28 Settembre 2019
Sabato XXV Settimana T. O.
Zc 2,5-9.14-15a; Sal. Resp. Ger 31,10-12b.13; Lc 9,43b-45
Colletta: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Gli Evangelisti presentano la missione di Gesù alla luce del progetto di salvezza di Dio. Un progetto che necessariamente deve passare attraverso la croce e la morte del Figlio di Dio. Un discorso che risulta ostico agli stessi Apostoli. È da sottolineare il verbo consegnare. Esso indica il progetto che Dio ha pensato per gli uomini: «per la loro salvezza Dio “consegna” Gesù nelle loro mani. Gesù, infatti, non è stato tradito ... solo da Giuda o dagli Anziani, ma è stato “consegnato” a morte da Dio stesso. Gesù non è stato ucciso [nel senso teologico] dai contemporanei [anche se storicamente essi hanno preso parte al consumarsi di questa morte], ma dalle “mani” di ogni uomo [= dai suoi peccati] alle quali Dio ha consegnato Gesù» (Don Primo Gironi).
Dal Vangelo secondo Luca 9,43b-45: In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Gesù disse ai suoi discepoli… - Carlo Ghidelli (Luca): Il secondo annunzio della passione (vv. 43b-45) è seguito da due episodi, quasi insignificanti, che tuttavia danno a Gesù l’occasione di dichiarare che, nel regno dei cieli (cioè nella concezione evangelica della vita) la vera grandezza consiste nell’umile servizio e non negli onori o nell’avere la precedenza sugli altri (vv. 46-48) e che essa è assicurata non a coloro che occupano una posizione ufficiale, anche all’interno del regno stesso, ma a quelli che assumono volentieri atteggiamenti di servizio e di amore fraterno (vv. 49-50).
Fate molta attenzione a queste parole...: così è introdotta la seconda predizione della passione, che insieme alla terza si caratterizza per il fatto che parla solo di passione-morte, senza un esplicito accenno alla risurrezione-gloria (cfr anche 18,34). Qui Gesù insiste, sulla linea della predicazione profetica (cfr per es. Gr 9,19), sul dovere della apertura personale (il T. Greco si riferisce non alle orecchie del corpo ma all’ascolto del cuore: cfr Is 9,9s in relazione ad At 28,26s). Tale ascolto richiede anche un atto di coraggio, perché si tratta non solo di accogliere un messaggio ma di seguire Gesù sulla via della croce. Il fatto che Luca qui accenna solo alla passione-morte di Gesù ci fa pensare che, se anche egli non ha voluto scindere i due momenti, quello catabatico e quello anabatico, della Pasqua di Gesù, tuttavia ha voluto dire che l’accettazione della croce e della morte costituisce un momento provvisorio, ma indispensabile, sulla via che porta alla vita e alla gloria (cfr 9,31).
Ma essi non compresero: si capisce, in parte almeno, la reazione degli apostoli: essi non capirono e temevano di interrogarlo su questa parola, tanto più che dal modo con il quale Gesù parla, sembra che si tratti di un avvenimento necessario, quasi ineluttabile (è la forza del verbo greco mellein) e di un fatto imminente (il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato). Cfr anche Lc 18,34; Mr 9,32; Gv 2,22; 20,9. Invece Mt 17,23 non parla di incomprensione ma di tristezza.
Lo scandalo della croce - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): «In quel tempo, mentre tutti erano pieni di meraviglia per tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: “Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini”». È la seconda predizione della sua passione e morte che Cristo fa nel vangelo di Luca; questa volta senza menzionare espressamente la risurrezione. Gesù applica a se stesso il titolo messianico di « Figlio dell’uomo » (Dn 7,13), che egli collega alla figura del servo sofferente del Signore, secondo i canti di Isaia. Ieri abbiamo visto il primo annuncio della passione; ma tra il testo di ieri e quello di oggi si sono succeduti una ventina di versetti: condizioni per la sequela di Cristo, la sua trasfigurazione e la guarigione di un indemoniato epilettico. Le parole dell’inizio si riferiscono alla meraviglia che quest’ultimo portento di Gesù aveva destato tra la gente: «Mentre erano tutti pieni di meraviglia per tutte le cose che faceva...». Quindi è proprio in questo momento di successo che Cristo predice per la seconda volta la sua passione e morte. Perché? Per cominciare a preparare i discepoli a superare lo sconvolgente scandalo della croce sulla quale morirà il messia. Vista con gli occhi della fede, questa sconfitta ignominiosa è la sua grande vittoria sul male e la morte.
Ma, sfortunatamente, i discepoli non comprendevano questo linguaggio; per loro restava così misterioso, che non ne comprendevano il senso. Tuttavia, intuivano qualcosa di tremendo, poiché «avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento», cioè su che strano tipo di messia egli fosse. A volte l’atteggiamento degli apostoli è anche il nostro; per superarlo dobbiamo continuare ad approfondire la figura e la personalità di Cristo, rivolgendogli noi stessi delle domande perché ci riveli il suo mistero. Così daremo una risposta migliore alla sua domanda personale di ieri: Chi sono io per te?
La croce, segno del cristiano J. Audusseau e X. Léon-Dufour: 1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11,8), l’Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10,33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23,34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26).
2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3,1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce» (Fil 3,18).
3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l’uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6,6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull’esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2,1-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (1Piet 2,21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l’apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai ch’io mi glori d’altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6, 14).
