GIOVEDÌ 6 GIUGNO 2019

Messa del Giorno

GIOVEDÌ DELLA VII SETTIMANA DI PASQUA

Prima Lettura: Dagli Atti degli Apostoli 22,30;23,6-11; Salmo Responsoriale: Dal Salmo 15 (16); Vangelo: Dal Vangelo secondo Giovanni 17,20-26

Colletta: Venga, o Padre, il tuo Spirito e ci trasformi interiormente con i suoi doni; crei in noi un cuore nuovo, perché possiamo piacere a te e cooperare al tuo disegno di salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Vangelo - Siano perfetti nell’unità!

La preghiera di Gesù travalica i secoli, ci raggiunge, e allarga il nostro povero cuore alla gioia e alla speranza: per la beata passione di Gesù, per il suo preziosissimo sangue, versato a nostra salvezza, noi, un “giorno”, da Lu stabilito, saremo dove è Lui, il Maestro divino, e contempleremo perfettamente la sua gloria. Ma nel brano di Giovanni, vi sono due se, che vanno sottolineati. Il primo, siano perfetti nell’unità, tutto è dono, ma l’unità è anche “lavoro dell’uomo”, è suo impegno, un impegno a volte terribile e assai difficile, perché, se si vuole arrivare all’unità, bisogna scrostare il cuore dai grumi dell’egoismo, delle rivendicazioni, dell’odio, della vendetta. L’unità si costruisce con l’amabilità, il perdono e con la dimenticanza delle offese, delle umiliazioni. Se noi saremo capaci di raschiare l’anima fino all’osso e renderla “pura e santa”, allora costruiremo l’unità. Il secondo se è: siano anch’essi con me dove sono io. Gesù ha dato tutto per spalancarci le porte del Paradiso, e il suo sangue è sigillo della nuova ed eterna alleanza. Ma in Paradiso non si va ballando e cantando poemi amorosi, la via è stretta e angusta, e pochi sono quelli che la trovano (Mt 7,13-14). Se saremo capaci di avviare un serio e salutare cammino di conversione e di santità i cui punti di riferimento sono la penitenza, la mortificazione, la preghiera, il digiuno e la carità, allora “con la grazia di Dio” potremo valicare la soglia della casa del Padre. La preghiera è “assicurazione”, ma non ha un effetto ipso facto, Gesù ha compiuto tutto per la nostra salvezza, ma ci ha lasciato i se, tutti umani, intrisi di debolezze, di peccato e apostasie, se che vanno “costruiti”, giorno dopo giorno, con responsabilità e perenne spirito di sacrificio: allora, saremo perfetti nell’unità e alla fine della vita saremo con Gesù per sempre, e contempleremo la sua gloria.

