30 Aprile 2019

Martedì II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.” (Cfr. Gv 3,15).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 3,7-15: Il colloquio con Nicodemo (Gv 3,1-21), maestro di Israele, procede tra lo scetticismo e lo stupore del visitatore notturno, e le rivelazioni di Gesù, che preannunciano il battesimo cristiano, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5) e la sua offerta vittimale per la salvezza del mondo, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (Gv 3,14-15). Gesù ricordando a Nicodemo l’episodio del serpente di bronzo che salvò gli ebrei dal morso dei serpenti brucianti, vuol suggerire che per essere salvati bisognerà «guardare» il Cristo «innalzato» sulla croce (cfr. Num 21,8; Zac 12,10; Gv 19,37), cioè credere che egli è il Figlio unigenito (cfr. Gv 3,18; Zac 12,10). La vita eterna promessa ai credenti (cfr. 2Cor 4,18), è già data loro (cfr. Gv 3,36; 5,24; 6,40.68; 1Gv 2,25), ma si compirà pienamente nella sua morte e risurrezione (cfr. Gv 6,39-40.54; 11,25-26; Mt 7,14; 18,8; 19,16).
La tradizione cristiana con l’espressione vita eterna indica la condizione di pace, di gioia, di beatitudine perfetta di chi, conclusa la vita eterna, è accolto nella comunione con Dio. Il termine vita riassume tutti i beni  derivano dall’essere in ineffabile comunione con Dio, e l’aggettivo eterna indica che sarà un bene irreversibile: un “appagamento eterno”, perpetuo e definitivo.

Come può accadere questo? - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Nicodemo non ha più parole; solo riesce a balbettare: «Com’è possibile che ciò avvenga?» (3,9). Qui cade il rimprovero di Gesù, che suona come una triste constatazione della situazione dei primari e privilegiati destinatari del regno: «Tu sei il maestro d’Israele e ignori queste cose?» (3,10). Nicodemo si era presentato come un maestro competente: «sap­piamo», e si sente dire: «ignori?». Il maestro d’Israele, che sempre aveva tra le mani la Scrittura, «ignorava queste cose». Preoccupato della morale, ignorava che la Scrittura annunzia anche, e soprattutto, il libero agire di Dio mediante Spirito che, simile al vento, si muove e agisce come vuole. Ne parlano abbondantemente i profeti, e in particolare il profeta Ezechiele.
Il profeta annunzia che Dio, mediante lo Spirito trasforma le ossa aride in esseri viventi (c. 37) e profetizza ciò che avverrà un giorno sui monti di Israele: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò da voi cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti...» (36,25-27).
Per Gesù lo Spirito fa qualcosa di più: trasforma radicalmente l’uomo: lo fa rinascere, lo fa diventare «figlio di Dio» (1,12). È di questo dono che ha bisogno l’uomo, se vuol vedere, sperimentare, cioè entrare nel regno di Dio per partecipare alla nuova vita.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Come Mosè innalzò il serpente nel deserto; l’evangelista afferma una nuova verità che viene a integrare la prima; tra le due affermazioni non vi è un nesso logico stretto, ma piuttosto un richiamo vicendevole. Giovanni, dopo aver parlato della nascita dall’alto che si ottiene per mezzo dall’acqua e dello Spirito (battesimo), passa a indicare per mezzo di quale prezzo l’uomo ha ricevuto tale dono. Le dichiarazioni di Cristo usano un linguaggio allusivo pieno di dottrina (innalzare).
«Mosè innalzò il serpente nel deserto»; si richiama l’episodio del serpente di bronzo elevato come un vessillo da Mosè, durante la peregrinazione del popolo eletto nel deserto, per la guarigione di quegli israeliti che erano stati morsi dai serpenti (cf. Numeri, 21,4-9; Sapienza, 16,6-7). Così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo; «innalzare» (ὑψόω) è il verbo scelto dal quarto evangelista per indicare la crocifissione di Gesù (cf. Giov., 8,26; 12,32,34); il verbo tuttavia insinua anche l’idea della glorificazione del Figlio dell’uomo, cioè dell’elevazione di Cristo alla gloria presso il Padre (cf. Atti, 2, 33; 5, 31). Il libro della Sapienza afferma che il serpente elevato da Mosè nel deserto rappresenta «un segno di salvezza»(σύμβολον σωτηρίας; Sapienza, 16,6-7); Gesù applica a sé questo segno salvifico. Non si può precisare fino nei più minuti particolari il parallelo che corre tra il serpente del deserto (tipo) e Gesù innalzato sulla croce (anti-tipo). Per avere una corrispondenza tra il serpente del deserto e Gesù innalzato sulla croce basta pensare che i due fatti sono considerati come segni apportatori di salvezza. Come si vede chiaramente dal testo, l’annunzio della passione è fatto in termini ancora velati; più avanti Gesù parlerà con un linguaggio più esplicito ed anche più crudo intorno al destino che lo attende; tale linguaggio richiama le predizioni della passione, riferite dai sinottici. Affinché ognuno che credeper mezzo di lui abbia la vita eterna; altri traducono: «affinché ognuno che crede in lui abbia la vita eterna»; preferiamo la versione indicata, perché più rispondente al contesto in cui si trova. La croce appare come il mezzo della rigenerazione e della salvezza dell’uomo. È necessario credere al sacrificio della croce come anche all’efficacia della nascita per mezzo dell’acqua e dello Spirito. Le due verità si trovano giustapposte nel presente discorso; la loro vicinanza dimostra che l’efficacia del battesimo (nascita dall’alto) proviene dal sacrificio della croce.

