7 Gennaio 2019

Tempo di Natale - Ferie dopo l’Epifania

Oggi Gesù ci dice: «Il regno dei cieli è vicino.» (Vangelo).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Matteo 4,12-17.23-25: Gesù si ritirò nella Galilea e andò ad abitare a Cafarnao, l’evangelista Matteo nel fornire questa notizia non è spinto dal desiderio di precisazioni geografiche, ma dall’intenzione di riportare un fatto che senza dubbio costituì per le attese religiose del tempo una sorpresa, se non addirittura uno scandalo. Allora era pacificamente accettato che l’annuncio messianico doveva partire da Gerusalemme, la città santa, il cuore del giudaismo, e invece parte da una regione periferica, dalla Galilea, da molti disprezzata perché ritenuta contaminata dal paganesimo (Galilea delle Genti): una scelta di campo netta, precisa, con la quale si vuole sottolineare che “l’attività di Gesù era destinata a tutti gli uomini e che, davanti a Dio, nessuno può pretendere d’averne l’esclusiva” (Felipe F. Ramos). Il passo del profeta Isaia, citato da Matteo, vuole spiegare appunto il motivo di questa scelta da parte di Gesù, una citazione che frantuma un rigido tabù della religiosità giudaica: la luce è sorta per illuminare tutti gli uomini, la luce è destinata a superare i confini di Israele, il Vangelo sarà predicato nel mondo intero (cfr. Mt 28,18ss). Convertitevi, perché il del regno dei cieli è vicino: è l’invito che Gesù rivolge a tutti gli uomini e tutti gli uomini lo possono accogliere purché si convertano, il regno dei cieli è vicino perché è Gesù il regno, in lui Dio si fa vicino agli uomini per sanarli dai loro mali, per introdurli nella verità.

In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato - Il brano evangelico va suddiviso in due parti: nella prima l’evangelista Matteo parla dell’inizio del ministero pubblico, nella seconda narra, in modo molto sintetico, l’attività di Gesù.
Matteo, che ama citare l’Antico Testamento per mostrarlo compiuto in Cristo, per giustificare l’attività di Gesù in Galilea si rifà alla profezia di Isaia. L’evangelista Matteo lo fa apportando alcuni adattamenti. La profezia della luce «che sorge sui territori delle due tribù di Zabulon e Neftali [Is 8,23-9,1] si compie quando Gesù va ad abitare a Cafarnao. Ma per accordare la profezia con lo spostamento di Gesù a Cafarnao, la località viene collocata da Matteo “nel territorio di Zabulon e di Neftali”, mentre egli si trova semplicemente nel territorio dell’ultima tribù, così come il “mare” della profezia, il Mediterraneo, viene assimilato al mare di Galilea» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli, Ed. Paoline).
Galilea è detta delle “genti”, perché il nome significa circondario o distretto dei Gentili. In questo modo, l’evangelista Matteo vuole suggerire ai suoi lettori l’universalità della salvezza, ma anche una regola costante di Dio: cioè «quella di scegliere ciò che nel mondo è piccolo e disprezzato per realizzare con esso le meraviglie della sua salvezza [1Cor 1,27-28]. La Galilea entra a pieno titolo in questa tattica di Dio. Non è una scelta casuale, ma il compimento del disegno di Dio, anzi l’inizio di una rivelazione che diverrà progressivamente più chiara» (L. Monari).
Gesù inizia la predicazione con lo stesso messaggio del Battista: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Ma con una sostanziale differenza.
Mentre Giovanni Battista attendeva il regno dei cieli come imminente, Gesù comincia ad attuarlo con la sua opera (Cf. Lc 17,21).
La conversione che Gesù esige deve tradursi in una adesione incondizionata alla sua persona, in un irreversibile distacco dal male, in un risoluto ritorno a Dio in piena obbedienza alla sua volontà.
Queste condizioni radicali vengono poste anche per la sequela cristiana per la quale non si ammettono tentennamenti di sorta (Cf. Lc 9,57-62).
La pericope evangelica si chiude con un sommario resoconto dell’apostolato itinerante di Gesù nella Galilea: Egli predica il vangelo del Regno, guarisce ogni sorta di malattie e di infermità. L’attività  apostolica e taumaturgica di Gesù, senza soste, rivolta sopra tutto ai più bisognosi, resterà incisa, in modo indelebile, nel cuori degli Apostoli, tanto da avere in Atti 10,38, in poche parole, una sintesi perfetta della vita terrena del Figlio di Dio: «Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».
Dio ha iniziato a camminare sulle strade degli uomini: ora, ad essi, tocca stare attenti al rumore dei passi del Dio che viene!

Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce - Giuseppe Barbaglio (Luce in Schede Bibliche Pastorali): La luce è simbolo del bene, della vita e della felicità (Gb 30,26; Is 45,7); mentre le tenebre, soprattutto le tenebre dello sheòl, indicano disgrazia (Gb 3,16.20; 18,18; Is 26,19; Sal 58,9; Bar 3,19-20; Am 5,18.20).
Tutto ciò che porta felicità e salvezza e illumina la via della vita, può essere nominato luce: la parola di Jahvé (Sal 119,105), la legge (Sap 18,4), il diritto (Is 51,4; Os 6,5; Sal 37,6; Is 62,1s), o le ammonizioni e i comandamenti dei genitori (Pro 6,23), la sapienza (Eccle 2,13; Sap 7,10.26; Bar 4,2), la giustizia (Sap 5,6).
Il simbolismo della luce è collegato al comportamento etico dell’uomo: il cammino dei giusti è chiamato spesso luce (Pro 4,18; Cf. Is 58,8.10); il cattivo è ottenebrato, l’empio è nel buio, la sua luce si spegne: «la via degli empi è tenebra fitta, non si avvedono dove inciampano» (Pro 4,19; Gb 18,5-6).
Dio con la sua legge illumina i passi dell’uomo, egli è la lampada che ci guida (Pro 6,23; Sal 119,105; Gb 29,3; Sal 18,29). Gli effetti della giustizia sono affini a quelli della luce (Gb 22,21-28).
La vita spirituale ha bisogno di una luce fondamentale che la illumini e la guidi come la luce del corpo: è la semplicità, in contrasto all’occhio cattivo e ottenebrato, che sarebbe la doppiezza, l’insincerità, l’invidia (Mt 6,22-23; Lc 11,34-36; Mt 20,15).
La luce porta vita e ordine: la regolarità del sorgere del giorno e l’ordine che essa fa vedere sorgendo; quindi è connessa con la conoscenza (Sal 43,3; ecc.); Jahvé stesso è luce di Israele, probabilmente come rivelatore (Dn 2,22). Infine abbiamo l’immagine del volto luminoso di Dio che dà una nota di rassicurante benevolenza: la luce del volto di Dio splende sul suo popolo (Sal 44,3-4; 80,8; 90,8; Pro 16,15; Sal 67,2; 119,135).
Essa sottolinea la presenza di Dio all’uomo come presenza tutelare (Sal 80,8; Mi 7,8-9; Cf. 2Sam 22,29; Sal 18,28; Is 9,2; 10,17). Alla luce del volto di Dio si godono il bene, la vita, la felicità, la salvezza (Sal 4,7; 44,4; 89,16; Gb 29,24).
In sintesi, si ha la seguente densità simbolica: luce = vita e salvezza (simbolismo soteriologico); luce = bene (simbolismo etico); luce = conoscenza/rivelazione (simbolismo apocalittico).

Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino - Alfonso Colzani: Nel Nuovo Testamento la conversione è tematica centrale dell’insegnamento di Gesù; il Vangelo di Marco la inserisce nel nucleo della predicazione di Gesù e come condizione preliminare per abbracciare l’Evangelo: “II tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi c credete al Vangelo” (Mc 1,15). L’evangelista Luca (15,4-31) ne sottolinea particolarmente l’importanza nello tre parabole della misericordia divina (la pecorella smarrita, la dracma perduta, il figliol prodigo). Il pentimento che permette di ottenere il perdono dei peccati non è solo un atto intellettuale.
ma riguarda tutto l’uomo e deve condurre ad un radicale cambiamento di vita. S. Paolo negli Atti degli apostoli (26,20) richiama i due elementi fondamentali della conversione, il ritorno a Dio e il mutamento dei modi di vita: “Predicavo di convertirsi (metanoein) e di rivolgersi (letteralmente ‘ritornare’, epistréfein) a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione”. Paolo sottolinea qui che in mancanza di un reale cambiamento di vita la conversione è illusoria c vana.
S. Giovanni presenta la conversione come nuova nascita, passaggio dalle tenebre alla luce. La parabola del buon Pastore, “venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) manifesta l’universalità della chiamata divina alla conversione, come afferma anche s. Paolo: “Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati c arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,3-4).

Il regno di Dio - Lumen Gentium n. 5:  Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: «Poiché il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio» (Mc 1,15; cfr. Mt 4,17). Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato nel campo (cfr. Mc 4,14): quelli che lo ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo (cfr. Lc 12,32), hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cfr. Mc 4,26-29). Anche i miracoli di Gesù provano che il regno è arrivato sulla terra: « Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il regno di Dio » (Lc 11,20; cfr. Mt 12,28). Ma innanzi tutto il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo, il quale è venuto «a servire, e a dare la sua vita in riscatto per i molti» (Mc 10,45). Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per gli uomini, risorse, apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cfr. At 2,36; Eb 5,6; 7,17-21), ed effuse sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre (cfr. At 2,33). La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo  - Evangelium vitae n. 32: Sono i «poveri» ad essere interpellati particolarmente dalla predicazione e dall’azione di Gesù. Le folle di malati e di emarginati, che lo seguono e lo cercano (cf. Mt 4,23-25), trovano nella sua parola e nei suoi gesti la rivelazione di quale grande valore abbia la loro vita e di come siano fondate le loro attese di salvezza.
Non diversamente accade nella missione della Chiesa, fin dalle sue origini. Essa, che annuncia Gesù come colui che «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,38), sa di essere portatrice di un messaggio di salvezza che risuona in tutta la sua novità proprio nelle situazioni di miseria e di povertà della vita dell’uomo. Così fa Pietro con la guarigione dello storpio, posto ogni giorno presso la porta «Bella» del tempio di Gerusalemme a chiedere l’elemosina: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (At 3,6). Nella fede in Gesù, «autore della vita» (At 3,15), la vita che giace abbandonata e implorante ritrova consapevolezza di sé e dignità piena.
La parola e i gesti di Gesù e della sua Chiesa non riguardano solo chi è nella malattia, nella sofferenza o nelle varie forme di emarginazione sociale. Più profondamente toccano il senso stesso della vita di ogni uomo nelle sue dimensioni morali e spirituali. Solo chi riconosce che la propria vita è segnata dalla malattia del peccato, nell’incontro con Gesù Salvatore può ritrovare la verità e l’autenticità della propria esistenza, secondo le sue stesse parole: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,31-32).
Chi, invece, come il ricco agricoltore della parabola evangelica, pensa di poter assicurare la propria vita mediante il possesso dei soli beni materiali, in realtà si illude: essa gli sta sfuggendo, ed egli ne resterà ben presto privo, senza essere arrivato a percepirne il vero significato: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Lc 12,20).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Nella fede in Gesù, «autore della vita» (At 3,15), la vita che giace abbandonata e implorante ritrova consapevolezza di sé e dignità piena.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Lo splendore della tua gloria illumini, Signore, i nostri cuori, perché attraverso le tenebre di questo mondo possiamo giungere alla luce della tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...