13 Maggio 2019

Lunedì della IV Settimana di Pasqua

Oggi Gesù ci dice: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.” (Gv 10,14).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 10,1-10: Gesù, con l’allegoria evangelica della «Porta delle pecore», si presenta anche come «il Pastore grande» (Eb 13,20) del popolo eletto e del mondo intero: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16). Egli si rivolge alle guide spirituali del popolo eletto e contro di esse riprende le accuse che i profeti rivolgevano ai cattivi pastori i quali, pascendo se stessi, disperdevano il gregge loro affidato (Cf. Ez 34,2; Ger 23,1). Gesù è il buon pastore che le pecore seguono perché ne conoscono la voce come egli le conosce una ad una. L’immagine della porta è usata nella sacra Scrittura per designare l’accesso al mondo di Dio (Cf. Gen 28,17). Qui, affermando di essere la porta, Gesù dà all’immagine lo stesso significato positivo: passando attraverso di lui, e soltanto attraverso di lui, si accede alla salvezza, alla vita. Cristo Gesù è dunque il pastore-messia atteso dal popolo d’Israele, è «il pastore che finalmente redimerà il gregge di Iahvé e lo renderà giusto e santo agli occhi di Dio» (Giorgio Fornasari).

Io sono la porta delle pecore - La similitudine della Porta delle pecore (Gv 10,1-10) segue il racconto del miracolo del cieco nato (Cf. Gv 9,1-41) e quindi fa ben intendere a chi è rivolta.
... chi non entra nel recinto... L’ovile, costruito in luogo soleggiato, era una costruzione bassa, ad arcate, con un recinto costituito quasi sempre da un muro a secco. Il pastore si sdraiava attraverso l’apertura e fungeva da porta per le pecore. A custodire il gregge era posto un guardiano per impedire ai ladri di rubare le pecore.
Solo chi entrava dalla porta veniva riconosciuto dal guardiano e dalle pecore. Il vivere con le pecore «in un luogo isolato fa sì che crei un rapporto speciale tra il pastore e le pecore. I pastori conoscono talmente bene le loro pecore che queste rispondono istantaneamente alla loro voce. Il pastore chiama ogni pecora per nome, e il nome indica qualcosa del carattere e del modo di comportarsi della pecora» (Ralph Gower).
A questa intimità si riferisce Gesù quando dice di conoscere le sue pecore, per cui quando sono chiamate rispondono alla sua voce.
Il termine recinto (greco aulè) nella versione greca dei Settanta è usato per indicare il vestibolo del tempio. Forse, idealmente, Gesù vuole trasportare i suoi ascoltatori in questo luogo santo, tanto amato dal popolo eletto ed emblema e centro spirituale del giudaismo: così facendo, Gesù dà alle sue parole una valenza altamente pregnante di significato teologico-pastorale.
Il recinto aveva una porta, o un cancello. Gesù è la porta per la quale entrano i veri pastori e dalla quale si esce per trovare il pascolo, cioè per essere salvi e per avere la vita in abbondanza. Applicando a sé l’immagine della porta, Gesù «esprime in maniera unitaria due fondamentali verità: da una parte, egli è mediatore della salvezza, via di accesso unica ai beni messianici; dall’altra, egli stesso è il nuovo Tempio, che si sostituisce definitivamente a quello vecchio materiale [Cf. Gv 2,13-22], cioè non più tramite ma luogo stesso in cui il nuovo Popolo trova la sua salvezza. Così si spiegano le promesse di una comunione piena e senza ostacoli tra Lui e i credenti [espressa mediante i termini contrari di entrare e di uscire], di pascolo e di nutrimento, anzi di vita data loro in abbondanza» (P. Adriano Schenker, o.p. - Rosario Scognamiglio, o.p.).
Gesù disse loro questa similitudine. Similitudine (paroimía) è un termine esclusivo di Giovanni, che ricorre ancora in 16,25.29, mentre i Sinottici parlano di parabola (parabolè), ma il senso è lo stesso. Gesù, palesemente, si rivolge ai farisei, guide cieche del popolo d’Israele: un duro rimprovero se la parabola è letta sopra tutto alla luce dei testi di Ez 34,1ss e di Zac 23,1-3.
