15 Marzo 2019

Venerdì della Prima Settimana di Quaresima


Oggi Gesù ci dice: “Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo.” (Ez 18,31a - Acclamazione al Vangelo)  

Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 5,20-26: Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge. A Dio toccava solo fare il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Nel Nuovo Testamento abbiamo una svolta. Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della  fede («giustificazione per mezzo della fede» Rm 3,28) e attraverso la grazia e la misericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diventato giusto, «una nuova vita» (Rm 6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» (Mt 3,15) e l’ha raccomandata (Mt 5,6; fame e sete di giustizia). In una nuova economia i cristiani debbono «fare la giustizia» (1Gv 2,29), superando quella dei Farisei. 

Se la vostra giustizia... è un aperto rimprovero ai farisei che avevano deformato lo spirito della Legge, riducendo il loro impegno religioso a una formale interpretazione della Legge di Dio. La giustizia dei farisei era quindi il frutto di una ipocrita osservanza esteriore della Legge, deprecata dagli uomini e rigettata da Dio (Cf. Lc 18,9-14). Invece, il vero giusto per la sacra Scrittura è colui che si sforza sinceramente di adempiere la volontà di Dio (Cf. Mt1,19), che si manifesta sopra tutto nei Comandamenti. Per avvicinarci al nostro linguaggio cristiano, giustizia è sinonimo di santità (Cf. 1Gv 2,29; 3,7-10; Ap 22,11).
Ma io vi dico... un’espressione che mette in risalto l’autorità di Gesù: poiché la sua potestà è divina, Egli è superiore a Mosè e ai Profeti. Una prerogativa rigettata dai farisei, ma accolta dalla folla che seguiva il Maestro di Nazaret: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22; Cf. Mt 7,28).
Stupido... Epiteto ingiurioso cui si accompagnava a un gran disprezzo, che spesso veniva espresso non solo con le parole, ma sputando a terra. Pazzo, ancora più offensivo perché a volte voleva sottintendere un’aperta ribellione alla volontà di Dio.
Norme esigenti, ma possibili da mettere in campo se si fa ricorso al comandamento dell’amore dal quale tutti gli altri comandamenti traggono il loro significato e la loro forza: «Allora i farisei, avendo udito che egli [Gesù] aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”» (Mt 22,34-40).
Se non si fa ricorso a questa soluzione si corre il rischio di scivolare in una casistica nella quale il credente si troverebbe a vivere una fede asfittica, lontana dalle vere esigenze evangeliche. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): «Fu detto» è passivo divino che ha come soggetto implicito Dio. Il termine antichi può indicare le generazioni passate in genere, ma più probabilmente si ha un riferimento a Giosuè e agli anziani, che ricevettero la Legge direttamente da Mosè (cf. Gnilka, I, p. 235). Non sono chiari i tre esempi di reato con le rispettive sanzioni, proposti da Gesù nell’antitesi: l’ira viene punita nei tribunali locali, l’insulto di stupidità (racà = imbecille, stupido, deficiente) è sottoposto al sinedrio di Gerusalemme, l’offesa d’empietà (mōré = empio, stolto senza Dio) è punita con il fuoco della geenna. Sembra emergere un crescendo nelle tre punizioni per i tre tipi di offesa contro il prossimo. Bisogna però badare all’insegnamento globale e non a queste sottili distinzioni. Per essere «giusti» dinanzi a Dio, non basta evitare l’omicidio; anche gli impulsi d’ira, le offese, le maledizioni distruggono la vera comunione dei cuori, quale è richiesta dall’etica evangelica.

Ma io vi dico... - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Io invece vi dico...; la Legge (comando esteriore) raggiunge soltanto l’atto esterno, il nuovo spirito evangelico penetra nell’intimo delle coscienze. Raca: Matteo conserva la parola aramaica (reqa’ = vuoto, vano); quindi: testa vuotaStolto: questa ingiuria, nell’uso corrente, aveva un colorito religioso e significava: empio, rinnegato. Geenna del fuoco; etimologicamente la Geenna significa: Valle di Hinnom, la quale è vicinissima a Gerusalemme. È chiamata «di fuoco» perché secondo alcuni era diventata tristemente famosa per le vittime umane che venivano sacrificate al dio Molok; oppure, secondo altri, perché in essa rimanevano sempre accesi dei fuochi che bruciavano le immondizie della città. Qui ha un senso simbolico e significa semplicemente: il fuoco dell’inferno. Nei versetti 22-23 vi è un crescendo: tribunale, SinedrioGeennail tribunale (o Sinedrio locale), la corte dei centri minori dove esisteva una comunità ebraica, era composta di ventitré membri; il Sinedrio (o gran Sinedrio) era il tribunale supremo di Gerusalemme, composto di settantun membri; la Geenna infine è presentata come la suprema sanzione. Il tribunale, il Sinedrio, la Geenna stanno ad indicare il giudizio di Dio; Gesù, pur esprimendosi con termini correnti, sorpassa il senso materiale di essi. Con il nuovo spirito evangelistico, infatti, ogni offesa contro il fratello cadrà sotto il giudizio di Dio e se l’offesa è grave avrà come sanzione il fuoco dell’inferno.

Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare - Ortensio da Spinetoli (Matteo): Il precetto dell’amore fraterno è superiore anche a quello del culto. L’evangelista richiama in questo contesto un brano connesso col tema della carità. La pace con il fratello condiziona il rappacificamento o l’incontro con Dio. Basta che l’offerente non sia pienamente in pace con i simili per non sentirsi pienamente in pace con Dio. Se vi è un ostacolo tra il cristiano e il suo prossimo, è inutile accostarsi a Dio perché il medesimo ostacolo si ritroverà tra lui e il Signore. Ciò che chiude il contatto con i fratelli chiude anche con Dio. Per questo la raccomandazione di Gesù è urgente: «Va’ prima, riconciliati, poi torna». Non solo chi ha offeso, ma anche chi è stato offeso deve riconciliarsi col fratello prima di compiere un’offerta o, semplicemente, di prender parte a un atto di culto. Ciò è ancora più chiaro nel testo parallelo di Mc. 11,25. Non è questione di torto o di ragione, il fatto è che c’è «qualcosa» che divide due membri della stessa comunità; tale ostacolo deve scomparire per poter comunicare con Dio.
Il tema della riconciliazione rievoca un altro detto, più generico, di Gesù sullo stesso argomento. Può darsi che l’esortazione si riporti a due reali contendenti invitati a mettersi d’accordo prima di giungere in tribunale, evi­tando così il rischio di perdere la causa e di subirne le conseguenze, ma non è improbabile che si riferisca agli uomini in genere, più verosimilmente ai fedeli, esortandoli a vivere in pace con tutti per timore che il giudice o giudizio divino non li raggiunga prima che abbiano fatto in tempo ad accordarsi. Bisogna riconciliarsi finché si è ancora in cammino verso la mèta, perché ci si può trovare davanti a Dio prima di aver avuto il tempo di far pace. Il precetto, che ritorna anche qui alla fine, è quello di essere caritatevoli in tutti i modi e con tutto l’impegno. È il comandamento di Cristo, che vale  anche per il momento presente.

Il perdono delle offese - J. Giblet e M.P. Lacan (Dizionario di Teologia Biblica): Già nel VT, non soltanto la legge pone un limite alla vendetta con la regola del taglione (Es 21,25), ma vieta anche l’odio per il fratello, la vendetta ed il rancore verso il prossimo (Lev 19,17 s). Il sapiente Ben Sira ha meditato queste prescrizioni; ha scoperto il legame che unisce il perdono accordato dall’uomo al suo simile col perdono che egli chiede a Dio: «Perdona al tuo prossimo i suoi torti; allora, per la tua preghiera, ti saranno rimessi i tuoi peccati. Se uno nutre ira contro un altro, come può chiedere a Dio la guarigione? Egli è senza compassione per un uomo, suo simile, e pregherebbe per le sue proprie colpe? (Eccli 27,30 - 28,7). Il libro della Sapienza completa questa lezione ricordando al giusto che, nei suoi giudizi, deve prendere come modello la misericordia di Dio (Sap 12,19.22).
Gesù riprenderà e trasformerà questa duplice lezione. Come il Siracide, egli insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona, e che, per domandare il perdono di Dio, occorre perdonare al proprio fratello. La parabola del debitore spietato inculca con forza questa verità (Mt 18,23-35), sulla quale Cristo insiste (Mt 6, 14 s) e che ci impedisce di dimenticare, facendocela ripetere ogni giorno: nel Pater, dobbiamo poter dire che perdoniamo; questa affermazione è collegata alla nostra domanda ora con un perché, che ne fa la condizione del perdono divino (Lc 11,4), ora con un come, che ne fissa la misura (Mt 6, 12).
Gesù va più lontano: come il libro della Sapienza, egli presenta Dio quale modello di misericordia (Le 6,35 s) a coloro di cui è il Padre e che lo devono imitare per essere suoi veri figli (Mt 5,43 ss. 48). Il perdono non è soltanto una condizione preliminare della nuova vita; ne è uno degli elementi essenziali: Gesù quindi comanda a Pietro di perdonare instancabilmente, in opposizione al peccatore che tende a vendicarsi senza misura (Mt 18,21s; cfr. Gen 4,24).
Seguendo l’esempio del Signore (Lc 23,34), Stefano è morto perdonando (Atti 7,60). Per vincere come essi il male con il bene (Rom 12,21; cfr. 1Piet 3,9), il cristiano deve sempre perdonare, e perdonare per amore, come Cristo (Col 3,13), come il Padre suo (Ef 4,32).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Dio non accetta il sacrificio di coloro che fomentano la divisione; dice loro di lasciare sull’altare l’offerta e di andare, prima, a riconciliarsi con i loro fratelli. Dio vuole che ce lo riconciliamo con preghiere che salgono da cuori pacificati. Ciò che più fortemente obbliga Dio è la nostra pace, la nostra concordia, l’unità di tutto il popolo dei credenti, nel Padre nel Figlio e nello Spirito Santo.” (San Cipriano di Cartagine - Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica 2845).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...