13 SETTEMBRE 2019
Venerdì XXIII Settimana T. O. - Anno C
S. GIOVANNI CRISOSTOMO, VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA
1Tm 1,1-2.12-14; Sal 15 (16); Lc 6,39-42
Dal Martirologio: Memoria di san Giovanni, vescovo di Costantinopoli e dottore della Chiesa, che, nato ad Antiochia, ordinato sacerdote, meritò per la sua sublime eloquenza il titolo di Crisostomo e, eletto vescovo di quella sede, si mostrò ottimo pastore e maestro di fede. Condannato dai suoi nemici all’esilio, ne fu richiamato per decreto del papa sant’Innocenzo I e, durante il viaggio di ritorno, subendo molti maltrattamenti da parte dei soldati di guardia, il 14 settembre, rese l’anima a Dio presso Gumenek nel Ponto, nell’odierna Turchia.
Colletta: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuo figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Non ha senso aggiungere un commento alle parole di Gesù, il suo insegnamento è così chiaro che non ammette repliche. Ma forse qualcosa possiamo aggiungere, così per mettere in evidenza qualcosa, in punta di piedi. Innanzitutto, due ciechi…, sì, in questo povero mondo molti dicono di vedere, si autoproclamano guide, condottieri, e il secolo passato ha avuto tante manifestazioni di simili nefandi personaggi ... quanti lutti, quante tragedie. Una catastrofe immane. Ma se a tale calamità è stato posto come rimedio la ricostruzione, e il riagguantare la dignità di popoli liberi, sovrani, diversamente c’è poco rimedio quando questi personaggi si autoproclamano maestri e si vantano di essere al di sopra di Dio, l’unico maestro. In questo caso, spesso, i danni spirituali sono irreparabili. La ricostruzione una mera chimera. Ricordiamo i tanti cristiani, europei e no, che pigiati sotto il balcone sul quale appariva Sai Baba, travestito da Gesù bambino, gli cantavano tu scendi dalle stelle … povero sant’Alfonso Maria de’ Liguori!
L’ultima nota è l’ipocrisia. Qui siamo sulle sabbie mobili. Forse ai tempi di Gesù era facile stanare l’ipocrita, snidarlo e costringerlo a buttare la maschera, oggi è quasi impossibile perché sembra che il mondo intero sia sprofondato in questo malanno. Qualcuno subito penserà alla politica, e non va tanto lontano, ma guardiamo anche in casa nostra. In tempi non molti lontani Joseph Ratzinger, oggi papa emerito, ebbe a dire: “Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!” (Via Crucis, Colosseo, 25 Marzo 2005).
In questa cornice, ritornando alle prime battute, dobbiamo ammettere che l’insegnamento di Gesù è chiaro, non ammette né commenti né repliche, ma oltremodo è terribilmente attuale!
Dal Vangelo secondo Luca 6,39-42: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Gesù disse - Gino Rocca (Seguendo Gesù con Luca): Ci troviamo ancora nel discorso della montagna. Dopo avere illustrato i punti base del suo messaggio totalmente incentrato sul comandamento dell’amore del prossimo, Gesù passa a tratteggiare i lineamenti del suo vero discepolo attraverso tre piccole parabole prese dalla vita quotidiana: quella del cieco che guida un altro cieco; quella della pagliuzza e della trave nell’occhio; quella dell’albero buono e dell’albero cattivo. Con la prima Gesù, partendo dal presupposto che il suo discepolo è chiamato a diventare una guida per i suoi fratelli, vuole dirci che per essere tale è indispensabile che egli sia unito al suo Maestro (Gesù) e quindi lasciarsi guidare da Lui in modo da formare con Lui una cosa sola. Solo così egli potrà essere una vera guida. Non potrebbe al contrario essere una vera guida colui il quale pretendesse di agire da solo, non facendo riferimento a Gesù; sarebbe come un cieco che pretende di guidare un altro cieco. Non potrebbe possedere la vera luce, perché questa proviene solo da Gesù. Rimanendo sempre nell’argomento, Gesù passa poi a spiegare il modo con cui il discepolo, chiamato ad essere una vera guida, dovrebbe cercare di correggere il proprio fratello. Gesù vuole dare a questo suo discepolo una lezione di umiltà riguardante appunto il modo con cui correggere i suoi fratelli. Lo invita a mettere da parte ogni presunzione di superiorità, ogni atteggiamento di orgoglio, autosufficienza e giudizio nei confronti del fratello. Gesù chiede al suo discepolo di essere il primo a togliere da se stesso i difetti che egli vede nell’altro.
Soltanto con questa umiltà avrà veramente la luce per aiutarlo a mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù.
Gesù disse ai suoi discepoli una parabola - Hugues Cousin (vangelo di Luca): Luca segnala improvvisamente al suo lettore che si trova di fronte a una «parabola»: il termine invita a cercare il senso delle parole senza fermarsi alle immagini. Cominciamo col ritrovarvi il rifiuto di giudicare gli altri, poiché diversi detti isolati di Gesù sono stati raggruppati per associazione di idee. La frattura di stile provocata dal v. 39a è significativa: essa serve a dimostrare il mutamento dei personaggi verso i quali il discepolo deve mostrarsi benevolo; dopo il nemico, ecco il fratello, l’altro all’interno della comunità ecclesiale. Ma attenzione! Non giudicare non significa mettere tutto sullo stesso piano (vv. 39-42)! Molti cristiani sono ben lontani dall’aver raggiunto l’età adulta nell’ambito della vita cristiana (cfr. 1Cor 3,1-3); essendo ciechi, essi non possono pretendere di guidare gli altri verso la piena luce della fede, né di criticarli. L’esistenza nella fede è una lunga preparazione alla perfezione (lasciarsi «ben formare»); alla fine, il discepolo «sarà come il maestro», il Cristo, il quale era convinto che chiunque poteva convertirsi, mutare il corso della propria vita. Che ognuno si formi alla scuola di Gesù, la cui misericordia verso i peccatori lo autorizzava a guidare gli altri. D’altra parte è da ipocriti, da commedianti, esaltare una strada giusta che nemmeno noi percorriamo. Soltanto una conversione perseguita incessantemente, che sfocia in un comportamento autentico, fa uscire dalla cecità e autorizza a permettersi di correggere il comportamento degli altri.
