14 Ottobre 2019
Lunedì XXVIII Settimana T. O.
Rm 1,1-7; Salmo Responsoriale 97 (98); Lc 11,29-32
Colletta: Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Luca e Matteo ricordano l’episodio del “segno di Giona”, ma con una notevole differenza. L’evangelista Matteo “insiste su un fatto della vita del profeta [è stato tre giorni e tre notti nel ventre del cetaceo] per poter presentare la risurrezione di Gesù come segno qui inteso; Luca invece intende far emergere il significato parenetico, esortativo di tutta la vita di Giona. Per Luca Giona diventa un segno incarnato [v. 30], soprattutto se si guarda alla sua predicazione [cfr Giona 3)” (Carlo Ghidelli, Luca).
Giona, il profeta ricordato da Gesù, fu il profeta che indusse gli abitanti di Ninive a far penitenza.
Così come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione: Figlio dell’uomo è una espressione ebraica che significa “essere umano”. Nel libro del profeta Ezechiele sottolinea la debolezza dell’uomo di fronte Dio; nei testi di Ezechiele e Daniele designa anche un personaggio destinato a una missione importante; specie in Daniele 7,13-14 il figlio dell’uomo indica una figura messianica che annienterà i regni che opprimono Israele e affiderà il regno di Dio al “popolo dei santi dell’Altissimo che lo possederanno per sempre, in eterno” (Dn 7,18).
Nei Vangeli l’espressione Figlio dell’uomo designa Gesù e ricorre spesso; la comunità primitiva la trasmette quando ricorda le parole di Gesù sulla sua missione e sull’avvenire della sua opera, specialmente negli annunci della passione (cfr. Lc 8,31; 9,31; 10,33-34). Con essa esprime il senso del mistero che circonda la persona e la missione di Gesù, l’unicità della sua persona e anche la sua solidarietà con i suoi fratelli uomini. Il destino ciel Figlio dell’uomo coinvolge anche quello di tutta l’umanità, secondo la parabola del giudizio finale (cfr Mt 25,31-46)
La regina del Sud, attratta dalla sapienza del re Salomone, intraprese un lungo viaggio costellato di pericoli e di fatiche per recarsi a Gerusalemme. Anche “questa pagana si può annoverare tra coloro che hanno desiderato vedere ciò che i contemporanei di Gesù hanno visto [10,24]. E l’ha visto, di riflesso, come in uno specchio, nella sapienza di Salomone che costruì il tempio” (Silvano Fausti).
La generazione di Gesù non accoglie il Vangelo e non si converte, ascolta la Sapienza di Dio che fiorisce sulle labbra di Gesù, ma non allarga il cuore per accoglierla e uscire fuori dal peccaminoso liquame dove sguazza beatamente. Per salvarsi, e uscire indenni dal giudizio di Dio, vi è una cosa sola da fare: accogliere la Persona di Gesù, come segno della misericordia di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca 11,29-32: In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
Il segno di Giona - Angelico Poppi (Sinossi e Commento Esegetico-Spirituale dei Quattro Vangeli): Gesù, dopo aver confutato coloro che lo calunniavano di scacciare i demoni in virtù di Beelzebul (v. 15), ora, rivolgendosi alle folle, risponde a quelli che pretendevano da lui un “segno dal cielo” (v. 16). L’episodio è riportato da Marco (8,11-13) e due volte da Matteo (12,38-41; 16,1-2.4), la prima in dipendenza da Q come Luca, la seconda, lo desume da Marco.
vv. 29-30. Per Marco, Gesù rifiutò ai giudei ogni segno; secondo Matteo e Luca, offrì il segno di Giona, che costituiva però un giudizio di condanna e non una prova della sua identità messianica. Matteo (12,40) rapporta il “segno di Giona” alla permanenza del profeta nel ventre del pesce marino per tre giorni, con un’allusione alla sepoltura di Gesù, Luca (v. 30) lo riferisce a tutta la vicenda di Giona e in particolare alla sua predicazione, che condusse i niniviti alla conversione, procurando loro la salvezza. Come Giona costituì un segno per quei pagani, così il Figlio dell’uomo nel piano salvifico di Dio doveva esserlo per la “generazione” dei giudei increduli. Costoro, al contrario dei niniviti, rifiutarono l’occasione propizia, il kairós irripetibile della presenza del Cristo in mezzo a loro.
vv. 31-32 “La regina del Mezzogiorno” designa la regina di Saba ossia dello Jemen (cf. 1Re 10,1-13). Essa, come i niniviti (v. 32), apparteneva al mondo pagano, eppure si era mossa dal suo lontano paese per ascoltare la sapienza di Salomone; i niniviti si erano convertiti alla predicazione di Giona.
Invece i giudei non vollero accogliere il Messia, la Sapienza incarnata di Dio, il suo Inviato definitivo, superiore a Salamone e a Giona. Matteo inverte i detti relativi alla regina di Saba e agli uomini di Ninive, per collegare direttamente “il segno di Giona”, menzionato nel v. 40, con la conversione degli abitanti di Ninive mediante la predicazione del profeta (v. 41).
Il Figlio dell’uomo - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 29 Aprile 1987): Il titolo “Figlio dell’uomo” proviene all’Antico Testamento dal Libro del profeta Daniele. Ecco il testo che descrive una visione notturna del profeta: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”(Dn 7,13-14).
