9 Marzo 2019

Sabato dopo le Ceneri

Oggi Gesù ci dice: “Io non godo della morte del malvagio ma che si converta dalla sua malvagità e viva.” (Ez 33,11 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 5,27-32: Gesù è venuto a portare salvezza: la sua salvezza è per tutti. E a sottolinearlo è la chiamata di Matteo-Levi unanimemente considerato un peccatore pubblico. Chi si crede a posto con Dio, chi pone sicurezza e vanto nelle sue opere, rischia di diventare sordo e non udire la voce di Dio che lo chiama a salvezza.

Il Vangelo di ci mostra il Cristo che chiama Matteo-Levi, che per il mestiere era considerato un pubblico peccatore: «Cristo non si vergogna di chiamare Matteo. E perché stupirci che Cristo non abbia avuto vergogna di chiamare un pubblicano, quando non solo non si vergognò di chiamare una donna peccatrice, ma le permise anche di baciare i suoi piedi e di bagnarli con le sue lacrime? [cf. Lc 7,36-50]. Proprio per questo Gesù era venuto: non solo per curare i corpi dalle loro infermità, ma per guarire anche le anime dalle loro iniquità» (Giovanni Crisostomo).
Quindi, quello di Levi, non è l’unico contatto tra il Cristo e il peccato. Gesù è il buon pastore che difende le pecore dai lupi offrendo la sua vita, va in cerca di quella smarrita e di quelle che non fanno parte del suo ovile (Mt 18,12ss; Gv 10,1ss). La parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) manifesta palesemente i sentimenti di misericordia del Padre e del Figlio, sommo sacerdote misericordioso che sa «compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15-16).
Gesù, durante la sua vita, ha dimostrato a fatti, oltre che a parole, la sua misericordia verso i peccatori. Va in casa di Zaccheo, «capo dei pubblicani e ricco», offrendogli la salvezza e un’abbondante moratoria per quanto riguarda tutti i suoi peccati di avarizia (Lc 19,1-10). Il buon ladrone addirittura è il primo santo canonizzato dallo stesso Fondatore della Chiesa (Lc 23,43). Sulla croce prega e scusa i suoi crocifissori (Lc 23,34). Gesù è la «vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2). In questo modo, Gesù è il «sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17). Lasciando il mondo, trasmette agli Apostoli e ai loro successori il potere di rimettere i peccati (Mt 18,18; Gv 20,23). Cristo volendo che la sua attività sacerdotale continuasse sulla terra fino alla fine del mondo, poiché il suo sacerdozio «non doveva estinguersi con la morte [Eb 7,24-27]», volle lasciare alla Chiesa, «un sacrificio visibile [...], con cui venisse significato quello cruento che avrebbe offerto una volta per tutte sulla croce prolungandone la memoria fino alla fine del mondo, e applicando la sua efficacia salvifica alla remissione dei nostri peccati quotidiani» (Concilio di Trento, Sess. 22°). Così che ogni volta che «si celebra sull’altare il sacrifico della croce col quale “Cristo nostra pasqua è stato immolato” [1Cor 5,7], si compie l’opera della nostra redenzione» (LG 3).
Nella Messa, esplosione della misericordia divina, Dio in Cristo dichiara il suo amore eterno alla sua creatura; nel Pane Eucaristico il credente gode della misericordia e del perdono di Cristo, «sommo sacerdote santo e innocente» (Eb 7,26).

Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte: Gesù mette gli occhi su un pubblicano, una di quelle persone che i dottori della legge associano regolarmente ai ladri e il Nuovo Testamento ai peccatori, perché il più delle volte abusano della loro carica per arricchirsi ingiustamente (cfr. Lc 3,12-13); si tratta di un escluso dalla «buona e santa società». Levi allora, «lasciando ogni cosa, si alzò e lo seguì». All’idea della rottura radicale cara a Luca (cfr. 5,11), se ne può aggiungere una seconda, considerando che molti codici greci usano il verbo all’imperfetto («lo seguiva»): non descrive più il gesto iniziale, ma l’inizio di una situazione di vita permanente.
Quello che segue è inserito nella cornice di un banchetto offerto da Levi. Insieme a Gesù, egli vi invita «un gran numero di pubblicani e di altra gente» simile. Ne nasce una prima disputa (vv. 29-32). I farisei e i dottori della legge non possono, per principio, sedere alla stessa mensa; occorre quindi immaginarli alle finestre, che spiano la scena! Essi «mormorano»: una parola che evoca la ribellione di Israele contro Dio (Es 15,24). Poiché la mensa costituisce per loro il luogo della separazione, si rivolgono ai discepoli ingiungendo loro di giustificare questo comportamento contrario alla legge. Nel racconto, si intravedono in filigrana le critiche di queste persone riguardo la mensa in comune che si adotterà nella Chiesa dopo Pasqua... Costoro non comprendono che una tale ospitalità testimonia la grazia che Dio offre ai peccatori.
Gesù giustifica in due modi il comportamento dei suoi discepoli. Anzitutto con un proverbio che fa parte della sapienza dei popoli. Poi con un detto sulla propria missione: colui che doveva venire (cfr. 7,19) è attualmente all’opera per guarire e «chiamare i peccatori affinché si convertano». Aggiungendo quest’ultima espressione, assente in Mc 2,17, Luca mette in rilievo il carattere esigente della chiamata di Gesù. Come Levi, il cristiano deve mutare radicalmente vita per seguire Gesù in maniera stabile (v. 28). Alla grazia di Dio che viene offerta corrisponde una richiesta fatta all’uomo. Qualunque sia stato il loro passato, i credenti che dividono lo stesso pastorella comunità ecclesiale non devono più, ormai, tenere un comportamento che spezzerebbe il rinnovato rapporto con Dio

Seguimi! - Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 agosto 2006): [...] Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr. Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18,11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17). Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore!

Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?: Catechismo della Chiesa Cattolica 588-589: Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori con la stessa familiarità con cui pranzava con loro. Contro quelli tra i farisei “che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9), Gesù ha affermato: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei che, essendo il peccato universale, coloro che presumono di non aver bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto. Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori con l’atteggiamento di Dio stesso a loro riguardo. È arrivato a lasciar intendere che, sedendo a mensa con i peccatori, [Lc 15,1-2] li ammetteva al banchetto messianico. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Infatti, come costoro, inorriditi, giustamente affermano, solo Dio può rimettere i peccati. Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa uguale a Dio, oppure dice il vero e la sua Persona rende presente e rivela il Nome di Dio.

Caratteristiche ed esigenze del Regno - Redemptoris Missio 14: Gesù rivela progressivamente le caratteristiche ed esigenze del regno mediante le sue parole, le sue opere e la sua persona. Il regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti chiamati a esserne membri. Per sottolineare questo aspetto, Gesù si è avvicinato soprattutto a quelli che erano ai margini della società, dando a essi la preferenza quando annunziava la «buona novella». All’inizio dei suo ministero egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio. (Lc 4,18) A tutte le vittime del rifiuto e del disprezzo dichiara: «Beati voi poveri» (Lc 6,20); inoltre, a questi emarginati fa già vivere un’esperienza di liberazione stando con loro (Lc 5,30); (Lc 15,2) andando a mangiare con loro, trattandoli come uguali e amici (Lc 7,34), facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori. (Lc 15,1)
La liberazione e la salvezza, portate dal regno di Dio raggiungono la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il perdonare. Le molteplici guarigioni dimostrano la sua grande compassione di fronte alle miserie umane; ma significano pure che nel regno non vi saranno più né malattie né sofferenze e che la sua missione mira fin dall’inizio a liberare le persone da esse. Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione dal peccato. Compiendo gesti di guarigione, Gesù invita alla fede, alla conversione, al desiderio di perdono. (Lc 5,24) Ricevuta la fede, la guarigione spinge a proseguire più lontano: introduce nella salvezza. (Lc 18,42) I gesti di liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e simbolo del peccato e della ribellione contro Dio, sono segni che «il regno di Dio è giunto fra voi». (Mt 12,28)

Levi capì di essere un peccatore e si fece agguantare dalla grazia, ma oggi, in un mondo dove tutto, o quasi tutto, è lecito, quanti hanno la consapevolezza di essere peccatori? Rino Cammilleri, «uno degli scrittori più apprezzati per le sue doti di ironico e irriverente polemista», nel suo libro Nuovi consigli del diavolo custode a proposito dell’Anticristo e dell’apostasia propone, facendo parlare un immaginario diavolo custode, avanza un’accattivante ipotesi. «Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi parla del futuro, dell’“apostasia” che dovrà venire e dell’“uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, colui che si oppone e si innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è oggetto di culto”. Tutti hanno sempre pensato che si riferisse all’Anticristo, e quest’ultimo è stato sempre immaginato come un essere titanico. E se invece si trattasse non di uno ma di molti? E se questi fossero non titani ma figure scialbe e perfino ridicole nel loro attivismo petulante? Se non fossero che dei fastidiosi insetti, cocciuti come mosche e insistenti come zanzare che, dài e dài, riescono a sfinirti, a farti chiudere in casa, a cedere loro per amore di una tranquillità che, dài e dài, si riduce sempre più? Se ci foste già in mezzo, all’“apostasia”?». E più avanti, argutamente, fa balenare l’idea che questo processo di secolarizzazione, nel tempo in cui viviamo, «ha ormai superato la fase esclusivamente religiosa e scava ben più a fondo ... l’autorità, l’esercito, la morale, la famiglia ... Perfino la differenza tra maschi e femmine» (pp.151-155). Questa ultima affermazione è solo cronaca scontata. Il cancro che ha scavato «ben più a fondo» è sotto i nostri occhi: aborto, divorzio, eutanasia, droga, unioni gay e lesbiche, pornografia e pedofilia che impazzano su televisione, cinema, cellulari e internet, prostituzione dilagante ... cancro che ha corrotto la famiglia, la scuola, i giovani ... Cronaca che da sempre come gas nervino aggredisce e paralizza l’uomo, e che forse oggi è più asfissiante a causa della perdita del senso del peccato così come ebbe a dire Pio XII: «Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato» (Discorsi Radio Messaggi, VIII - 1946). 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  «Il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato».
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente, la debolezza dei tuoi figli, e a nostra protezione e difesa stendi il tuo braccio invincibile. Per il nostro Signore Gesù Cristo...