2 Marzo 2019

Sabato VII Settimana del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso.” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 10,13-16: Gesù, nonostante l’ostruzionismo degli Apostoli, accoglie dei bambini che gli vengono presentati «perché li accarezzasse». Gesù acconsente e «prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva». Un gesto di tenerezza che rivela i sentimenti di Gesù verso i più piccoli, gli indifesi, verso coloro che nella società giudaica non contavano affatto. In questo gesto di profonda e sincera tenerezza c’è una rivoluzione a trecentosessanta gradi. Se per l’ambiente giudaico solo l’adulto poteva raggiungere il regno di Dio perché capace di porre atti coscienti, nel magistero di Gesù invece lo si può solo ricevere, come dono gratuito, facendosi appunto bambini.

… a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio - Catechismo della Chiesa Cattolica 526: “Diventare come i bambini” in rapporto a Dio è la condizione per entrare nel Regno; per questo ci si deve abbassare, si deve diventare piccoli; anzi, bisogna “rinascere dall’alto” (Gv 3,7), essere generati da Dio per “diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Il Mistero del Natale si compie in noi allorché Cristo “si forma” in noi. Natale è il Mistero di questo “meraviglioso scambio”: [...] O meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità.

… li benediceva, ponendo le mani su di loro - Catechismo della Chiesa Cattolica 699: Imponendo le mani Gesù guarisce i malati e benedice i bambini. Nel suo Nome, gli Apostoli compiranno gli stessi gesti. Ancor di più, è mediante l’imposizione delle mani da parte degli Apostoli che viene donato lo Spirito Santo. La Lettera agli Ebrei mette l’imposizione delle mani tra gli “articoli fondamentali” del suo insegnamento. La Chiesa ha conservato questo segno dell’effusione onnipotente dello Spirito Santo nelle epiclesi sacramentali.

La benedizione - Peter Weimar1. Nell’Antico testamento la benedizione è la promessa di una forza salutare (cf. Gen 1,22.28). Le storie dei patriarchi derivanti dalla tradizione del clan (Gen 12-50) mostrano ancora chiaramente una concezione magica della benedizione (cf. Gen 27). La benedizione veniva data dal padre al figlio maschio con un rito composto di fatti e parole; la benedizione, comunque, una volta data è irrevocabilmente efficace e operativa. Questa rappresentazione non storica e non teologica della benedizione fu eliminata dallo  jahwista. Nella promessa della benedizione, egli la collegò con la storia (Gen 12,1-3) e JHWH stesso divenne l’unico che benedice (cf. Nm 22-24). Nel Deuteronomio la benedizione, che si manifesta soprattutto nei frutti della terra (Dt 28,3-6) è rivolta al popolo d’Israele.
Questa benedizione però si rende efficace soltanto se Israele ubbidisce a JHWH; la benedizione ha il suo limite nella maledizione (Dt 7,12-16; 28,lss.15ss). Nel tempo posteriore, la benedizione trova la sua collocazione vera e propria nella celebrazione della liturgia comunitaria, come mostrano soprattutto i Salmi e la formula sacerdotale di benedizione riportata in Nm 6,22-27. La benedizione veniva impartita dal sacerdote (cf. Sal 118,26) alla fine della celebrazione liturgica, come anche originariamente veniva data al momento del commiato (cf. la serie di benedizioni in Gen 49 e Dt 33). - 2. Il Nuovo Testamento si pone sulla linea delle concezioni veterotestamentarie e giudaiche. Colui che benedice ora è soprattutto Gesù (Mc 10,16; Lc 24,50; Mt 26,26; At 3,26), in seguito però anche i discepoli (Mt 5,44; Rm 12,14; 1Pt 3,9). Il lodare e ringraziare Dio può esser definito come “benedire-Dio” (Lc 2,28; 24,53). 

Lasciate che i bambini vengano a me: Christifideles laici 47: I bambini sono certamente il termine dell’amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr. Mt 19,13-15; Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me” (Mt 18,3-5; cfr. Lc 9,48). I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l’intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza. Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell’età dell’infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l’edificazione della Chiesa che per l’umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all’interno della famiglia “Chiesa domestica”: “I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori” (GS 48), dev’essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale “i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa” (Ioannis Gerson “De parvulis ad Christum trehendis: Oeuvres complete”, Declée, Paris 1973, IX, 669).    

