31 Luglio 2019

SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, SACERDOTE - MEMORIA

Es 34,29-35; Sal 98 (99); Mt 13,44-46 

Dal Martirologio: Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.

Colletta: O Dio, che a gloria del tuo nome hai suscitato nella Chiesa sant’Ignazio di Loyola, concedi anche a noi, con il suo aiuto e il suo esempio, di combattere la buona battaglia del Vangelo, per ricevere in cielo la corona dei santi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Una pagina da scrivere nel cuore, per meditarla ogni giorno. Il Vangelo ci mette sulla strada della gioia, del beato possesso, della perfetta beatitudine, ma per muovere i passi su questa via occorre rinunciare a tutti i beni della terra. Anelare al Cielo, Voi che siete risorti attendete alle cose di lassù (Col 3,1), non è alienarsi dal diuturno impegno a promuovere nel consesso umano il bene, la verità, l’onestà nelle relazioni. Tutt’altro, il discepolo di Gesù sa che se vuole andare in Paradiso deve faticare senza posa affinché il rugoso volto della terra diventi sempre più luminoso, perché rifletta la bontà di Dio e la bellezza del suo volto. Ma conquistare il Cielo, oltre che faticare onestamente in questo mondo, richiede di essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Mt 10,16). Ed è il messaggio che ci suggerisce il Vangelo. Nel racconto evangelico l’uomo agisce di astuzia: trovato il tesoro avrebbe potuto portarselo a casa, ma se scoperto l’avrebbero accusato di furto, e allora, ricorre a un sotterfugio: nasconde il tesoro, e compra il campo senza palesare al padrone la presenza del tesoro. Un’azione poco onesta, che poco si sposa con la prudenza e con la semplicità, ma Gesù non ci sta suggerendo di essere disonesti, bensì ci dice di essere pronti a tutto pur di venire in possesso del tesoro. L’uomo vende tutto, noi siamo disposti a vendere tutto? Ma a bene chiarire le cose, in verità due sono i tesori nascosti: Gesù e il Regno dei Cieli, e sono consequenziali, soltanto conquistando il primo tesoro che è Gesù, l’uomo troverà il secondo tesoro che è il Paradiso. Ma in verità i due tesori si fondono insieme: Gesù è il nostro Paradiso, e il nostro Paradiso è Gesù.

Dal Vangelo secondo Matteo 13,44-46: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.  Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

La parabola - Catechismo della Chiesa Cattolica 546: Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario «vendere» tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per «conoscere i misteri del regno dei cieli» (Mt 13,11). Per coloro che rimangono «fuori» (Mc 4,11), tutto resta enigmatico.

Va, vende tutti i suoi averi e compra la perla di grande valore - Senza voler forzare i testi, possiamo trovare un filo comune che li lega ed è l’impossibilità per l’uomo di riuscire nella vita senza il dono Dio e senza una decisione per Dio: una decisione radicale, ma anche gioiosa come sottolinea la parabola del tesoro nascosto in un campo. In questo modo vengono smentiti gli «spensierati di Sion»: i giullari del Vangelo facile e i buontemponi dell’ottimismo a tutti i costi (Am 6,1-7). Scriveva il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer, morto impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945: «La grazia a buon mercato è nemica mortale della Chiesa; oggi, nella nostra lotta, si impone la grazia che costa... La grazia facile è quella di cui disponiamo in proprio. È la predicazione del perdono senza il pentimento, è il battesimo senza disciplina ecclesiastica, la Cena santa senza la confessione dei peccati, l’assoluzione senza confessione personale.
La grazia a buon mercato è la grazia non avallata dall’obbedienza, la grazia senza la croce, la grazia che astrae da Gesù Cristo vivente e incarnato».
Il Vangelo, inoltre, vuole sottolineare la scaltrezza, l’avvedutezza dell’uomo del tesoro nascosto in un campo e del mercante: due uomini capaci di capire e ben valutare la fortuna loro capitata inaspettatamente tra le mani, in questo modo diventano l’immagine del vero discepolo che sa comprendere l’inestimabile valore del regno di Dio. Il discepolo, proprio perché cerca le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio e non pensa alle cose della terra (Col 3,1-2), è in grado di ben valutare i tesori celesti per il cui possesso è pronto a cavarsi gli occhi della testa, a ridursi in povertà e far gettito anche della propria vita.
A leggere bene il Vangelo si comprende allora con chiarezza che l’insegnamento delle parabole sta nell’incalcolabile valore del tesoro scoperto e nel sacrificio che il suo acquisto richiede.

