3 Marzo 2019

VIII Domenica del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita.” (Fil 2,15d-16a - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 6,39-45: Il brano lucano è composto da diversi elementi: la parabola del cieco (v. 39: Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?). Il discorso sul discepolo (v. 40: Un discepolo non è più del maestro. È come dire che ognuno deve imparare a stare al suo posto. Cf. Mt 16,23). La parabola della pagliuzza e della trave (vv. 41s: Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?). Queste parole di Gesù non ammettono deroghe, ed invitano a guardarci dentro. Chi trancia giudizi, chi condanna, chi arriva superficialmente e frettolosamente a conclusioni che poi si manifestano inevitabilmente errate, non ha fatto un cammino umano, che in definitiva è il cammino necessario per approdare ad essere discepolo di Cristo. Con queste parole Gesù «ci fornisce un’utile indicazione, che potremmo dire “pastorale”. La tentazione spesso è, purtroppo, quella di condannare i difetti e i peccati altrui, senza riuscire a vedere i propri con altrettanta lucidità. Come allora rendersi conto se il proprio occhio è libero o se è impedito da una trave? Gesù risponde: “Ogni albero si riconosce dal suo frutto” (Lc 6,44). Tale sano discernimento è dono del Signore, e va implorato con preghiera incessante. È al tempo stesso conquista personale che domanda umiltà e pazienza, capacità di ascolto e sforzo di comprensione degli altri. Queste caratteristiche debbono essere di ogni vero discepolo e comportano impegno nonché spirito di sacrificio. Se talora può sembrare arduo seguire il Signore su questo cammino, ricorriamo al sostegno e all’intercessione di Maria» (Giovanni Paolo II, Omelia 25 Febbraio 2001). Alla parabola della pagliuzza e della trave segue la parabola dell’albero e dell’albero cattivo (vv 43-45). E infine, il detto sull’uomo buono e dell’uomo cattivo (v. 46. Cf. Lc 13,6-9; Mt 7,15,20; 12,31-37; Mc 3,28). Con questo detto Gesù vuol suggerire ai suoi discepoli che tutto dipende dal cuore. Secondo la mentalità ebraica il cuore è “la sede, la fonte ultima di tutti i pensieri-parole-gesti dell’uomo. Gesù insegna chiaramente: un cristiano autentico lo si riconosce dalle opere che fa, ma il suo vero valore lo si verifica nel più profondo del cuore. E Dio, che legge nei cuori degli uomini [At 1,24; 15,8], è l’unico vero giudice!” (Carlo Ghidelli, Luca).

Disse loro anche una parabola - Hugues Cousin (Vangelo di Luca): Luca segnala improvvisamente al suo lettore che si trova di fronte a una «parabola»: il termine invita a cercare il senso delle parole senza fermarsi alle immagini. Cominciamo col ritrovarvi il rifiuto di giudicare gli altri, poiché diversi detti isolati di Gesù sono stati raggruppati per associazione di idee. La frattura di stile provocata dal v. 39a è significativa: essa serve a dimostrare il mutamento dei personaggi verso i quali il discepolo deve mostrarsi benevolo; dopo il nemico, ecco il fratello, l’altro all’interno della comunità ecclesiale.
Ma attenzione! Non giudicare non significa mettere tutto sullo stesso piano (vv. 39-42)! Molti cristiani sono ben lontani dall’aver raggiunto l’età adulta nell’ambito della vita cristiana (cfr. 1 Cor 3,1-3); essendo ciechi, essi non possono pretendere di guidare gli altri verso la piena luce della fede, né di criticarli. L’esistenza nella fede è una lunga preparazione alla perfezione (lasciarsi «ben formare»), alla fine, il discepolo «sarà come il maestro», il Cristo, il quale era convinto che chiunque poteva convertirsi, mutare il corso della propria vita. Che ognuno si formi alla scuola di Gesù, la cui misericordia verso i peccatori lo autorizzava a guidare gli altri. D’altra parte è da ipocriti, da commedianti, esaltare una strada giusta che nemmeno noi percorriamo. Soltanto una conversione perseguita incessantemente, che sfocia in un comportamento autentico, fa uscire dalla cecità e autorizza a permettersi di correggere il comportamento degli altri.

