Sabato 8 GIUGNO 2019

Messa del Giorno

Sabato della VII Settimana di Pasqua

Prima Lettura: Dagli Atti degli Apostoli 28,16-20.30-31; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 10 (11); Vangelo: Dal Vangelo secondo Giovanni 21,20-25

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che ci dài la gioia di portare a compimento i giorni della Pasqua,  fa’ che tutta la nostra vita sia una testimonianza del Signore risorto. Egli è Dio, e vive e regna con te...

Vangelo - Questo è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e la sua testimonianza è vera.

C’è sempre il desiderio di fare verità. Giovanni, il discepolo che Gesù amava e autore del IV Vangelo, era oltremodo invecchiato, sembrava che la morte avesse paura di rapirlo. A motivo di questo si era diffusa “tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto”. E così le ultime parole che chiudono il IV Vangelo fanno un po’ di chiarezza. La vita di Giovanni è stata lunga, assai travagliata, incatenato a motivo della Parola, testimone del Risorto, suo compagno sulle strade polverose della Palestina: lui, il veggente di Patmos, ha toccato, ha veduto, ha udito (1Gv 1,1ss), ecco perché il redattore della seconda conclusione può dire: “la testimonianza del discepolo che ha visto queste cose e le ha scritte è veritiera”. Il Vangelo di Giovanni  è di una ricchezza straordinaria, si eleva in alto con possenti ali di aquila, ma non contiene tutto: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Qualcuno potrebbe pensare a una iperbole, o una vera deficienza, ma è in verità è meglio così: il “non conoscere tutto” è la spinta ad andare alla ricerca, ma è non è un tesoro che si trova sottoterra, è un tesoro che si nasconde nella preghiera, e solo il contemplavo può trovarlo e “aggiungere arditamente” qualche altra pagina al IV Vangelo. Non frutto della sua fantasia o speculazione intellettiva, ma perfetto “dono di rivelazione”.

Dal Vangelo secondo Giovanni 21,20-25: In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Signore, che cosa sarà di lui? - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): La predizione della sua fine suscita in Pietro la curiosità di conoscere la sorte del discepolo amato, che lo seguiva dietro il Maestro (Gv 21,20). L’evangelista qui richiama alla memoria il gesto confidenziale di questo discepolo durante l’ultima cena: si era posato sul petto di Gesù (Gv 13,25). Giovanni nel suo vangelo più di una volta ricorda gesti ed espressioni precedenti dei suoi personaggi (cf. il caso di Nicodemo: Gv 7,50; 19,39, o quello di Caifa: Gv 18,14). Pietro, vedendo il discepolo amato, chiede al Maestro: «Signore, e di lui che (ne sarà)?» (Gv 21,21). Questi due attori del quarto vangelo non di rado compaiono insieme sulla scena: durante l’ultima cena (Gv 13,23ss), nella corsa alla tomba di Gesù (Gv 20,2ss), forse nella sequela del Maestro dopo la sua cattura (Gv 18,15ss), nella pesca miracolosa (Gv 21,7). Quindi Pietro e il discepolo amato sono due veri amici, anche se fra di essi qualche volta sorge un certo spirito di emulazione (cf. Gv 20,4). Perciò appare del tutto naturale l’interesse di Simone per la sorte dell’amico. Gesù però non soddisfa la curiosità dell’apostolo, anche se mista ad amore; Pietro non deve preoccuparsi della fine dell’amico, ma solo di seguire il Maestro; Gesù potrebbe lasciarlo in vita fino al suo ritorno (Gv 21,22) nella parusia, che probabilmente era ritenuta non lontana (cf. 1Cor 4,5; 11,26; 1Ts 4,15ss; Ap 3,11; 22/7.12.20.22).
La risposta di Gesù a Pietro sulla sorte del discepolo amato fece nascere, nella comunità primitiva, la diceria che questo discepolo innominato, ma a tutti noto, non sarebbe morto; l’evangelista però si preoccupa di precisare che il Maestro non aveva affermato che non sarebbe morto, ma che aveva detto semplicemente: «Se voglio che egli rimanga, finché (io) venga?» (Gv 21,23). Probabilmente il discepolo amato dovette essere molto longevo, forse era ancora in vita, quando fu redatto il quarto vangelo, se non fu lui l’autore di questo libro; perciò le parole del Signore a Pietro, riportate in Gv 21,22, furono equivocate e considerate una profezia della sua immortalità (Gv 21,23).