La parabola del tesoro - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Un tesoro nascosto nel campo; l’immagine è verosimile per un paese che ha conosciuto invasioni e fughe. Il susseguirsi incalzante degli atti (trova, tiene celato, va, vende, acquista) dà una particolare vivezza alla parabola. Nella presentazione dell’immagine tutto converge in un punto: lasciare e vendere ogni cosa per acquistare un grande tesoro. La parabola è d’immediata intelligenza: chi trova il regno dei cieli deve lasciare tutto per acquistarlo. Non bisogna forzare i particolari descrittivi; l’immagine non considera la moralità dell’acquisto di un tesoro nascosto in un terreno d’altri senza dir nulla al padrone.

La parabola della perla preziosa - Wolfgang Trilling: Anche questa parabola fa coppia con la precedente ed esprime la stessa cosa. La parola perla risveglia in noi sia l’immagine della preziosità, sia della bellezza senza macchia: il regno di Dio non è soltanto il massimo valore, ma anche il bene più bello e perfetto che ci sia dato di conseguire.
Il dato nuovo, nei confronti della parabola del tesoro, è che qui si tratta di un uomo che va in cerca di perle preziose. Nel caso del tesoro nel campo si poteva pensare a uno che, casualmente, vi inciampa e poi ne trae le conseguenze; alcuni, infatti, possono avere incontrato Gesù, in circostanze fortuite, ed essere stati da lui soggiogati, senza avere inizialmente l’intenzione di trovare il «tesoro». Qui, invece, si può pensare a uno che cerca la verità, come Nicodemo che si reca da Gesù di notte (cf. Gv 3,lss.). Si parla di un commerciante di gioielli che non si era ancora imbattuto in una perla così bella e preziosa. Senza pensarci due volte, vende tutto, l’inventario completo della sua mercanzia, per acquistare la perla. Per esperienza sa che essa vale il sacrificio. Il cuore dell’uomo è inquieto finché non trova «la perla di grande valore». Ma quando la trova è pronto a sacrificare tutto per quest’unico bene. Gesù non riduce di un ette il prezzo qui richiesto, ma mostra l’aspetto allettante del bene della salvezza, capace di suscitare in noi la gioia per averla «trovata». Quando «troviamo la perla», dobbiamo cercare di rimanere nell’incontenibile gioia iniziale; nel tempo della ricerca non possiamo riposarci finché non la «troviamo».

… poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo … trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra - Felipe F. Ramos: I due protagonisti vendono tutto quello che hanno per acquistare rispettivamente il tesoro o la perla. Da questo denominatore comune, si volle dedurre che l’insegnamento fondamentale delle due parabole va configurato nella dedizione incondizionata che il regno richiede. Questo però non è il primo intento di queste parabole. Le parole decisive per orientarci nell’interpretazione del loro messaggio sono le seguenti; pieno di gioia (v. 44), la gioia straordinaria che inonda l’uomo a ogni scoperta sensazionale, gioia che lancia l’uomo al possesso d’un bene di fronte al quale tutti gli altri perdono ogni valore. Per avere questo bene, nessuno sforzo e nessuna rinunzia gli paiono eccessivi. Tutto impallidisce di fronte al valore del regno, quando è stato scoperto nella sua pienezza, e nessuna cosa può essere paragonata con esso. La buona novella affascina l’uomo che la scopre e non intende perderla per nulla al mondo, esattamente come il fellah che trova il tesoro o il mercante di perle che ne trova una di valore eccezionale. Nessuno dei due compra per vendere nuovamente o per speculare su quello che ha comprato. Hanno trovato quello che riempie la loro vita e le dà un senso. Così avviene quando si è trovato il regno: l’unica cosa che può dare un senso alla vita.