Un discepolo non è più del maestro - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Non v’è discepolo al di sopra del maestro; in Matteo l’affermazione ricorre in altro contesto ed ha un senso differente da quello inteso da Luca nel passo attuale; queste parole in Mt.,10,24-25 significano che la sorte del discepolo di Cristo non può essere diversa da quella riservata al Maestro; perciò come Gesù fu osteggiato e perseguitato, così anche i suoi discepoli dovranno subire ostilità e persecuzioni. L’affermazione di Luca, presa in senso assoluto, significa che ogni discepolo, anche quando avrà raggiunto la sua perfezione, non supererà il Maestro; tuttavia non si vede con chiarezza il nesso che lega questo versetto con il contesto. Il senso dell’affermazione sembra essere il seguente: chi vuol esser la guida degli altri deve essere perfetto, perché nessun discepolo è superiore al maestro; il discepolo quindi deve raggiungere la perfezione del maestro poiché soltanto chi è maestro ha l’esatta conoscenza delle cose e, di conseguenza, può essere una guida illuminata.

Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo - Mario Galizzi (Vangelo secondo Luca): Come primo requisito per essere guida degli altri, come Gesù, ed essere in grado di togliere la pagliuzza dall’occhio del proprio fratello di fede, bisogna avere l’occhio limpido, pulito, perspicace. Qui è del mutuo aiuto che si parla, di quella correzione fraterna che è necessaria (Luca vi accennerà in 17,3), ma impossibile e uno avesse una trave nel suo occhio: vedrebbe tutto nero, giudicherebbe gli altri senza la bontà di Dio (6,36), sarebbe un ipocrita, incapace di cercare il bene degli altri, appunto perché egli stesso è diventato cieco.
Tutti però sappiamo che non si riesce a lungo a nascondere l’ipocrisia. Ce lo dice Gesù, prima in immagini (6,43-44) e poi senza mezzi termini.
Come non ci si può aspettare frutti buoni da un albero cattivo, così non usciranno cose buone da un cuore colmo di cattiveria. La qualità del discepolo appare da quello che fa, da ciò che tira fuori dal suo cuore. Tiriamone allora le conseguenze: la vita del discepolo non è un semplice impegno per una società migliore, ma un impegno sociale che lo renda migliore, come il suo Maestro, e lo trasformi in profondità. La vita cristiana ha come scopo fondamentale quello di creare uomini autentici, come Gesù. Egli dice a tutti: «Se vuoi essere mio discepolo, sii un uomo vero, autentico; costruisci bene la tua vita».

Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Per sapere se uno che insegna sia degno di fede, bisogna considerare come indizio sicuro le sue azioni. Dai frutti si conosce l’albero. Le buone azioni sono i frutti che maturano sull’albero sano, le cattive azioni sono come la frutta guasta di un albero malato. La mancanza di azioni indica che un uomo è come un albero che non porta frutti. Naturalmente non ci si può attendere fichi dai cardi e grappoli di uva dalle spine.
Non è dunque l’aspetto esteriore di un uomo, non sono le sue belle parole, le sue promesse allettanti ed i suoi programmi risonanti, l’espansione dei suoi sentimenti e la gamma dei suoi umori, a fornire il criterio per una giusta valutazione; ma soltanto le sue azioni e la sua vita possono manifestare la sincerità delle sue intenzioni e quindi la rettitudine della sua condotta. Intenzione e azione formano in fondo una sola cosa. E questa unità è il solo contrassegno sicuro della verità.
Il discorso della montagna, presente nel Vangelo di Matteo e qui ripreso da Luca che lo ambienta in aperta campagna, si chiude con un quadro che mostra l’importanza dell’azione. Una casa fon­data sulla roccia resiste malgrado la tempesta. Una casa costruita sulla sabbia, rovina con la piena dell’acqua.
Nel regno di Dio costruisce la sua casa su terreno roccioso ogni uomo che non solo ascolta, ma mette in pratica. Chi invece ascolta e approva, anche se con entusiasmo, senza però conformare all’insegnamento udito la sua condotta, costruisce sulla sabbia. Solo un agire cristiano, come espressione di una vita interiore cristiana, è vero cristianesimo.

