14 SETTEMBRE 2019

Sabato XXIII Settimana T. O. - Anno C

Esaltazione della Santa Croce - Festa

Nm 21,4b-9 oppure Fil 2,6-11; Sal 77 (78); Gv 3,13-17

Dal Martirologio: Festa della esaltazione della Santa Croce, che, il giorno dopo la dedicazione della basilica della Risurrezione eretta sul sepolcro di Cristo, viene esaltata e onorata come trofeo della sua vittoria pasquale e segno che apparirà in cielo ad annunciare a tutti la seconda venuta del Signore.

Colletta: O Padre, che hai voluto salvare gli uomini con la Croce del Cristo tuo Figlio, concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra il suo mistero di amore, di godere in cielo i frutti della sua redenzione. Per il nostro Signore Gesù Cristo..

La Croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria, ed è il segno del Figlio dell’uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell’esaltazione della Croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane, costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo. In questo giorno solenne la Croce viene esaltata e onorata come trofeo della vittoria pasquale di Cristo sulla morte e sul peccato: la Croce è la chiave che ha spalancato le porte del Paradiso che il peccato di Adamo e di Eva aveva sbarrato.

Dal Vangelo secondo Gv 3,13-17: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».   

…. come Mosè innalzò il serpente nel deserto - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Come Mosè innalzò il serpente nel deserto; l’evangelista afferma una nuova verità che viene a integrare la prima; tra le due affermazioni non vi è un nesso logico stretto, ma piuttosto un richiamo vicendevole. Giovanni, dopo aver parlato della nascita dall’alto che si ottiene per mezzo dall’acqua e dello Spirito (battesimo), passa a indicare per mezzo di quale prezzo l’uomo ha ricevuto tale dono. Le dichiarazioni di Cristo usano un linguaggio allusivo pieno di dottrina (innalzare). «Mosè innalzò il serpente nel deserto»; si richiama l’episodio del serpente di bronzo elevato come un vessillo da Mosè, durante la peregrinazione del popolo eletto nel deserto, per la guarigione di quegli israeliti che erano stati morsi dai serpenti (cf. Numeri, 21,4-9; Sapienza, 16,6-7). Così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo; «innalzare» (ὑψόω) è il verbo scelto dal quarto evangelista per indicare la crocifissione di Gesù (cf. Giov., 8,26; 12,32,34); il verbo tuttavia insinua anche l’idea della glorificazione del Figlio dell’uomo, cioè dell’elevazione di Cristo alla gloria presso il Padre (cf. Atti, 2,33; 5,31). Il libro della Sapienza afferma che il serpente elevato da Mosè nel deserto rappresenta «un segno di salvezza» (σύμβολον σωτηρίαςSapienza, 16,6-7); Gesù applica a sé questo segno salvifico. Non si può precisare fino nei più minuti particolari il parallelo che corre tra il serpente del deserto (tipo) e Gesù innalzato sulla croce (anti-tipo). Per avere una corrispondenza tra il serpente del deserto e Gesù innalzato sulla croce basta pensare che i due fatti sono considerati come segni apportatori di salvezza. Come si vede chiaramente dal testo, l’annunzio della passione è fatto in termini ancora velati; più avanti Gesù parlerà con un linguaggio più esplicito ed anche più crudo intorno al destino che lo attende; tale linguaggio richiama le predizioni della passione, riferite dai sinottici. Affinché ognuno che credeper mezzo di lui abbia la vita eterna; altri traducono: «affinché ognuno che crede in lui abbia la vita eterna»; preferiamo la versione indicata, perché più rispondente al contesto in cui si trova. La croce appare come il mezzo della rigenerazione e della salvezza dell’uomo. È necessario credere al sacrificio della croce come anche all’efficacia della nascita per mezzo dell’acqua e dello Spirito. Le due verità si trovano giustapposte nel presente discorso; la loro vicinanza dimostra che l’efficacia del battesimo (nascita dall’alto) proviene dal sacrificio della croce.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui - Felipe F. Ramos: Gesù non è venuto per giudicare il mondo. Naturalmente, quando si parla del giudizio in questo modo, si intende un giudizio nel senso di condanna. Gesù è venuto come salvatore. L’uomo che lo accetta, mediante la fede, così come egli è in realtà, non sarà condannato. Insieme con questa affermazione fondamentale, occorre anche ricordare che Gesù è venuto per giudicare (Gv 9,39), perché il non credente, colui che non lo accetta come il rivelatore, il Figlio di Dio, il Figlio dell’uomo, si condanna rigettando la salvezza che gli è offerta. Qui è necessario notare la grande novità di cui ci parla Giovanni, novità che sarebbe un grave scandalo per coloro che leggessero il suo vangelo con mentalità giudaica. Mi riferisco all’attualità o presenza del giudizio e anche ai modi o ai criteri secondo i quali avviene. Secondo la mentalità giudaica, il giudizio avverrà alla fine dei tempi, quando tutti gli uomini senza eccezione, vivi e morti, saranno riuniti davanti al tribunale divino. È il concetto prevalente e quasi unico che abbiamo anche nei vangeli sinottici. Aspetto di futurità che continua a essere valido (lo stesso Giovanni, in altre occasioni, parlerà di «ultimo giorno»). Il carattere particolare e la peculiarità del quarto vangelo è però, come abbiamo già detto, che questo avvenimento futuro è anticipato al momento presente (nella vocazione escatologica già attuata, anche se non definitiva).