Dal Vangelo secondo Giovanni 17,20-26: In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:] «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Perfetti nell’unità - Roberto Tufariello (Schede Bibliche Pastorali - Vol. VIII): Gesù unisce quelli che lo amano e che credono in lui. Ad essi dà il suo Spirito (Rm 5,5); ne fa le pietre vive dell’unico tempio di Dio (1Pt 2,4-5), i membri dell’unico ovile (Gv 10,3). Egli dà la vita per radunare i figli di Dio divisi e dispersi (Gv 10,16; 11,51-52; 18,14). Per mezzo suo l’unità è restaurata in tutti i campi: unità interna dell’uomo dilaniato dalle passioni (Rm 7,14-15; 8,2.9); unità della coppia coniugale, di cui l’unione di Cristo e della chiesa è il modello (Ef 5,25-32); unità di tutti gli uomini, che lo Spirito rende figli dello stesso Padre (Rm 8,14). In Cristo si realizza dunque la perfetta unità del popolo di Dio. In questo senso Paolo chiama il Signore «capo». Paolo riprende continuamente l’immagine del sòma per mettere in chiaro come la comunità, pur nella molteplicità dei doni e dei compiti, sia organicamente una (Rm 12,4-5; 1Cor 12,12-14; Col 3,15). I cristiani costituiscono una nuova «razza» (opposta ai giudei e ai pagani), che nasce dall’identificazione di tutti i suoi membri col corpo di Cristo. In tal modo i credenti hanno un medesimo principio vitale e ricevono un’identica, nuova natura.
Siamo tutti un essere nuovo ed unico in Cristo, ribadisce san Paolo (Gal 3,26-28); ognuno diventa un individuo della nuova razza che Dio va formando. La presenza di Cristo, della sua vita, nel cristiano, o questo «rivestimento di Cristo» che è la vita cristiana, costituisce l’individuo nuovo della nuova razza umana (Col 3,10-11). La chiesa, dunque, è una comunità di membri uniti nello stesso destino, la quale è sottomessa a Cristo; in essa ciascuno deve agire per l’altro, soffrire con l’altro; con il singolo che cade o si regge, si reggono e cadono tutti (1Cor 12,26; cf. Gal 6,2; 1Cor 4,6).
L’idea dell’unità della chiesa è sviluppata particolarmente nella lettera agli Efesini. Questa sottolinea che con Cristo la storia ha ripreso la propria unità e che ora la salvezza può diventare storia universale. Cristo infatti ha distrutto il vecchio ordinamento di salvezza per unificare ebrei e pagani in un popolo riconciliato con Dio (Ef 2,14-16). Questa nuova situazione, però, si realizza nella misura in cui la chiesa, credendo e operando, vive seriamente la realtà dell’unità. Per questo il NT esige l’henotès della fede (Ef 4,13), la comunione dell’amore (Gv), l’indissolubile unione nella lotta (Fil 1,27; 2,2-4). Per questo, inoltre, la cosa più importante che gli Atti riferiscono riguardo alla chiesa primitiva è la realtà di «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32; cf. 2,42-46).

Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Padrequelli che mi hai datovoglio che... siano anch’essi con me; la prospettiva della preghiera considera ora la condizione futura che attende i credenti. «Quelli che mi hai dato»; altri codici leggono: «quello che mi hai dato» ( δέδωκάς μοι); questa seconda espressione poté essere determinata da Giov., 6,37,39; 10,29; tale espressione considera la molteplicità dei credenti come un tutto compatto. «Voglio»: esprime un atto di volontà; Gesù vuole tutto quello che vuole il Padre (cf. 4, 34; 5, 30; 6, 38-40) e si uniforma in tutto alla volontà del Padre; egli tuttavia non rifugge dall’usare un’espressione così esplicita e ferma, perché in questa circostanza intende affermare l’impegno e la fedeltà con cui segue il destino dei credenti e mantiene la promessa fatta ad essi, la promessa cioè di venirli a prendere per condurli nelle dimore presso il Padre (cf. 14,3; 12,26). «Dove sono io siano anch’essi con me»; Cristo si considera «andato» al Padre (cf. verss. 11,13); egli vuole che siano presso il Padre anche coloro che hanno creduto. Affinché vedano la mia gloria; «la gloria» designa qui tutto lo splendore divino di Cristo fatto uomo e glorificato presso il Padre; questo splendore è ora perfetto, poiché Gesù ora è glorioso. La gloria, che il Verbo incarnato ha fatto intravvedere durante la sua vita pubblica con opere portentose (cf. 1,14; 2,11), si manifesterà al credente nella pienezza del suo splendore dopo il trionfo della risurrezione (esaltazione di Cristo). Altri studiosi pensano che si tratti della gloria divina che il Padre comunica al Figlio nella generazione eterna; in questo caso Gesù avrebbe parlato della gloria che possiede, non già della gloria che gli è stata data. Perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo; cf. vers. 5. L’amore del Padre, del quale Gesù è oggetto anteriormente alla creazione del mondo, cioè da tutta l’eternità (cf.Efesini, 1,4; 1 Pietro, 1,20), ha riservato allo stesso Gesù questa gloria.

