presente che le parabole hanno un triplice Sitz im Leben, vale a dire vanno comprese a partire da tre diverse situazioni: l’annuncio di Gesù, la vita della chiesa primitiva e la prospettiva teologica del singolo evangelista.

Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 Novembre 1987): L’instaurazione del regno di Dio nella storia dell’umanità è lo scopo della vocazione e della missione degli apostoli - e quindi della Chiesa - in tutto il mondo (cf. Mc 16,15; Mt 28,19-20). Gesù sapeva che questa missione, al pari della sua missione messianica, avrebbe incontrato e suscitato forti opposizioni. Fin dai giorni dell’invio nei primi esperimenti di collaborazione con lui, egli avvertiva gli apostoli: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).
Nel testo di Matteo è condensato anche ciò che Gesù avrebbe detto in seguito sulla sorte dei suoi missionari (cf. Mt 10,17-25); tema sul quale egli ritorna in uno degli ultimi discorsi polemici con “scribi e farisei”, ribadendo: “Ecco io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città ...” (Mt 23,34). Sorte che del resto era già toccata ai profeti e ad altri personaggi dell’antica alleanza, ai quali accenna il testo (cf. Mt 23,35). Ma Gesù dava ai suoi seguaci la sicurezza della durata dell’opera sua e loro: “et portae inferi non praevalebunt ...”.
Malgrado le opposizioni e contraddizioni che avrebbe conosciuto nel suo svolgersi storico, il regno di Dio, instaurato una volta per sempre nel mondo con la potenza di Dio stesso mediante il Vangelo e il mistero pasquale del Figlio, avrebbe sempre portato non solo i segni della sua passione e morte, ma anche il suggello della potenza divina, sfolgorata nella risurrezione. Lo avrebbe dimostrato la storia. Ma la certezza degli apostoli e di tutti i credenti è fondata sulla rivelazione del potere divino di Cristo, storico, escatologico ed eterno, sul quale il Concilio Vaticano II insegna: “Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cf. Fil 2, 8-9), entrò nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1 Cor 15, 27-28)” (Lumen Gentium, 36).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Il Regno che deve venire è il mondo come Dio lo sogna.” (Ermes Ronchi).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, questo sacramento della nostra fede
compia in noi ciò che esprime
e ci ottenga il possesso delle realtà eterne,
che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.