I diritti del bambino - Familiaris consortio 26: Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto ed un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato.
Sollecitando e vivendo una premura tenera e forte per ogni bambino che viene in questo mondo, la Chiesa adempie una sua fondamentale missione: è chiamata, infatti, a rivelare e a riproporre nella storia l’esempio e il comandamento di Cristo Signore, che ha voluto porre il bambino al centro del Regno di Dio: «Lasciate che i bambini vengano a me... perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Lc 18,16; cfr. Mt 19,14; Mc 10,14).
Ripeto nuovamente quanto ho detto all’assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 Ottobre 1979: «Desidero... esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle presenti patrie terrene. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l’immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito, negli anni dell’infanzia e della giovinezza, è la primaria e fondamentale verifica della relazione dell’uomo all’uomo. E perciò, che cosa di più si potrebbe augurare a ogni nazione e a tutta l’umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore futuro in cui il rispetto dei diritti dell’uomo diventi piena realtà nelle dimensioni del duemila che si avvicina?» (2 Ottobre 1979).
L’accoglienza, l’amore, la stima, il servizio molteplice ed unitario - materiale, affettivo, educativo, spirituale - per ogni bambino che viene in questo mondo dovranno costituire sempre una nota distintiva irrinunciabile dei cristiani, in particolare delle famiglie cristiane: così i bambini, mentre potranno crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), porteranno il loro prezioso contributo all’edificazione della comunità familiare e alla stessa santificazione dei genitori (cfr. «Gaudium et spes », 48).

... a sua immagine li formò (Sir 17,3; cfr. I Lettura): Evangelium vitae 34: La vita è sempre un bene. È, questa, una intuizione o addirittura un dato di esperienza, di cui l’uomo è chiamato a cogliere la ragione profonda.
Perché la vita è un bene? L’interrogativo attraversa tutta la Bibbia e fin dalle sue prime pagine trova una risposta efficace e mirabile. La vita che Dio dona all’uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere della terra (cf. Gn 2,7; 3,19; Gb 34, 15; Sal 103/102,14; 104/103,29), è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria (cf. Gn 1,26-27; Sal 8,6). È quanto ha voluto sottolineare anche sant’Ireneo di Lione con la sua celebre definizione: «l’uomo che vive è la gloria di Dio». All’uomo è donata un’altissima dignità, che ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell’uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Lo afferma il libro della Genesi nel primo racconto delle origini, ponendo l’uomo al vertice dell’attività creatrice di Dio, come suo coronamento, al termine di un processo che dall’indistinto caos porta alla creatura più perfetta. Tutto nel creato è ordinato all’uomo e tutto è a lui sottomesso: «Riempite la terra; soggiogatela e dominate... su ogni essere vivente» (1,28), comanda Dio all’uomo e alla donna. Un messaggio simile viene anche dall’altro racconto delle origini: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2,ù15). Si riafferma così il primato dell’uomo sulle cose: esse sono finalizzate a lui e affidate alla sua responsabilità, mentre per nessuna ragione egli può essere asservito ai suoi simili e quasi ridotto al rango di cosa.
Nella narrazione biblica la distinzione dell’uomo dalle altre creature è evidenziata soprattutto dal fatto che solo la sua creazione è presentata come frutto di una speciale decisione da parte di Dio, di una deliberazione che consiste nello stabilire un legame particolare e specifico con il Creatore: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gn 1,26). La vita che Dio offre all’uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura.
Israele si interrogherà a lungo sul senso di questo legame particolare e specifico dell’uomo con Dio. Anche il libro del Siracide riconosce che Dio nel creare gli uomini «secondo la sua natura li rivestì di forza, e a sua immagine li formò» (17,3). A ciò l’autore sacro riconduce non solo il loro dominio sul mondo, ma anche le facoltà spirituali più proprie dell’uomo, come la ragione, il discernimento del bene e del male, la volontà libera: «Li riempì di dottrina e d’intelligenza, e indicò loro anche il bene e il male» (Sir 17,6). La capacità di attingere la verità e la libertà sono prerogative dell’uomo in quanto creato ad immagine del suo Creatore, il Dio vero e giusto (cf. Dt 32,4). Soltanto l’uomo, fra tutte le creature visibili, è «capace di conoscere e di amare il proprio Creatore».La vita che Dio dona all’uomo è ben più di un esistere nel tempo. È tensione verso una pienezza di vita; è germe di una esistenza che va oltre i limiti stessi del tempo: «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo fece a immagine della propria natura» (Sap 2,23).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo fece a immagine della propria natura» (Sap 2,23).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...