Tu seguimi - Bruno Maggioni: Gesù ha invitato alcuni uomini a seguirlo: di qui il termine “sequela” per indicare il discepolato evangelico, che si caratterizza per alcuni tratti specifici, già tutti presenti nel racconto della chiamata dei primi discepoli (Me 1,16-20; Mt 4,18-22). Al contrario della prassi comune del tempo, per cui era il discepolo che sceglieva la scuola e il maestro, nei Vangeli è Gesù che chiama personalmente i suoi discepoli: l’iniziativa è totalmente sua. I verbi più importanti di Marco 1,16-20 sono: vide, disse, chiamò. Nel greco dei Vangeli, il discepolo (mathetés) non è qualificato dal verbo imparare (manthàno), ma dal verbo seguire (akolouthéin: fare la strada con qualcuno): al primo posto c’è un modo di vivere, non una dottrina. Il discepolo evangelico, è attratto dalla persona del maestro (“Seguitemi!”) e il suo scopo è di stare con lui, non di diventare a sua volta maestro. Per il Vangelo essere discepolo è una condizione permanente. La sequela comporta un distacco: i primi chiamati lasciano il lavoro, la famiglia e la proprietà. Il distacco, però, non è motivato da concezioni dualistiche o ascetiche (per esempio l’“abbandono del mondo”), ma dalla necessità di una maggiore libertà per servire il Regno. Si lasciano molte cose per concentrarsi su quella che maggiormente importa: il Regno di Dio. Un detto di Gesù (Mc 8,34) sorprende per la sua durezza: “Se qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Nella Bibbia “rinnegare” indica l’abbandono totale di tutte le idolatrie, per appartenere soltanto al Signore. La sequela comporta il rinnegamento di sé, l’accettazione della croce e il capovolgimento della vita (Mc 8,34-35).
Tuttavia questa radicalità del distacco non conduce a una perdita, ma a un guadagno: il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel futuro (Mc 10,30). Spinti dal desiderio di seguire l’unico maestro, i discepoli formano una comunità, vivono insieme.
Ma è una comunità che si regge sul desiderio di ciascuno di stare con Gesù, non anzitutto sul desiderio di stare ciascuno con l’altro. La comunione “verticale” (del discepolo con il maestro) precede e fonda la fraternità “orizzontale” (fra discepolo e discepolo). Nell’episodio della chiamata si apre, quasi all’improvviso, una prospettiva sul futuro: “Vi farò pescatori di uomini” (Mc 1,17). La sequela è sempre in prospettiva missionaria. Il discepolo non è chiamato a vivere la sequela semplicemente per una salvezza personale, ma per una missione universale.     

Seguimi - Giuseppe Barbaglio: Anche Giovanni interpreta in modo proprio il motivo della sequela di Cristo, sganciandolo dal tema analogo del discepolato. In 8,12 Gesù dichiara: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». In altre parole: Gesù è il rivelatore di Dio al mondo e per questo il donatore della vita. Aderendo a lui nella fede si cammina sui sentieri della vita e ci si tiene lontani dalla via della rovina eterna. Seguire vuol dire qui credere nel rivelatore definitivo di Dio.
In 10,3-4 e 27 il motivo della sequela è strettamente collegato a quello di Cristo pastore: «egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce... Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Cristo conduce quanti ascoltano la sua parola verso il traguardo della vita eterna. Abbiamo il tema di Cristo guida dei credenti.
In 12,26 la sequela di Cristo significa condivisione della stessa sua sorte di morte e di glorificazione nella morte: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà».
La condivisione della sua morte come passaggio alla gloria del Padre appare anche in 13,36-38, brano caratterizzato dal dialogo serrato tra Pietro e Gesù. Il discepolo domanda al Maestro dove sta andando. Sullo sfondo c’è la realtà della prossima morte di Cristo. Questi gli risponde «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». E Pietro: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!» Ma Gesù gli dice che tra poco Pietro lo tradirà. In concreto, si tratta della morte di Pietro martire, come appare in 21,18-19: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: Seguimi».

Conclusione (21,24-25) - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): È una seconda conclusione, compilata dal redattore finale, che ha aggiunto il c. 21 all’opera giovannea. Egli attesta la veridicità della testimonianza del discepolo diletto, la fonte di quanto è stato scritto nel quarto vangelo, e inoltre l’incompiutezza delle notizie raccolte. Il carattere di veridicità e autenticità non si riferisce tanto a una fedeltà cronachistica nel riportare i fatti accaduti, quanto alla loro interpretazione esatta, data l’importanza fondamentale che hanno per la fede di tutte le generazioni future dei cristiani. La testimonianza apostolica, trasmessa dagli scritti evangelici, ha come supporto la testimonianza del Paraclito, che porta i credenti ad una assimilazione sempre più profonda della rivelazione di Gesù (cf. 16,13).
Il v. 25 esprime iperbolicamente, in maniera goffa, il carattere lacunoso del quarto vangelo, riecheggiando la prima conclusione (20,30). Si tratta di un ‘esagerazione. L’espressione non va intesa in senso materiale, bensì come dichiarazione della «distanza incolmabile tra l’opera, la missione e la rivelazione storica di Gesù e la sua documentazione scritta ... L’opera di Gesù nel mondo coincide con quella del Padre, il Dio invisibile, che si può contemplare solo nel volto di Gesù Cristo» (Fabri , p. 1091). Il redattore quindi si riferisce alla profondità del mistero di Cristo, che per quanto documentato con scritti e sondato dagli uomini resta sempre inesauribile e imperscrutabile.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Tu seguimi!
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che hai guidato il tuo popolo
dall’antica alla nuova alleanza,
concedi che, liberati dalla corruzione del peccato,
ci rinnoviamo pienamente nel tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.