Le parabole del tesoro nascosto e della perla preziosa  - Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo (Omelia 1 agosto 2007): Il Vangelo che ci è stato annunciato è un pressante invito ad accogliere il mistero del regno dei cieli. Le due parabole sottolineano la decisione del contadino e del mercante di vendere ogni cosa per puntare tutto sul tesoro che hanno scoperto. Nel primo caso si tratta di un contadino che casualmente lo trova nel campo dove sta lavorando. Non essendo di sua proprietà deve acquistarlo se vuole entrare in possesso del tesoro. Di qui la decisione di rischiare tutti i suoi averi per non perdere l’occasione davvero eccezionale. Il protagonista della seconda parabola è un ricco trafficante di preziosi che da esperto conoscitore ha individuato nel bazar una perla di raro valore. Anche lui decide di puntare tutto su quella perla, al punto da vendere tutte le altre. Di fronte a queste scoperte, per ambedue inaspettate, la scelta è chiara e decisa. Certamente si tratta di vendere tutto quello che si possiede, ma l’acquisto è impareggiabile. Si chiede un “sacrificio”, come ad esempio suggerisce il Vangelo nell’episodio del giovane ricco, ma il guadagno è enormemente superiore. Il “Regno dei cieli” vale questo sacrificio. Del resto quante altre volte siamo pronti a vendere tutto, anche l’anima, pur di possedere quello che ci interessa! Il problema è se davvero ci interessa il Signore e la sua amicizia, e se riusciamo a comprendere la gioia e la pienezza di vita che ci viene “inaspettatamente” presentata, come fu per quel contadino e per quel mercante.

L’interpretazione delle parabole - D. Sesbouè (Dizionario di Teologia Biblica): Se ci si pone [nel] contesto biblico ed orientale in cui Gesù parlava, e si tiene conto della sua volontà di insegnamento progressivo, diventa più facile interpretare le parabole. La loro materia sono i fatti umili della vita quotidiana, ma anche, e forse soprattutto, i grandi avvenimenti della storia sacra. I loro temi classici, facilmente reperibili, sono già pregni di significato per il loro sfondo di VT, al momento in cui Gesù se ne serve. Nessuna inverosimiglianza deve stupire nei racconti composti con libertà ed interamente ordinati all’insegnamento; il lettore non deve essere urtato dall’atteggiamento di taluni personaggi presentati per evocare un ragionamento a fortiori od a contrario (ad es. Lc  6,1-8; 18,1-5). Ad ogni modo bisogna anzitutto mettere in luce l’aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell’allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre Celeste (Mt 21,28; Lc 15,11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13,3.24.31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24,43; il «padrone» di Mt 25,14; lo «sposo» di Mt 25,1); e quando ve ne sono due, sono il Padre ed il Figlio (Mt 20,1-16; 21,33.37; 22,2). Infatti l’amore del Padre testimoniato agli uomini con l’invio del suo Figlio è la grande rivelazione portata da Gesù. A questo servono le parabole che mostrano il compimento perfetto che il nuovo regno dà al disegno di Dio sul mondo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** A leggere bene il Vangelo si comprende allora con chiarezza che l’insegnamento delle parabole sta nell’incalcolabile valore del tesoro scoperto e nel sacrificio che il suo acquisto richiede.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, il sacrificio che ci hai dato la gioia di celebrare
nel ricordo di sant’Ignazio di Loyola,
orienti tutta la nostra vita alla lode perenne del tuo nome.
Per Cristo nostro Signore.