E quando il profeta chiede la spiegazione di questa visione, riceve la risposta seguente: “I santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per secoli e secoli ... allora il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni che sono sotto il cielo, saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Dn 7,18.27). Il testo di Daniele riguarda una persona singola e il popolo. Notiamo subito che ciò che si riferisce alla persona del Figlio dell’uomo si ritrova nelle parole dell’angelo nell’annunciazione a Maria: “regnerà per sempre ... e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33).
Quando Gesù chiama se stesso “Figlio dell’uomo” usa un’espressione proveniente dalla tradizione canonica dell’Antico Testamento e presente anche negli apocrifi giudaici. Occorre però notare che l’espressione “Figlio dell’uomo” (ben-adam) era diventata nell’aramaico dei tempi di Gesù un’espressione indicante semplicemente “uomo” (“bar-enas”). Gesù, perciò, chiamando se stesso “figlio dell’uomo”, riuscì quasi a nascondere dietro il velo del significato comune il significato messianico che la parola aveva nell’insegnamento profetico. Non a caso, tuttavia, se enunciazioni sul “Figlio dell’uomo” appaiono specialmente nel contesto della vita terrena e della passione di Cristo, non ne mancano anche in riferimento alla sua elevazione escatologica.
Carlo Ghidelli (Luca): La regina del Mezzogiorno... Gli uomini di Ninive: come aveva predetto Simeone (2,34) Gesù è un segno di fronte al quale l’umanità si divide in due parti. Per questo, qui, si parla di condanna, come prima si parlava di beatitudine (v. 28). Questa generazione è chiamata malvagia (ponerà) solo perché non ha voluto prestare ascolto alla Parola (Mt dirà anche « adultera » per sottolineare con linguaggio veterotestamentario la dimensione religiosa di infedeltà in questo rifiuto: 12,39). Un tratto di spiccato universalismo, tipico in Le, lo troviamo nel fatto che la minaccia di condanna è messa in bocca alla regina del Mezzogiorno (cfr 1Re 10,1-10) e agli abitanti di Ninive (cfr Gi 3): alla fine dei tempi gli uomini non si distingueranno per altro se non per la loro adesione a Gesù.
La risurrezione di Gesù costituisce, ovviamente (si noti anche il futuro sarà del v. 30), il segno per eccellenza, la conferma massima alla autenticità e alla decisività della missione di Gesù in ordine alla nostra salvezza. E questo è confermato, tra l’altro, dal fatto che Le scrive dopo la risurrezione e alla luce della Pentecoste! Ma qui egli insiste nell’inglobare anche quel segno finale nella totalità della vita di Gesù.
La fede non dipende dai miracoli - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): I giudei esigono un grande segno per convertirsi e credere a Gesù; quelli che faceva in continuazione per loro non erano sufficienti. Questo dimostra, ancora una volta, che la fede non dipende dai miracoli, ma viceversa. Anzi, l’uomo attuale diffida dei miracoli.
È certo che i miracoli di Dio invitano a credere, ma non danno automaticamente la fede. Perché questa non è la conclusione inevitabile di un sillogismo o di un ragionamento, e nemmeno di un’evidenza; senza che per questo smetta di essere «ragionevole» credere e fidarsi di Dio. Però la fede è dono del suo Spirito al cuore dell’uomo sincero.
Alcuni si chiedono a volte perché Dio non dà agli atei segni schiaccianti, perché non scrive il suo nome in cielo con tanta chiarezza da rendere impossibile rifiutarsi di credere. Non lo fa per la stessa ragione per cui Cristo non volle offrire portenti, né in questa occasione, né al tentatore nel deserto, né ai suoi nemici quando moriva sulla croce. Questi richiami pubblicitari non servirebbero a niente, al massimo a suscitare un consenso forzoso, cioè una falsa fede.
«Non scendesti dalla croce, Signore, perché non volevi fare gli uomini schiavi con un portento, perché desideravi un amore libero e non quello che nasce da un miracolo. Avevi sete d’amore volontario, non di incanto servile/davanti al potere, che ispira timore agli schiavi» (F. Dostoevskij, La leggenda del grande inquisitore). Nel suo prezioso libro Pratica di amar Gesù Cristo, sant’Alfonso Maria de’ Liguori dice che Dio vuole una risposta dello stesso livello della sua offerta, cioè d’amore libero; per questo Cristo non obbliga l’uomo con un segno schiacciante, ma preferisce guadagnarsi il suo amore morendo per lui. Gesù stesso, nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione, è il grande segno dell’amore di Dio per noi; se non capiamo questo, la fede è impossibile, per quanti miracoli si possano accumulare davanti ai nostri occhi.
Il vero credente non chiede, né ha bisogno di miracoli, per credere e convertirsi a Dio. Gli basta vedere l’ubbidienza incondizionata e l’amore senza misura di Gesù.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (Papa Francesco).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Padre santo e misericordioso,
che ci hai nutriti con il corpo e il sangue del tuo Figlio,
per questa partecipazione al suo sacrificio
donaci di comunicare alla sua stessa vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
che ci hai nutriti con il corpo e il sangue del tuo Figlio,
per questa partecipazione al suo sacrificio
donaci di comunicare alla sua stessa vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.