In verità, in verità io vi dico... traslitterazione dell’ebraico amen e sta per certamente, veramente, sinceramente. Il suo uso dà autorevolezza al discorso. Gesù insegna con autorità (Cf. Lc 4,31) al contrario degli scribi (Cf. Mt 7,29) e dei profeti che usavano le parole “Dice il Signore”.
... io sono la porta delle pecore, questa affermazione riporta il lettore-credente a tutta una serie di analoghe affermazioni costruite con il verbo «Io sono», uniche nel discorrere giovanneo: il pane della vita (Gv 6,35.48.51), la luce del mondo (Gv 8,12), la risurrezione e la vita (Gv 11,25), la via, la verità e la vita (Gv 14,6), la vera vite (Gv 15,15). Queste affermazioni nelle menti occluse dei farisei avevano un effetto devastante. Gesù nei suoi insegnamenti si appropriava di questo attributo tipico di IAHWH (Cf. Es 3,14; Is 43,25) per manifestare la sua natura divina. Per le guide cieche d’Israele non poteva non essere che intollerabile e inaccettabile: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Scandalizzandosi e non accettando la rivelazione del Cristo, i farisei si pongono tra le fila di tutti coloro che sono venuti prima di lui, autodichiarandosi ladri e briganti. Chi si arroga il diritto di pascere le pecore di Dio rifiutando di passare dall’unica porta piomba nel mondo delle tenebre che, per così dire, è anteriore all’apparire di Cristo, luce del mondo. Vi è un solo modo per reggere legittimamente il gregge: bisogna passare per Gesù (Cf. Gv 21,15-17).
Io sono la porta... Gesù è la porta delle pecore: è l’unico mediatore della salvezza, «in nessun altro c’è salvezza» (Atti 4,12). Chi cerca «vita e felicità fuori e lungi dal Cristo, si illude: troverà solo amarezza e rovina. Chi si allontana dalla fonte d’acqua viva, si scava cisterne screpolate, incapaci di contenere acqua, o si abbevera ad acque limacciose e inquinate. Chi vuole conseguire la salvezza, servendosi di altri mediatori, giungerà alla perdizione. L’unico mediatore tra Dio e gli uomini è Gesù Cristo [1Tm 2,5]. Egli è l’unico salvatore del genere umano, il sigillo dell’amore del Padre per il mondo [Gv 3,16s; 1Gv 4,14-16]» (Salvatore A. Panimolle)

Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 8 Tutti coloro che sono venuti sono ladri e predoni; alcune testimonianze antiche omettono «tutti»; numerosi codici leggono: «[... che sono venuti] prima di me»; queste parole sembrano introdotte per desiderio di una maggiore precisazione. Il Maestro non intende condannare tutti coloro che lo hanno preceduto come Mosè ed i profeti; questi non si sono arrogati il titolo di «Messia» ma lo hanno preannunziato preparandone la venuta (cf. Giov., 5,39,45ss.; 8,56; 12,41). Questi ladri e predoni sono i falsi Messia, sono i capi zeloti che si spacciavano come i rivendicatori di Israele oppresso e che agitavano l’idea di un messianismo nazionale e glorioso, idea che non corrispondeva al messianismo religioso di Cristo. Altri esegeti pensano che Gesù rivolga queste dure parole ai farisei, i quali non erano certo guide religiose molto disinteressate (cf. Mt. ,23,1-36; Lc., 11 39-52).
versetto 9   Io sono la porta; qui la porta indica il luogo di passaggio delle pecore; si propone quindi un nuovo simbolismo della porta. Chi entrerà [passandoper me sarà salvo; il verbo σωθήσεται (sarà salvo) va preso nel suo significato semitico di «essere sano e salvo». I pastori che verranno in nome di Cristo agiranno con autorità e con animo sincero, essi condurranno le pecore verso pascoli buoni e pingui. Tali pastori non avranno da temere il giudizio di Dio (cf. 3,17; 5,24-29; 12,47). Egli entrerà ed uscirà; forma idiomatica ebraica che significa «andare e venire liberamente», «muoversi con piena libertà» (cf. Numeri, 27,17; Deuteronomio, 31,2 ecc.; Atti, 1,21). Pascolo; greco: νομή: luogo dove si rimane a pascolare (νέμω); il termine designa una vita prospera e sicura; cf. Salmo 23 [22], 2; Isaia, 49,9-10: Ezechiele, 34,14.