Un discepolo non è più del maestro- Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Non v’è discepolo al di sopra del maestro; in Matteo l’affermazione ricorre in altro contesto ed ha un senso differente da quello inteso da Luca nel passo attuale; queste parole in Mt.,10, 24-25 significano che la sorte del discepolo di Cristo non può essere diversa da quella riservata al Maestro; perciò come Gesù fu osteggiato e perseguitato, così anche i suoi discepoli dovranno subire ostilità e persecuzioni. L’affermazione di Luca, presa in senso assoluto, significa che ogni discepolo, anche quando avrà raggiunto la sua perfezione, non supererà il Maestro; tuttavia non si vede con chiarezza il nesso che lega questo vers. con il contesto. Il senso dell’affermazione sembra essere il seguente: chi vuol esser la guida degli altri deve essere perfetto, perché nessun discepolo è superiore al maestro; il discepolo quindi deve raggiungere la perfezione del maestro poiché soltanto chi è maestro ha l’esatta conoscenza delle cose e, di conseguenza, può essere una guida illuminata.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave...: Giovanni Paolo II (Omelia, 25 Febbraio 2001): Con queste parole Gesù ci fornisce un’utile indicazione, che potremmo dire “pastorale”. La tentazione spesso è, purtroppo, quella di condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Come allora rendersi conto se il proprio occhio è libero o se è impedito da una trave? Gesù risponde: “Ogni albero si riconosce dal suo frutto” (Lc 6,44). Tale sano discernimento è dono del Signore, e va implorato con preghiera incessante. È al tempo stesso conquista personale che domanda umiltà e pazienza, capacità di ascolto e sforzo di comprensione degli altri. Queste caratteristiche debbono essere di ogni vero discepolo e comportano impegno nonché spirito di sacrificio. Se talora può sembrare arduo seguire il Signore su questo cammino, ricorriamo al sostegno e all’intercessione di Maria. Ci aiuti Lei, la Vergine del silenzio e dell’ascolto, ad essere coraggiosi testimoni e annunciatori del Vangelo; ci faccia guardare agli altri con occhi di comprensione e di bontà; ci ottenga il dono di una saggia prudenza pastorale.
Il pericolo permanente dell’ipocrisia - Roberto Tufariello (Ipocrita, Schede Bibliche Pastorali, Vol. IV): L’accusa di ipocrisia, nel NT, equivale alla denuncia di una frattura tra l’esterno e l’interno, di una disarmonia tra il cuore e le labbra; tale frattura o disarmonia non si riduce solo al vizio della simulazione, ma corrisponde a un conflitto che si svolge nell’intimo della persona e che si conclude con un rifiuto decisivo in materia di fede. In questo senso s. Paolo considera «ipocrisia» il fatto che Pietro e i giudeo-cristiani non abbiano voluto sedere a tavola con i cristiani venuti dal paganesimo. Questo contegno infatti, facendo sembrare che la legge sia ancora in vigore, è un allontanamento dalla verità del vangelo, la verità della salvezza mediante la fede (Gal 2,11-14). C’è in Pietro un conflitto tra l’interno e l’esterno, e ne scaturisce un comportamento che, secondo Paolo, è una finzione che si oppone alla verità. Il comportamento dei cristiani deve concordare con la loro coscienza illuminata (Gal 2,16). L’episodio inoltre dimostra che se i farisei sono stati l’esempio tipico dell’ipocrisia, questa però è un pericolo permanente anche per i cristiani. Già la tradizione sinottica estendeva alla folla l’accusa di ipocrisia (Lc 12,56; 13,15), e Giovanni intendeva designare col termine di «giudei» gli increduli di tutti i tempi, ciechi e ipocriti come i capi religiosi di Israele. In particolare, il vangelo di Matteo, con i frequenti richiami all’ipocrisia, vuol mettere in guardia la comunità cristiana da questo comportamento che consiste nel cercare l’approvazione degli uomini e non quella di Dio. Anche s. Pietro raccomanda ai fedeli di vivere nella semplicità, come neonati, sapendo che l’ipocrisia costituirà per essi una pericolosa tentazione (1Pt 2,1-3). Per tutta la comunità dei credenti valgono le ammonizioni che l’apostolo Paolo rivolge ai suoi connazionali, i quali possiedono la conoscenza della volontà divina, sono orgogliosi della legge e pretendono di esserne maestri presso gli altri; ma, non praticando quanto conoscono, cadono nell’ipocrisia: «Ebbene, come mai tu che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l’adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?» (Rm 2,21-23). Si tratta di una chiara dissociazione tra il dire e il fare, tra le proprie proclamazioni e la prassi.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Padre, che nutri e rinnovi i tuoi fedeli
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.
alla mensa della parola e del pane di vita,
per questi doni del tuo Figlio
aiutaci a progredire costantemente nella fede,
per divenire partecipi della sua vita immortale.
Per Cristo nostro Signore.