L’ipocrita è un cieco che inganna se stesso - Xavier Léon-Dufour (Ipocrita in Dizionario di Teologia Biblica): Il formalismo può essere guarito, ma l’ipocrisia è vicina all’ndurimento. I «sepolcri imbiancati » finiscono per prendere come verità ciò che vogliono far credere agli altri: si credono giusti (cfr. Lc 18,9; 20,20) e diventano sordi ad ogni appello alla conversione.
Come un attore di teatro (in gr. hypocritès), l’ipocrita continua a recitare la sua parte, tanto più che occupa un posto elevato e si obbedisce alla sua parola (Mt 23,2s). La correzione fraterna è sana, ma come potrebbe l’ipocrita strappare la trave che gli impedisce la vista, quando pensa soltanto a togliere la pagliuzza che è nell’occhio del vicino (7,4s; 23,3s)? Le guide spirituali sono necessarie in terra, ma non prendono il posto stesso di Dio quando alla legge divina sostituiscono tradizioni umane? Sono ciechi che pretendono di guidare gli altri (15,3-14), e la loro dottrina non è che un cattivo lievito (Lc 12,1). Ciechi, essi sono incapaci di riconoscere i segni del tempo, cioè di scoprire in Gesù l’inviato di Dio, ed esigono un «segno dal cielo» (Lc 12,56; Mt 16,1ss); accecati dalla loro stessa malizia, non sanno che farsene della bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene (Lc 13,15); se osano immaginare che Beelzebul è all’origine dei miracoli di Gesù, si è perché da un cuore malvagio non può uscire un buon linguaggio (Mt 12,24.34).
Per infrangere le porte del loro cuore, Gesù fa loro perdere la faccia dinanzi agli altri (Mt 23,1ss), denunziando il loro peccato fondamentale, il loro marciume segreto (23,27s): ciò è meglio che lasciarli condividere la sorte degli empi (24,51; Lc 12,46). Qui Gesù si serviva indubbiamente del termine aramaico hanefa, che nel VT significa ordinariamente «perverso, empio»: l’ipocrita può diventare un empio. Il quarto vangelo cambia l’appellativo di ipocrita in quello di cieco: il peccato dei Giudei consiste nel dire: «Noi vediamo», mentre sono ciechi (Gv 9,40).

L’Ottavo Comandamento - Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica 521: Ogni persona è chiamata alla sincerità e alla veracità nell’agire e nel parlare. Ognuno ha il dovere di cercare la verità e di aderirvi, ordinando tutta la propria vita secondo le esigenze della verità. In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente: egli è la Verità. Chi segue lui vive nello Spirito di verità, e rifugge la doppiezza, la simulazione e l’ipocrisia.
523: L’ottavo Comandamento proibisce: la falsa testimonianza, lo spergiuro, la menzogna, la cui gravita si commisura alla verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore e ai danni subiti dalle vittime; il giudizio temerario, la maldicenza, la diffamazione, la calunnia che diminuiscono o distruggono la buona reputazione e l’onore, a cui ha diritto ogni persona; la lusinga, l’adulazione o compiacenza, soprattutto se finalizzate a peccati gravi o al conseguimento di vantaggi illeciti. Una colpa commessa contro la verità comporta la riparazione, se ha procurato un danno ad altri.
524: L’ottavo Comandamento chiede il rispetto della verità, accompagnato dalla discrezione della carità: nella comunicazione e nell’informazione, che devono valutare il bene personale e comune, la difesa della vita privata, il pericolo di scandalo; nel riserbo dei segreti professionali, che vanno sempre mantenuti tranne in casi eccezionali per gravi e proporzionati motivi. Cosi pure è richiesto il rispetto delle confidenze fatte sotto il sigillo del segreto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita.” (Fil 2,15d-16a).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...