Il Signore è il mio pastore... Io sono il buon pastore, dice il Signore - L’immagine del Buon pastore è una somma di intense realtà: innanzi tutto, il rapporto intimo e personale tra Gesù e ogni seguace è lo stesso rapporto amoroso che intercorre tra lui e il Padre; poi, la sicurezza assoluta della salvezza che egli offre ai suoi discepoli: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28); e ancora, la sua signoria d’amore; la sua guida: Gesù è il pastore che conduce i suoi discepoli «alle fonti delle acque della vita» (Ap 7,17); la sua presenza costante nella vita del discepolo e della Chiesa, «fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); la sua sollecitudine che non conosce sosta: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (Lc 15,4); e infine, il suo amore fino al sacrifico estremo: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
Gesù si definisce il Buon Pastore, «ma egli non si accontenta di parole vaghe e diversamente interpretabili, perciò specifica chiaramente l’entità e la misura della sua bontà in quanto pastore. Il buon pastore è colui che dà la vita per le sue pecore; che ama cioè le sue pecore più di se stesso, ed è disposto a sacrificarsi per il suo gregge. Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i propri fratelli [Gv 15,13]” (Giorgio Fornasari).
 Gesù è il pastore inviato per riunire le pecore disperse d’Israele (Cf. Mt 2,6; 15,24). Ma Giovanni 10,16 - ho altre pecore che non sono di quest’ovile ...- fa intendere che esistono altri ovili, diversi da quello del giudaismo, che un giorno formeranno un solo gregge sotto un solo pastore, Gesù.
Sarà la missione della Chiesa (Cf. GS 92): una missione che superando i confini del popolo eletto raggiungerà ogni uomo sino agli angoli più sperduti della terra. Questo significa che i giudei, come eredi dell’elezione e delle promesse, dovevano ricevere per primi l’offerta della redenzione, ma la salvezza donata da Gesù non poteva interessare solo la nazione ebraica, ma tutto il mondo. Ebrei e pagani, schiavi e liberi, uomini e donne in Cristo costituiscono un unico gregge: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Se Gesù è il Pastore assediato da una banda di malvagi (Cf. Sal 22,17), i discepoli sono un piccolo gregge in mezzo a un branco di lupi: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). I lupi, travestendosi da agnelli (Mt 7,15), si confonderanno nel gregge, uccideranno il Pastore e disperderanno le pecore: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge» (Mt 26,31).
Il mondo allora si rallegrerà. I discepoli saranno afflitti, ma la loro afflizione si cambierà in gioia (Gv 16,20) perché il pastore risorgerà e ricostruirà il suo gregge (Cf. Mt 26,32). Salito al Cielo, Gesù continuerà a guidare il suo gregge fino al giorno in cui si ripresenterà a giudicare le sue pecore (Cf. 1Pt 5,4), separando queste dai capri, e premiando ciascuno secondo i propri meriti (Cf. Mt 25,3-46).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.” (Gv 10,14).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa:  O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato il mondo dalla sua caduta, donaci la santa gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...