Il significato teologico della croce - Franco Giulio Brambilla: A partire dal senso che Gesù ha attribuito alla sua morte, i Vangeli sinottici, Paolo e il Vangelo di Giovanni non faranno altro che rileggere questo significato ricuperando le grandi immagini dell’Antico Testamento: la morte di Gesù è la “redenzione”, il “sacrificio”, il “riscatto”. La morte sulla croce manifesta un’eccedenza che rivela una Verità più profonda di ciò che appare. Sono tre gli aspetti che definiscono il senso profondo della morte in croce: essa rivela definitivamente chi è Gesù, chi è Dio e il destino dell’uomo.
Anzitutto, la morte di croce dice chi è Gesù: egli si rivela come colui che e completamente rivolto verso il Padre (cfr. Gv 1,18). L’abbandono fiducioso a Dio sulla croce dice che Cristo si definisce per la sua relazione al Padre: egli è il Figlio. Soprattutto nel momento in cui sembra messa in discussione la sua pretesa, la sua missione, la connessione tra il suo messaggio e la sua persona, egli non si fa valere neppure col pretesto di essere il profeta ultimo, ma si affida in radicale abbandono al Padre suo, assumendo la violenza e il rifiuto peccaminoso degli uomini. Il rifiuto di Dio si colloca così nel cuore della sua manifestazione. Ciò, però, non sconvolge il disegno di Dio, ma Dio assume, perdona, salva dal di dentro la stessa negazione degli uomini. Dio non scambia il peccato degli uomini con l’innocenza di Cristo. Dio, il Padre, assume questo rifiuto, lo porta su di sé; mandando il Figlio, viene egli stesso come il Padre suo, e lo stabilisce come luogo del perdono e della riconciliazione.
In secondo luogo, la morte di croce manifesta e comunica chi è DIO. La verità di Dio è la verità stessa della carità di Dio. La dedizione insuperabile e senza condizioni con cui Gesù si affida al Padre rivela che Dio è colui che è rivolto all’uomo, a cui comunica la sua vita stessa, donandogli il suo bene più prezioso: il Figlio suo (Rm 8,32). La struggente attesa di Israele di vedere il volto di Dio, di entrare nell’intimità della sua alleanza, nella Croce è svelata sul volto sfigurato di Gesù morente, proprio nel momento e nell’evento che è il frutto del suo più radicale rifiuto.
Infine, la donazione di Dio a Gesù e in Gesù agli uomini è il “luogo” del perdono, della riconciliazione, che supera dal di dentro lo stesso rifiuto di Dio e tutte le forme che lo rappresentano, la non comunione, l’abbandono, il tradimento, l’inimicizia, la violenza e, alla fine, la stessa morte. Gesù muore per tutti, nel duplice senso di “a causa” e di “a vantaggio” del peccato degli uomini, perché portandolo in sé lo riconcilia nel luogo stesso della sua negazione. Forse solo qui può trovare risposta la domanda: perché la Passione e la Croce di Gesù? Perché una morte così? La sofferenza, il dolore, la Croce, sono il prodotto del rifiuto di Dio, la conseguenza della sua negazione da parte della libertà umana. E il Padre in Cristo vi passa attraverso (e lo Spirito li tiene uniti nella massima separazione), supera il peccato dal di dentro, ricupera la libertà nel suo punto più intimo. Dio non salva automaticamente, non guarisce magicamente. Egli ricupera la libertà facendola ritornare a ritroso, ed è noto quanto sia oneroso ricostruire una libertà ferita. Fin nel cuore dell’uomo, fin nelle profondità di tutta l’umanità, dal primo uomo fino alla fine dei tempi.
Amare la Croce - Amare la Croce è fare memoria dell’amore misericordioso di Dio, “che ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16); amare la Croce è fare memoria dell’amore misericordioso del Figlio di Dio che “è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8); amare la Croce è aprire la propria vita all’azione vivificante dello Spirito Santo che “attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rom 8,16). Amare la Croce è entrare nel mistero della Santa e Indivisa Trinità, perché soltanto la Croce ci fa discepoli di Cristo, lui che è la Via che ci conduce al Padre (cfr. Gv 14,6), l’orante che intercede presso il Padre perché doni al mondo il Consolatore (cfr. Gv 14,16). Amare la Croce non è soltanto attestazione di amore verso Gesù, agnello innocente immolato per la salvezza dell’uomo, ma è soprattutto accogliere nell’anima il Regno di Dio, è far esplodere di gioia il cuore, allargare la bocca al canto di lode. Dov’è tristezza, lutto e pianto, la Croce porta la pace e la consolazione di Dio, dov’è dolore e sofferenza, la Croce dona la pazienza e la perfetta immolazione, dov’è il peccato, la stanchezza, l’infedeltà, la Croce dona la luce della grazia, il profumo della conversione, l’allegrezza della penitenza, dov’è la morte, la Croce porta la vita. Ricusare la Croce è follia, ricusare la Croce è rifiutare l’amore di Dio, ricusare la Croce è rigettare la salvezza, ricusare la Croce significa spalancare la vita ai tormenti della disperazione, ricusare la Croce significa morire senza il consolante conforto dell’intercessione di quel Sangue che è stato sparso sulla Croce per la salvezza dell’uomo.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Amare la Croce è fare memoria dell’amore misericordioso di Dio.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Guida e sostieni, Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.