La croce, segno del cristiano - J. Audusseau e X. Lèon-Dufour: 1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11,8), l’Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10,33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23,34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26). 2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3,1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce» (Fil 3, 18). 3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l’uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6,6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull’esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2,1-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (1Piet 2,21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l’apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6,6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai che io mi glori d’altro all’infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6,14). 

Gesù è morto in croce per i nostri peccati - Anton Wurzinger - La correlazione intrinseca fra evento della croce e salvezza fu elaborata soltanto da Paolo. Servendosi della dizione giunta fino a lui, egli ha creato, insieme a Giovanni, la teologia della croce neotestamentaria. Egli fa del messaggio della croce il contenuto centrale della sua predicazione (1Cor 1,23). Anche per Paolo morte e risurrezione sono strettamente connesse. Soltanto nell’evento salvifico della risurrezione, si dischiude al credente il senso della morte di Gesù (1Cor 15,14.17). L’intero cammino salvifico di Gesù opera l’intera salvezza: Gesù Cristo è stato “consegnano” (alla morte) e risuscitato a causa dei nostri peccati e perché noi fossimo salvati (Rm 4,25). Nonostante questa relazione di fondo con la risurrezione, l’evento della croce, in Paolo, è maggiormente collegato all’incarnazione di Gesù. Questa appare già, per così dire, alla luce della croce. L’inno di Fil 2,6ss lo mette in evidenza. L’essere uomo di Gesù è in quanto tale rinuncia a ciò che è proprio, alienazione di se stesso: “... non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio …” (v. 6). Nel dono e nel sacrificio per noi (Rm 5,15b; 2Tm l,9s) ‘“umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e alla morte di croce” (v. 8). Per Paolo questo essere-uomo giunge, nella morte di croce, al suo compimento e alla sua meta. L’essere uomo di Gesù che porta alla croce  rivela al tempo stesso l’agire di Dio. Accettando la “condizione di servo” (v. 7), Gesù assume su di sé il destino del servo del Signore. La “dimostrazione dell’amore di Dio” (Rm 5,8) si cambia nell’atto d’ubbidienza di Gesù (5,18). Secondo la sua unità intrinseca, la sofferenza e la morte di Cristo sono l’offerta di sé che l’amore di Dio realizza nell’amore di Cristo. L’unità intrinseca di incarnazione, croce e salvezza viene espressa in diversi modi. La formula sintetica recita: “Per noi” (1Ts 5,10), oppure “per amore del quale (= del fratello)” (Rm 14,15). Il senso profondo della formula è: “per amore”, “in favore”. Concretamente questa affermazione significa: Cristo è morto per i nostri peccati, per le nostre trasgressioni (Rm 4,25; 1Cor 15,3; Gal 1,4). Un altro concetto fondamentale è quello dell’espiazione. Il passo centrale è Rm 3,25: “Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione…”. Cristo Gesù è lo strumento d’espiazione attraverso il quale Dio ha rimesso il peccato. In questo senso Cristo è anche l’agnello pasquale: sacrificio in espiazione dei peccati (1Cor 5,7b), il sacrificio dell’alleanza (1Cor 11,24). L’espiazione ci ha riconciliati con Dio e ci ha aperto la “salvezza” (2Cor 5,18). Con linguaggio paolino si può dire che tutto ciò significa che nell’offerta di sé attuata da Cristo si compie la giustizia di Dio, per il fatto che Gesù Cristo prende su di sé, ubbidiente, la colpa per i peccati degli uomini; fatto - per così dire - peccato per noi (2Cor 5,21), la sopporta fino alla morte, annullando così il debito e il peccato dell’uomo.

Amare la Croce - Amare la Croce è fare memoria dell’amore misericordioso di Dio, “che ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16); amare la Croce è fare memoria dell’amore misericordioso del Figlio di Dio che “è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8); amare la Croce è aprire la propria vita all’azione vivificante dello Spirito Santo che “attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rom 8,16). Amare la Croce è entrare nel mistero della Santa e Indivisa Trinità, perché soltanto la Croce ci fa discepoli di Cristo, lui che è la Via che ci conduce al Padre (cfr. Gv 14,6), l’orante che intercede presso il Padre perché doni al mondo il Consolatore (cfr. Gv 14,16). Amare la Croce non è soltanto attestazione di amore verso Gesù, agnello innocente immolato per la salvezza dell’uomo, ma è soprattutto accogliere nell’anima il Regno di Dio, è far esplodere di gioia il cuore, allargare la bocca al canto di lode. Dov’è tristezza, lutto e pianto, la Croce porta la pace e la consolazione di Dio, dov’è dolore e sofferenza, la Croce dona la pazienza e la perfetta immolazione, dov’è il peccato, la stanchezza, l’infedeltà, la Croce dona la luce della grazia, il profumo della conversione, l’allegrezza della penitenza, dov’è la morte, la Croce porta la vita. Ricusare la Croce è follia, ricusare la Croce è rifiutare l’amore di Dio, ricusare la Croce è rigettare la salvezza, ricusare la Croce significa spalancare la vita ai tormenti della disperazione, ricusare la Croce significa morire senza il consolante conforto dell’intercessione di quel Sangue che è stato sparso sulla Croce per la salvezza dell’uomo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore Gesù Cristo, che ci hai nutriti alla mensa eucaristica,
fa’ che il tuo popolo, redento e rinnovato dal sacrificio della Croce,
giunga alla gloria della risurrezione.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.