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto - Henri van de Bussche (Giovanni): [...] la morte di Gesù non è più un dramma per Giovanni, essa è elevazione (hupsósis) nel duplice significato di elevazione sulla croce e di elevazione alla gloria. Questo duplice significato può essere attribuito alla parola greca, perché può essere attribuito al verbo aramaico corrispondente. Infine Giovanni si ispira forse al quarto canto del Servo sofferente, benché quest’ultimo non sia innalzato e glorificato se non dopo la sua morte (Is. 52,13). Per Giovanni il Gesù crocifisso è il Gesù glorificato.
Questo aspetto dell’Ora indivisibile che è la croce contiene una rivelazione escatologica così paradossale che sarà incomprensibile per il rabbino e per i giudei. Il paradosso della croce sigillerà definitivamente l’incredulità giudaica. Se ne trova una prefigurazione nell’Antico Testamento: i giudei nel deserto dovevano innalzare gli sguardi verso il serpente elevato per essere liberati dalla piaga dei serpenti; così quando comincerà il tempo fi­nale, si dovranno innalzare gli sguardi verso l’Ucciso per essere liberati dalla morte e possedere la vita. Così è stabilito nel piano della salvezza divina: dovrà essere innalzato il Figlio dell’uomo. Questo dovrà lo si ritrova nelle profezie sinottiche della passione (per esempio Mc. 8,31), ma la sorte dolorosa riservata al Figlio dell’Uomo là è descritta in funzione della sofferenza del Servo sofferente e del fatto reale della passione di Gesù. Qui la sofferenza è anche glorificazione, e il «dei» (occorre) divino della profezia si realizza attraverso l’ironia dell’errore. Infatti i giudei daranno corso alla elevazione (in croce), ma senza rendersi conto che colui che essi mettono a morte diventa sorgente di vita. Questo paradosso non può essere compreso da nessuno, se lo Spirito non lo illumina (15,26; 16,8-11).

Chiunque crede in lui abbia la vita eterna: Benedetto XVI (Omelia 4 Novembre 2010): L’espressione «vita eterna» ... designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. È quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne. Gesù, nella conversazione con Nicodemo, svela il senso più profondo di quell’evento di salvezza, rapportandolo alla propria morte e risurrezione: il Figlio dell’uomo deve essere innalzato sul legno della Croce perché chi crede in Lui abbia la vita. San Giovanni vede proprio nel mistero della Croce il momento in cui si rivela la gloria regale di Gesù, la gloria di un amore che si dona interamente nella passione e morte. Così la Croce, paradossalmente, da segno di condanna, di morte, di fallimento, diventa segno di redenzione, di vita, di vittoria, in cui, con sguardo di fede, si possono scorgere i frutti della salvezza.

Il valore incomparabile della persona umana - Evangelium vitae 2: L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (cf. 1Gv 3,1-2). Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell’uomo e della donna. Essa, in verità, non è realtà «ultima», ma «penultima»; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
La Chiesa sa che questo Vangelo della vita, consegnatole dal suo Signore, ha un’eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente. Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica.
Questo diritto devono, in modo particolare, difendere e promuovere i credenti in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità ricordata dal Concilio Vaticano II: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità non solo l’amore sconfinato di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16), ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana.
E la Chiesa, scrutando assiduamente il mistero della Redenzione, coglie questo valore con sempre rinnovato stupore e si sente chiamata ad annunciare agli uomini di tutti i tempi questo «vangelo», fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo.
È per questo che l’uomo, l’uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale via della Chiesa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Per Gesù lo Spirito fa qualcosa di più: trasforma radicalmente l’uomo: lo fa rinascere, lo fa diventare «figlio di Dio» (1,12). È di questo dono che ha bisogno l’uomo, se vuol vedere, sperimentare, cioè entrare nel regno di Dio per partecipare alla nuova vita.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi al tuo popolo, Dio misericordioso, di proclamare la potenza del Signore risorto, perché in lui, sacramento universale di salvezza, manifesti al mondo la pienezza della vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...