31 AGOSTO 2019
Sabato XXI Settimana T. O.
1Ts 4,9-11; Sal 97 (98); Mt 25,14-30
Colletta: O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
È inutile continuare a minimizzare o a trovare pezze di appoggio per giustificare una vita infeconda, ipocrita, ammantata soltanto di una labile vernice di cristianesimo; è inutile perché la Parola è a tutto tondo: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Molti hanno un buon mestiere: quello del voltagabbana, in Chiesa pii e devoti, fuori cani arrabbiati alla ricerca dell’osso da spolpare, e, se c’è bisogno, strapparlo, anche con la forza e la prepotenza, dai denti del vicino, del compagno, dell’amico, del coniuge. Si dice di essere cristiani quando è conveniente, e, spesso per facciata, come il maritarsi in Chiesa, o portare la prole al fonte battesimale, o accompagnare la figlia all’altare, magari commossi e con pancia e petto all’infuori. Ma quando c’è di fare soldi, di impinguare il conto corrente, o spassarsela in qualche isola sperduta con qualche bella fanciulla lasciando a casa figli, nipoti e coniuge, allora si diventa tutt’altro. La scusa del servo malvagio e pigro può trovare un appiglio: aveva paura di sbagliare e aveva paura del castigo conoscendo la severità del padrone. Ma oggi così è? Abbiamo paura dei castighi del padrone? Tradotto in altre parole, molti cristiani, oggi, non credono più alla severità del padrone, d’altronde l’Inferno non esiste oppure è vuoto, e poi il padrone è buono e perdona tutto e tutti, e quindi, con grande faccia tosta, continuano a nascondere sotto terra i loro talenti. E così, oltre ad essere voltagabbana e infingardi, sono pure ingrati calpestando e sciupando i doni di Dio. Ma alla fine tutti ci presenteremo al tribunale di Dio [...], quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio (Rm 14,10-12).
Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetti 28-29: Al primo servo fedele ed attivo è dato anche il talento del servitore infingardo. Questo gesto del padrone scopre maggiormente il vero senso del racconto. Il servo attivo ha una grande ricompensa ed è associato sempre di più agli interessi del padrone. Secondo la prospettiva della parabola risulta che il servitore di Cristo riceve maggiore autorità e responsabilità nel governo del regno (cf. Lc., 16,12). A chiunque ha, sarà dato... a chi invece non ha, sarà tolto anche ciò che ha; il proverbio, espresso in forma paradossale, spiega la risoluzione del padrone di togliere il talento al servo infingardo per affidarlo a quello attivo (cf. 13,12); queste parole possono anche svelare un aspetto dell’economia divina nelle anime: Dio moltiplica le sue grazie a coloro che le apprezzano e sfruttano; le ritira invece da quelli che se ne mostrano indegni. Al primo servo fedele ed attivo è dato anche il talento del servitore infingardo. Questo gesto del padrone scopre maggiormente il vero senso del racconto. Il servo attivo ha una grande ricompensa ed è associato sempre di più agli interessi del padrone. Secondo la prospettiva della parabola risulta che il servitore di Cristo riceve maggiore autorità e responsabilità nel governo del regno (cf. Lc., 16,12). A chiunque ha, sarà dato... a chi invece non ha, sarà tolto anche ciò che ha; il proverbio, espresso in forma paradossale, spiega la risoluzione del padrone di togliere il talento al servo infingardo per affidarlo a quello attivo (cf. 13, 12); queste parole possono anche svelare un aspetto dell’economia divina nelle anime: Dio moltiplica le sue grazie a coloro che le apprezzano e sfruttano; le ritira invece da quelli che se ne mostrano indegni.
versetto 30: Al primo servo fedele ed attivo è dato anche il talento del servitore infingardo. Questo gesto del padrone scopre maggiormente il vero senso del racconto. Il servo attivo ha una grande ricompensa ed è associato sempre di più agli interessi del padrone. Secondo la prospettiva della parabola risulta che il servitore di Cristo riceve maggiore autorità e responsabilità nel governo del regno (cf. Lc., 16,12). A chiunque ha, sarà dato... a chi invece non ha, sarà tolto anche ciò che ha; il proverbio, espresso in forma paradossale, spiega la risoluzione del padrone di togliere il talento al servo infingardo per affidarlo a quello attivo (cf. 13,12); queste parole possono anche svelare un aspetto dell’economia divina nelle anime: Dio moltiplica le sue grazie a coloro che le apprezzano e sfruttano; le ritira invece da quelli che se ne mostrano indegni.
Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha: Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): A chi ha, sarà dato nell’abbondanza (quell’abbondanza promessa in Mt 13,12), che vuol dire che solo chi non teme di coinvolgersi nella dinamica del dono può crescere. A chi non ha, invece, viene tolto tutto, perché reticente al dono e pago solo di se stesso. Il talento viene tolto al servo per darlo a colui che aveva raddoppiato i suoi cinque. Solo chi è senza paura cresce e fa crescere. Quanto al servo pauroso e pigro, il padrone lo fa cacciare nelle tenebre e lo abbandona alla disperazione (v. 30, cf Mt 8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51), espressione di un’esistenza non riuscita, non giunta alla pienezza che il messia è venuto a portare. Il servo pigro appare quindi in profonda antitesi con lo stile del regno dei cieli, realtà estremamente dinamica. In tutte le parabole del regno si è confrontati all’idea del portare frutto, del crescere, di una “sporgenza di un di più” che mal si accorda con la logica del calcolo e il bisogno di sicurezza. Chi vuole trattenere, perde. Nulla cresce se non si dona e ciò che si conserva muore.
E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti - Liselotte Mattern: Tutto il Nuovo Testamento parla del giudizio di Dio. Il momento esatto della venuta del giudizio di Dio non lo si può calcolare. Il giudizio di Dio interessa vivi e morti, presuppone quindi l’idea della risurrezione. Dio è il giudice, o meglio Dio investe Cristo del ministero di giudice. L’uomo è posto davanti al giudice e deve render conto della propria vita: nessuna parola, nessun bicchiere d’acqua saranno dimenticati. A differenza del giudaismo, il risultato del giudizio non viene generalmente descritto. Il giudizio sui non-credenti, la condanna, interessa generalmente poco. Talvolta si trova anche la stringata menzione di “pianto e stridore di denti”. Nemmeno le circostanze del verdetto del giudizio di Dio sui cristiani vengono descritte. Importante è soltanto l’affermazione: Dio prende così sul serio il suo servitore, che il cristiano deve render conto a Dio di tutta la propria vita. Le asserzioni riguardanti il giudizio di Dio non permettono dunque, nel Nuovo Testamento, che si speculi sul futuro dimenticando il presente. Si tratta, piuttosto, di credere oggi, vale a dire di vivere come servitori del Signore. Si può tuttavia certo parlare di ricompensa che il Signore darà al cristiano - ma si tratta di una concezione del giudizio di Dio fondamentalmente diversa da quella del giudaismo rabbinico: nel giudaismo il pio cerca, con l’aiuto delle sue buone opere, di meritarsi il paradiso. Gesù invece demolisce ogni pretesa di merito. Quando il giudice del mondo compare e compie la divisione degli uomini fra la sua destra e la sua sinistra, quanti sono accettati non presenteranno a Dio le loro buone opere, ma chiederanno meravigliati quando abbiano servito Dio: hanno aiutato i bisognosi senza mirare alla ricompensa (Mt 25,31ss). Anche se il cristiano avesse fatto tutto - che cosa è alla fine se non un misero servo che ha fatto soltanto il proprio dovere (Lc 17,10) e dipende dalla grazia di Dio?
Conviene parlare spesso del Giudizio - Catechismo Tridentino (Parte Prima - Articolo 7, 96): Tutto questo i Pastori devono frequentemente inculcare al popolo fedele, perché la verità di questo articolo, concepita con viva fede, ha un’efficacia immensa a frenare le prave cupidigie dell’animo e allontanare gli uomini dal peccato. Perciò nell’Ecclesiastico è detto: In tutte le tue opere ricorda i tuoi novissimi e non peccherai in eterno (Si 7,40). È ben difficile infatti che uno sia cosi proclive al peccato, da non sentirsi richiamato al dovere dal pensiero che un giorno dovrà rendere ragione innanzi al giustissimo Giudice, non solo delle opere e delle parole, ma anche dei pensieri più occulti, e pagare la pena dei suoi demeriti. Mentre il giusto verrà sempre più spronato a praticare la virtù e proverà letizia grande, anche in mezzo alla povertà, all’infamia e ai dolori, pensando a quel giorno nel quale, dopo le lotte di questa vita d’angosce, sarà dichiarato vincitore davanti a tutti gli uomini, e, entrato nella patria celeste, vi riceverà onori divini ed eterni. Quel che importa, dunque, è di esortare i fedeli ad abbracciare un santo tenore di vita ed esercitarsi in ogni pratica di pietà, onde possano con maggior sicurezza d’animo aspettare il grande giorno del Signore, anzi, desiderarlo con sommo ardore, come si conviene ai figli di Dio.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti» (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Porta a compimento, Signore,
l’opera redentrice della tua misericordia
e perché possiamo conformarci in tutto alla tua volontà,
rendici forti e generosi nel tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.
l’opera redentrice della tua misericordia
e perché possiamo conformarci in tutto alla tua volontà,
rendici forti e generosi nel tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.