Contemplino la mia gloria - Fausto Longo - Giuseppe Barbaglio (Schede Bibliche Pastorali - Vol. IV): La catechesi della chiesa primitiva ha attribuito la gloria principalmente a Cristo esaltato nella chiarezza radiosa della risurrezione. Pietro dichiara: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù» (At 3,13).
Nella prima lettera di Pietro leggiamo che Dio ha risuscitato Gesù dai morti e gli ha dato gloria» (1,21). Nell’inno di 1 Tm 3,16 sta scritto: «Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito ... fu a sunto nella gloria». Cristo risorto si trova ormai nel suo «corpo di gloria» (Fil 3,21). La sua umanità che durante la sua vita terrestre era passibile e mortale, segnata dalle conseguenze del peccato di Adamo (Rm 8,3; Gal 3,13; 2Cor 5,21), è stata risuscitata per la gloria del Padre (Rm 6,4; cf. 1,4); ora è totalmente spiritualizzata (6,9-10), cioè vivificata dalla potenza divina (pneuma) e non più da un principio vitale naturale (psychè).
La gloria, di cui Cristo risuscitato è rivestito, lo costituisce immagine di Dio; lo manifesta pienamente nelle sue prerogative di Figlio di Dio; possiede allora il nome al di sopra di ogni nome, cioè partecipa all’essere divino anche con la sua umanità. Esiste una connessione stretta tra queste espressioni. Cristo risuscitato è, in tal modo, l’Adamo celeste che inaugura una creazione nuova, spirituale e incorruttibile, penetrata da quella gloria divina che il primo Adamo aveva perduto per tutta la sua discendenza.
Afferrato da Cristo risuscitato sulla via di Damasco, Paolo dirige abitualmente tutta la sua attenzione sulla gloria di Cristo risorto. Nella sua prospettiva, Cristo non esercita durante la sua vita terrestre l’attività spirituale di nuovo Adamo e di Figlio di Dio. I sinottici, specialmente Marco e Matteo, riservano la manifestazione della gloria del Signore per la parusia, ispirandosi alle immagini della letteratura apocalittica, specialmente di Dn c. 7 che parla del Figlio dell’uomo. Mc 8,38 si prospetta la venuta del Figlio dell’uomo «nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (cf. Mt 19,28). Nel discorso apocalittico leggiamo: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc13,26; cf. Mt 25,31).

... contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù non ha soltanto comunicato ai discepoli le parole del Padre (17,8), ma anche la gloria che ha ricevuto dal Padre: «La gloria che mi hai dato, io l’ho data a loro» (17,22). È quella gloria di cui parla l’evangelista in 1,14: «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come unigenito dal Padre». È la gloria che Gesù ha come Figlio e che dona a chi lo accoglie, dando loro la capacità di diventare «figli» (1,13) e come tali di risplendere di fronte agli uomini. È una gloria che si manifesta al mondo nella vita e nelle opere dei figli di Dio.
Forse il commento più bello a queste parole di Gesù l’ha dato Paolo ed è frutto della sua esperienza di vita. Dice così: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria... E Dio che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre” (Gn 1,3), rifulge nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2 Cor 3,28; 4,6).
È la stessa gloria che passa dal Padre al Figlio e dal Figlio ai discepoli, e fa sì che essi siano uno: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (17,23). Come abbiamo detto, essere «uno» significa comunione perfetta di vita, qui si aggiunge di una vita che si fa dono, che si fa amore. Quando ciò si visibilizza e rifulge nei discepoli, allora gli uomini che ancora appartengono al mondo sono in situazione di riconoscere che Dio ha davvero mandato il Figlio suo e lo ha fatto perché amava il mondo, come dimostra il fatto che ama quelli che ha scelto dal mondo, così come ama il Figlio.
Il testo non lo dice esplicitamente, ma è logico che continua a scegliere dal mondo e a liberare dalle tenebre quanti accettano di credere che Gesù è il suo inviato.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se saremo capaci di avviare un serio e salutare cammino di conversione e di santità i cui punti di riferimento sono la penitenza, la mortificazione, la preghiera, il digiuno e la carità, allora “con la grazia di Dio” potremo valicare la soglia della casa del Padre.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Ci illumini, Signore, la tua parola
e ci sostenga la comunione al sacrificio che abbiamo celebrato,
perché guidati dal tuo Santo Spirito
perseveriamo nell’unità e nella pace.
Per Cristo nostro Signore.